Antonio Mastantuono

 

L’acqua, insegna la sete. La terra, gli oceani trascorsi. Lo slancio, l’angoscia. La pace, la raccontano le  battaglie. L’amore, i tumuli della memoria. Gli uccelli, la neve. (E.Dickinson)

«Dal canto mio, intendo dedicare all’enciclica Laudato si’ solo poche semplici parole di gratitudine: è un raggio di sole nella nebbia postmoderna, una rosa sbocciata nel deserto dell’egoismo e dell’ipocrisia nel quale ci sembra ormai di esserci definitivamente sperduti quando leggiamo dei buoni cristiani che desertificano e inquinano il mondo per fame e sete di profitto, dei rispettabili banchieri (cristiani anch’essi) che preferirebbero strangolare un popolo intero piuttosto che concedergli ancora qualche mese di dilazione per consentirgli di pagare i suoi debiti, degli inossidabili difensori della Civiltà cristiana che auspicano naufragi di massa di migranti nel Canale di Sicilia».[1] La citazione di Franco Cardini ci porta dentro l’enciclica Laudato si’,[2] perché l’ecologia così come è intesa da papa Francesco parte dal cuore dell’uomo e quindi si fa azione. E ha a che fare con una identità complessa, con quella che è la «vocazione» propria di ogni essere umano sulla terra. Proteggere l’ambiente non va intesa come un’operazione settoriale o accessoria, affidata agli addetti ai lavori o lasciata al vezzo estetico di qualche persona sensibile o di qualche gruppo organizzato. È piuttosto un lasciarsi ferire da questioni fondamentali sul modo di produrre, consumare, abitare, lavorare, investire risorse, gestire il tempo, sfruttare lo spazio a disposizione di ciascuno. Afferma Sequeri: «Qui non si parla più semplicemente di pannelli solari e di riproduzione dei panda. Qui si parla di un soprassalto di prossimità degli umani per la casa di tutti, e per l’anima del nostro abitare. O niente».[3]

La rinnovata attenzione all’ambiente può anche essere «provocata» dal senso di sgomento e di paura che i continui sconvolgimenti naturali colpiscono la terra,[4]  è quindi un’operazione che ha a che fare in senso pieno col vivere nella società e – per chi accetta questa dimensione – con l’essere parte della famiglia dei figli di Dio. Davvero «la questione ecologica è un sintomo. La sostanza è un’emergenza antropologica»;[5] occorre convincerci «che tutto nel mondo è intimamente connesso».[6] «In gioco infatti non è “puramente” il destino dello scenario su cui si svolge la recita della vita umana, ma lo spartito delle possibilità o il canovaccio delle azioni sceniche che fanno dell’esistenza umana una vita vera».[7] In particolare, alla luce del messaggio rivelato sulla creazione nel suo complesso – sul rapporto tra l’essere umano, da un lato, e cose e animali dall’altro – si individuano i problemi in termini di lacerazione dell’umano; la custodia di se stesso, dell’altro e del creato diventano perciò altrettanti «atteggiamenti unitari di salvaguardia delle relazioni».[8]

  1. Una Chiesa nel mondo

 Al termine della lettura della LS, tornano alla mente, quasi inconsapevolmente, le parole dell’incipit della Gaudium et spes (GS): «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1).

Dalla lettura della LS appare chiaro che la Chiesa è parte di un mondo più ampio, con cui entra in relazione: da questo scambio è arricchita (cf. LS 7), mentre essa a sua volta offre il proprio contributo (cf. LS 216) a un’impresa che sta a cuore a tutti: la cura della casa comune (cf. LS 14). È un contributo prezioso, anzi indispensabile, come quello di tutti i saperi e di tutte le forme di saggezza che l’umanità ha elaborato (cf. LS 63. 110), ma non può pretendere di essere quello risolutivo. Infatti, una parte del problema è proprio la convinzione che un solo punto di vista possa fornire la soluzione: «I problemi più complessi del mondo attuale, soprattutto quelli dell’ambiente e dei poveri, […] non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista o da un solo tipo di interessi» (LS 110).

Scienza e tecnologia non sono detentrici della chiave ultima di accesso alla realtà, ma l’enciclica nemmeno rivendica quel ruolo alla teologia o alla Chiesa; come afferma l’Evangelii gaudium (EG) «né il papa né la Chiesa posseggono il monopolio della interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzione per i problemi contemporanei».[9]

Il richiamo alla GS non è solo evocativo, ma – come ha mostrato da Simone Morandini – tra la costituzione conciliare e l’enciclica papale esiste un profondo legame. «Ponendo a confronto i due documenti, […] emergono significativi elementi comuni – intrecciati peraltro a quei numerosi fattori di novità in cui trova espressione la maturazione apportata da un periodo così intenso per il cammino ecclesiale».[10] La destinazione universale dei beni della Terra, la nozione di bene comune e, soprattutto, l’orientamento a un’antropologia relazionale e marcatamente antindividualistica, sono, a detta dell’autore, gli ambiti in cui più marcatamente emergono le consonanze e gli approfondimenti tra i due documenti.

Una consonanza che riguarda soprattutto l’antropologia relazionale proposta dalla GS[11] viene resa presente nella LS; è possibile evincerla nell’indole comunitaria dell’umana vocazione nel piano di Dio (GS 24), trova consonanza e ampliamento sia nel concetto di ecologia integrale (LS 137-162) che nella lettura relazionale della teologia della creazione (LS 63-100). Il punto di partenza è la creazione, che «può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano paterna del Padre di tutti» (LS 76). Questo conferisce dignità e valore a ogni creatura: ciascuna «ha una funzione e nessuna è superflua […] tutto è carezza di Dio» (LS 84). Il legame di solidarietà tra tutte le creature si fonda sul comune riferimento al Creatore: «Creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile» (LS 89). È questo il fondamento teologico, anzi propriamente trinitario dell’ecologia integrale: «Tutto è collegato, e questo ci invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità» (LS 240).

La novità della LS si fa particolarmente evidente al n. 92, in cui orizzonte della relazionalità è cosmico ed ecologico: «D’altra parte, quando il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è escluso da tale fraternità. Di conseguenza, è vero anche che l’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri umani. Il cuore è uno solo, e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura “è contrario alla dignità umana” […] Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra»

Il rapporto chiesa-mondo proposto dal Vaticano II è qui portato alle estreme conseguenze. La Chiesa non può concepirsi se non come una delle facce che costituiscono la complessità del reale in una relazione vitale e dinamica con tutte le altre. È questa la logica profonda che anima l’intenzione comunicativa su cui è costruita l’Enciclica, in attuazione di delle affermazioni programmatiche dell’EG: «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro» (EG 49).

In questo quadro appare chiaro come la proposta del dialogo non sia avanzata solo in chiave di opportunità tattica, ma come esigenza di una realtà costitutivamente plurale, ma al tempo stesso esposta al rischio che questa pluralità si frantumi in un’infinità di frammenti autoreferenzali, smarrendo interconnessioni e legami. Sarebbe una resa al riduzionismo che minaccia l’ecologia integrale. La convinzione di papa Francesco è che il dialogo sia proprio il luogo per sperimentare e rinforzare i legami, facendo procedere il progetto di costruire un popolo e unire una famiglia: «Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio». Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità» (LS 14).

  1. Avviare processi

 La volontà di ascolto delle gioie e delle speranze – a cui facevamo riferimento all’inizio – ha condotto l’enciclica ad interrogarsi su questo sentire umano diffuso (la questione ambientale), a coglierne una dimensione fondamentale (la profonda unione della comunità degli uomini) e ad individuare processi da mettere in atto.

Siamo di fronte a una rottura, a un necessario salto di qualità per come nel tempo l’uomo si è posto nei confronti della casa comune. «L’intervento dell’essere umano sulla natura si è sempre verificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si trattava di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende a ignorare o a dimenticare sia la realtà stessa di ciò che ha innanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti» (LS 106)

«Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali […] per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo prendersi cura della natura» (LS 139).

Gli interrogativi che il n.106 della LS[12] – proprio per la loro ampiezza – non chiedono tanto risposte emotive o superficiali quanto, invece, la necessità di avviare e/o di dare maggiore consapevolezza a dei processi. La conversione ecologica a cui richiama la LS richiede forti motivazioni e una passione per la cura della casa comune in grado di trasformare tanto la dimensione interiore, quanto l’agire quotidiano nel segno di una maggiore attenzione all’ambiente e alle persone. Una conversione fondata sulla convinzione che «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217) Siamo, in altre parole, chiamati a una «riconciliazione con il creato» che richiede di «riconoscere i propri errori, vizi o negligenze e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro» (LS 218) e, contemporaneamente, di adottare comportamenti che diano un senso nuovo al nostro agire nella società attraverso «semplici gesti quotidiani», che spezzano «la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» (LS 230). Con la consapevolezza che la risposta personale è fondamentale, ma non sufficiente: è necessario attuare processi che coinvolgono progressivamente l’intera società perché «ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali. […] La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria» (LS 219).

2.1. Un rinnovato annuncio evangelico

 Un primo processo da avviare riguarda l’annuncio evangelico in un contesto di umanesimo ecologicamente consapevole. «La considerazione dell’ecologia – tesa a cogliere la densità del suo significato primario, ma anche pronta a indicarne un senso più ampio, arricchito da numerose estensioni – diviene cioè anche indicazione di una feconda tavolozza linguistica per il discorso teologico e per l’annuncio ecclesiale».[13] Non si tratta di fare dell’ecologia un materiale per la costruzione di un paradigma specificamente teologico, quanto invece di cogliere alcune domande circa l’agire intergenerazionale e l’esigenza di un’educazione ambientale che deve segnare i percorsi educativi; aperture circa la spiritualità (cf. il cap. VI) e affermazioni di portata specificamente teologiche: l’affondo cristologico (LS 96-100), il paradigma relazionale nel segno della Trinità (LS 240); la dimensione escatologica (LS 243-245). Si tratta di interrogarsi circa le modalità dei percorsi educativi e delle prassi pastorali che segnano il cammino delle chiese locali, non più in forma saltuaria o occasionale ma come motivi costanti; si tratta di far uscire la cosiddetta «pastorale sociale» dall’angolo in cui spesso è rinchiusa perché entri nelle prassi ordinarie. In tale linea sembra porsi la Chiesa italiana che nel Messaggio per la X Giornata per la custodia del creato così scriveva: «La Chiesa italiana si sente profondamente coinvolta in tale impegno per la custodia del creato e avverte la responsabilità di contribuirvi per quanto le è possibile», con tutte le sue strutture di servizio diocesano. «Alcune indicazioni in tal senso possono venire da una ripresa delle “cinque vie” proposte dalla Traccia per il Convegno ecclesiale di Firenze. Leggendole in relazione alla Giornata per la custodia del creato, vi scopriamo l’invito a essere:

  • una Chiesa che sa uscire da ambiti ristretti per assumere il creato tutto – anche nelle ultime periferie – come orizzonte della propria missione e della propria cura;
  • una Chiesa che sa annunciare il vangelo, come buona novella per l’intera creazione, come orientamento ad un umano capace di coltivarla in modo creativo e rispettoso;
  • una Chiesa che abita la Terra, come sentinella, custodendone la bellezza e la vivibilità, contro tante forme di sfruttamento rapace e insostenibile, contro le diverse forme di illegalità ambientale;
  • una Chiesa che educa – con parole, gesti e comportamenti – a stili di vita sobri e sostenibili, amanti della giustizia e allergici alla corruzione;
  • una Chiesa che trasfigura il creato, celebrando il Creatore e facendo memoria del suo dono nell’Eucaristia, spazio di benedizione vivificante».[14]

2.2. L’azione economico-sociale e politica

 Pur nel rispetto dell’autonomia che compete alle «realtà terrestri», ma nel dialogo auspicato, la LS invita a proporre un nuovo modello di sviluppo, che non si limiti a valutare la situazione in un’ottica quantitativa, rispondendo ai criteri del mercato, della rendita e del profitto, ma si preoccupi del rispetto dell’ambiente e dell’uso parsimonioso delle risorse, e si impegni, nel contempo, a determinare un’equa ripartizione delle risorse, privilegiando i bisogni dei più poveri.

Il concetto di «sviluppo sostenibile» non può essere ridotto alla semplice attenzione alla questione ambientale (ecosostenibilità): deve estendersi anche ai rapporti sociali da gestire nel rispetto della giustizia distributiva (equisostenibilità). Quando il criterio dominante (o esclusivo) è la massimizzazione della produttività e del profitto, non vi è posto per pensare ai ritmi della natura, alla complessità degli ecosistemi e alla biodiversità; ma non vi è neppure posto per rispondere all’esigenza di integrazione delle categorie più fragili e più povere (LS 189-196).

In questo contesto, acquisisce tutto il suo valore la politica, dalla quale l’economia non può prescindere, e che deve rivendicare la sua piena autonomia da essa. Abbiamo bisogno –ricorda LS – di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale… Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità (cf. LS 197).

Per fare questo occorre uscire dalla assolutizzazione dello Stato-nazione per fare spazio a forme di collaborazione allargata, che consentano di stabilire percorsi concordati e quadri regolatori globali, accordandosi sui regimi di governance per affrontare una gamma assai vasta di beni comuni globali (LS 173-174). Irrinunciabile diviene allora lo sviluppo di istituzioni internazionali, che sappiano supplire alla debolezza dei singoli Stati (LS 175).

Il principio ispiratore di tale politica, che è il «bene comune», assume oggi connotati nuovi, riconducibili al rispetto di quattro condizioni, che meritano di essere elencate. La prima è l’attenzione al bene delle generazioni future. Non è sufficiente tener conto soltanto dell’umanità presente avendo di mira la crescita integrale di tutte le persone esistenti (prospettiva sincronica); è necessario aprirsi all’interesse di coloro che verranno, ai quali occorre consegnare un mondo abitabile (prospettiva diacronica). Non si può infatti parlare di sviluppo sostenibile senza una vera solidarietà tra le generazioni, dimenticando che la Terra che abbiamo ricevuto in eredità appartiene anche a coloro che verranno (LS 159-160). In un contesto diverso, ma certamente animata dalla stessa preoccupazione, Etty Hillesum scriveva: «Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora sarà troppo poco».[15]

La seconda condizione è costituita dal rispetto delle altre specie con la capacità di leggere il messaggio scritto nelle strutture della natura e il conseguente esercizio di una responsabilità allargata, che va dall’attenzione a non violare equilibri tra ecosistemi vitali fino alla protezione della biodiversità e al rifiuto di ogni forma di maltrattamento nei confronti degli animali. Il profondo legame tra tutti gli esseri viventi, a cui si è fatto ripetutamente riferimento – legame che va fatto risalire alla loro origine comune, la creazione – esige che si coltivi un sentimento di unione con tutti gli esseri della natura nel riconoscimento del loro proprio statuto.

La terza condizione coincide con la difesa delle diversità culturali e il riconoscimento dei diritti delle culture. Purtroppo la tentazione oggi ricorrente è a rendere del tutto omogenee le culture cancellandone le differenze e indebolendo la varietà culturale, che costituisce un patrimonio fondamentale dell’umanità. Il bene comune esige la tutela e la promozione dei diritti dei popoli e delle culture, e richiede pertanto che ogni trasformazione ambientale e sociale avvenga facendo spazio al protagonismo degli attori sociali, nel rispetto della propria tradizione culturale. La promozione dei diritti culturali implica un profondo rinnovamento di coscienza, ma esige anche l’allestimento di strutture adeguate che consentano, in una società divenuta ormai multiculturale, la piena espressione delle tradizioni delle diverse culture anche mediante la creazione di appositi spazi pubblici (LS 144).

Infine, la quarta (e ultima) condizione è rappresentata dal rispetto del paesaggio e, in senso più specifico, dal rispetto del rapporto tra ambiente naturale e ambiente umano. Ogni intervento nel paesaggio urbano o rurale – si legge nell’enciclica – dovrebbe considerare come i diversi elementi del luogo formino un tutto che è percepito dagli abitanti come un quadro coerente con la sua ricchezza di significati. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si può percepire come parte di un «noi» che costruiamo insieme. Per questa stessa ragione, sia nell’ambiente urbano sia in quello rurale, è opportuno preservare alcuni spazi nei quali si evitino interventi umani che li modifichino continuamente (LS 151). Ancora una volta vi è qui la saldatura tra rispetto della natura (e in questo caso anche della sua bellezza) e promozione della qualità della vita; saldatura che rende evidente la responsabilità umana sia verso l’ambiente da salvaguardare che verso l’uomo da promuovere nella sua piena dignità.

 2.3. Il cambiamento degli stili di vita personali

 Ma non sono solo economia e politica a essere coinvolte in questa sfida: «C’è anche una prospettiva pastorale da ritrovare nella presa in carico solidale delle fragilità ambientali di fronte agli impatti del mutamento, in una prospettiva di cura integrale. Occorre ritrovare il legame tra la cura dei territori e quella del popolo, anche per orientare a nuovi stili di vita e di consumo responsabile, così come a scelte lungimiranti da parte delle comunità»,[16] nella consapevolezza che lo sforzo di ogni persona per cambiare il proprio stile di vita, è in grado di «esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale» (LS 206). «Un’ecologia integrale – scrive il papa – è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esagerato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma» (LS 230). Certo, queste azioni dal basso non possono da sole risolvere i problemi globali legati alla crisi socio-ambientale di questo tempo. Tuttavia «l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti» (LS 179).

Si tratta di acquisire una sempre maggiore sensibilità ecologica, che si traduca in scelte calate nella vita quotidiana e ispirate alla sobrietà. L’educazione alla responsabilità ambientale – osserva la LS – può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere luci inutili, e così via (LS  211).

2.3. Per una  spiritualità ecologica: atteggiamenti da contrastare e virtù da promuovere

2.3.1. Gli atteggiamenti da contrastare

La complessità del cammino di crescita e quindi di formazione dell’uomo nuovo si coglie in quella sorta di pista di lavoro che l’Enciclica ci consegna. Da un intervento serio sui vari livelli della conversione ecologica – quello interiore con se stessi, solidale con gli altri, naturale con tutti gli esseri umani, spirituale con Dio – (LS 210) nascono gli atteggiamenti del prendersi cura.

  • La mentalità consumistica con la sobrietà. Il papa parla di consumismo ossessivo, quasi come di una patologia psicologica, che tende a far credere che per essere felici occorra avere e dominare. A tale logica l’Enciclica contrappone l’espressione «meno è di più» (LS 222). È un chiaro invito cioè alla sobrietà di vita, che non è pauperismo, ma capacità di apprezzare ogni cosa e ogni momento nella sua bellezza e importanza. È saper godere con poco, nella semplicità. È atteggiamento che libera dagli idoli e rende le persone più gioiose. La libertà dai falsi bisogni, infatti, dai bisogni spesso indotti, ci preserva da quell’insoddisfazione, stanchezza, ansia che spesso colorano (meglio, ingrigiscono) le giornate e le relazioni: «[…] quelli che gustano di più e vivono meglio ogni momento sono coloro che smettono di beccare qua e là, cercando sempre quello che non hanno, e sperimentano ciò che significa apprezzare ogni persona e a ogni cosa, imparano a familiarizzare con le realtà più semplici e ne sanno godere» (LS 223)

«Meno è di più» significa fiducia nella vita, nelle potenzialità della vita che spesso non stanno sotto il nostro necessario controllo. «Meno è di più» è propedeutico a un’apertura alla vita, a creare la capacità di meravigliarsi, di entusiasmarsi per la vita.

  • Il pragmatismo utilitaristico con la com-passione.

Nell’Enciclica il papa denuncia con forza il fenomeno che chiama «la globalizzazione del paradigma tecnocratico» (LS 106) e che si fonda su un antropocentrismo sfrenato che conduce alla perdita dei legami, alla divisione e alla frammentazione: ogni soggetto si sente slegato dagli altri e dal contesto, immerso in una crescente solitudine/incomunicabilità, che genera indifferenza. Si tratta di avviarsi verso un progetto di umanizzazione (LS 141) caratterizzato dalla com-passione, cura reciproca, attenzione al bene comune. Un nuovo paradigma segnato dalla co-appartenenza, co-operazione, collaborazione, cor-responsabilità, co-esistenza, co-munione: «[…] noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile. Voglio ricordare che “Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come una sorta di mutilazione”» (LS 89).

  • La superficialità con la capacità di contemplazione. Questo legame profondo con gli altri e con il mondo conduce a uno sguardo diverso. In ogni creatura c’è, infatti, un riflesso di Dio, nonché un ordine, un dinamismo voluti da Dio. Nella fede, poi, sappiamo che il creato stesso è stato assunto da Cristo nell’incarnazione. Il cristiano, quindi, lungi dal disprezzare la materia, la considera non solo come realtà voluta da Dio, ma come via obbligata per la salvezza. «L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (LS 233). Il cristiano ha «occhi grandi». È una contemplazione non fine a se stessa, quanto piuttosto tesa a prendersi cura. Il bello che si riesce a vedere è un bello che provoca, che spinge ad agire, a prendersene cura. L’ecologia deve essere integrale, cioè prevedere la responsabilità sia per le condizioni ambientali che per le questioni di giustizia verso i più deboli: non ci si prende cura della natura senza farlo anche dei poveri. Le due cose vanno inesorabilmente a braccetto. La contemplazione guarda al paesaggio come al volto del fratello. L’ecologia integrale è allora un sinonimo di carità, di giustizia, di fraternità universale.

2.3.2. Le virtù ecologiche 

Forse ha sorpreso più di qualcuno il n. 216 della LS, in cui il papa propone alcune linee di «spiritualità ecologica»; esse sono «delle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare la passione per la cura del mondo», perché – continua il papa – «non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza «qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria».

Gratitudine e gratuità. Al n. 220 si legge: «Tale conversione…implica gratitudine e gratuità, vale a dire un riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre, che provoca come conseguenza disposizioni gratuite di rinuncia e gesti generosi anche se nessuno li vede o li riconosce». Gratitudine e gratuità implicano dunque soprattutto un riconoscere il carattere gratuito della vita. Questo, evidentemente, non è scontato, soprattutto oggi, dove spesso s’intende la vita come un diritto, un bene posseduto di cui poter far uso a proprio piacimento. «Vita come dono» porta ad «ammettere» di non essere noi i protagonisti.

L’amorevole consapevolezza di una comunione universale» (LS 220). È l’idea fondamentale di «far parte di un tutto», con i vantaggi, ma anche con le responsabilità che questo comporta. Il rischio di una certa cultura contemporanea è invece quello dell’isolamento.

Paradossalmente, quindi, perché nonostante questo bisogno di rete, l’uomo d’oggi è sempre più «individuo» e sempre meno «persona». «Individuo» dice «io», dice autonomia, dice confini che delimitano gli spazi propri, dice diritti da rispettare. «Persona» dice, invece, soprattutto relazioni, apertura, necessità dell’altro, dice bisogno del prossimo. La spiritualità ecologica di papa Francesco punta sulla riscoperta del nostro essere persone, del nostro far parte di un tutto e caratteristica questa che non è un di più, ma qualcosa di costitutivo del nostro vivere, della nostra identità. Non si è felici da soli, mai.

«Ciascun credente è chiamato a sviluppare la sua creatività e il suo entusiasmo, al fine di risolvere i drammi del mondo» (LS 220). Il credente non è uno che sta a guardare, che si accontenta di ricevere un dono, ringraziando, ma rimanendo in poltrona. Virtù fondamentale è quella del rimboccarsi le maniche, con creatività ed entusiasmo, rimarca il papa. Qui viene richiamato un aspetto che dovrebbe essere già assodato della spiritualità cristiana in genere, e quindi anche di quella «ecologica».

4. Contro la rassegnazione

 Se tutto è collegato, la sfida oggi è abitare la complessità. Le semplificazioni, assai di moda in questo tempo, non aiutano: estremizzano un tema a scapito del rapporto con l’insieme. Per questo la proposta della LS è alta. Siamo creati per la comunione, non per vivere in solitudine. Ne scaturisce l’importanza di formare coscienze responsabili. Se «ogni creatura porta con sé una struttura propriamente trinitaria» (san Bonaventura), ogni persona si santifica e matura quando sa pensarsi in relazione. La negazione della relazione con l’altro, con Dio e con l’ambiente crea le condizioni per la crisi ecologica basata su disuguaglianza, distruzione, disoccupazione ed esclusione. Papa Francesco, pur consapevole di vivere in un tempo in cui l’egoismo di pochi produce effetti devastanti sulla società, non si lascia andare a toni pessimistici. «È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro» (LS 208). L’uomo è capace di auto-trascendersi. Non è creato per chiudersi in se stesso: ogni volta che supera l’individualismo produce uno stile di vita alternativo e rende possibile la trasformazione della società. Il consumismo, del resto, è figlio di una crisi relazionale profonda, che ha condotto a un dannoso isolamento (LS 47).

«La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi» (LS 61). La risposta alla crisi ecologica non può essere l’impotenza di chi si lamenta senza cambiare il proprio stile di vita. La rassegnazione spegne interiormente. «Non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (LS 205). Se si considera che nei dibattiti ecologici ci si muove spesso tra conflitti, si comprende il saggio equilibrio propositivo di papa Francesco. È il tempo della responsabilità: le scelte quotidiane ecologiche sono seme gettato nel pianeta Terra delle future generazioni. Questo è il tempo delle scelte coraggiose. L’uomo non è creato per degradare, distruggere, inquinare, calpestare, abbruttire. Così rovina se stesso, prima ancora che il mondo. Siamo capaci di bellezza, che è insieme fraternità e condivisione. Per questo, e non per altro, siamo al mondo.

L’enciclica si conclude, portandoci «al di là del sole» (LS 243), con la possibilità che avremo allora di capire il mistero dell’universo, in cui ciascuno occuperà il suo posto e la liberazione sarà la conoscenza di tutti e di tutto. Vale la pena che noi resistiamo in questo tempo di attesa, responsabilmente operosi: nessuna fatica forse ci è risparmiata, ma siamo dentro a una promessa certa e già in atto.

Antonio Mastantuono, docente di teologia pastorale, vice assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana

(tratto da Orientamenti Pastorali, 7/8 2018, EDB, tutti i diritti riservati)

 

[1] F. Cardini, «Dal Cantico di Francesco d’Assisi al Laudato si’ di papa Francesco», in Quaderni Biblioteca Balestrieri, 15(2015)2, 12. Tra i vari testi e commenti che hanno fatto seguito alla pubblicazione dell’enciclica e che abbiamo consultato ricordiamo: U. Sartorio, Tutto è connesso. Percorsi e temi di ecologia integrale, EMI, Bologna 2015; J.I. Kureethadam, Cura della casa comune. Introduzione a «Laudato si’» e sfide per la sostenibilità, LAS, Roma 2015; L. Boff et Alii, Curare madre Terra. Commento all’enciclica «Laudato si’» di papa Francesco, EMI, Bologna 2015; S. Morandini, «Laudato si’». Un’enciclica per la terra, Cittadella, Assisi 2015; Id., Un amore più grande del cosmo. «Laudato si’» per un anno di misericordia, Cittadella, Assisi 2016.

[2] Francesco,  Lettera enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune (24 maggio 2015). D’ora in poi LS.

[3] P. Sequeri, «Prefazione», in L. Sandonà, Ecologia umana. Un percorso etico e teologico sui passi di papa Francesco, Messaggero, Padova 2015, 10

[4] In tal senso va letta la poesia Silenzi della poetessa Emily Dickinson messa in esergo.

[5] P. Sequeri, Prefazione, 10.

[6] LS 16. L’espressione torna varie volte nell’enciclica: cf. ad esempio i nn. 117 e 138. Altre volte si preferisce argomentare che «Tutto è in relazione»: nn.70, 92, 120 e 142.

[7] P. Sartor, «Educazione e spiritualità. Il capitolo VI di Laudato si’», in Studia Patavina 63(2016), 632.

[8] L. Sandonà, Ecologia umana, 12.

[9] Francesco, Evangelii gaudium n. 184.

[10] S. Morandini, «Interpretare Laudato si’: il movimento di un’enciclica», in Studia Patavina 63(2016), 564-565.

[11] Cf. GS, nn.23-32.

[12] «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra» (LS 160).

[13] S. Morandini, Interpretare Laudato si’, 573; più diffusamente sul tema, cf. S. Morandini, Teologia ed ecologia, Morcelliana, Brescia 2005.

[14] Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace – Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, Un umano rinnovato per abitare la terra. Messaggio per la X Giornata per la custodia del creato (1° settembre 2015), n.4

[15] E. Hillesum, Lettere 1941-1943, Adelphi, Milano 2013, 57.

[16] Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace – Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, Coltivare l’alleanza con la terra. Messaggio per la XIII Giornata per la custodia del creato (1° settembre 2018).