Fortunato AMMENDOLIA           

È sempre più evidente che il calo numerico dei preti fa venir meno la relazione «uno a uno» tra parroco e campanile e rende necessari nuovi assetti diocesani che contemplano nuove forme di comunità tra parrocchie: gli scenari sono regolati dal canone 517,[1] il quale prevede comunque la presenza di un presbitero moderatore della cura pastorale. Va ribadito che ogni nuova forma di comunità tra parrocchie non va intesa come somma di parrocchie, ma come un nuovo soggetto istituito per essere generativi. Nella prassi pastorale occorrerà passare dall’isolamento alla condivisione, dalla dottrina alle necessità vitali della gente, da una Chiesa società a una Chiesa comunità missionaria, che vede tutti i credenti come soggetti responsabili.[2] Ci si chiede: «L’ambiente digitale può favorire questi passaggi? Come?». Sono questi gli interrogativi a cui intendiamo rispondere. Più specificamente, sono analizzate due esperienze della Chiesa locale di Padova e una della Chiesa di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, pensata nell’ambito di un accordo quadro di cooperazione che la diocesi laziale ha siglato con il Centro di orientamento pastorale nel 2017. Tali esperienze si collocano nella possibilità dei media digitali e sociali di funzionare come tecnologie di comunità, capaci cioè di (ri)costruire la comunità, attivando rapporti tra il dentro e il fuori.[3] Ciascuna esperienza ha inteso aprire spazi in cui la comunicazione nelle sue forme si riempisse di senso, nella consapevolezza che oggi la vita non è né online né offline, ma si dispiega interamente nella continuità tra materialità e simbolica tecnologica, secondo un’esperienza onlife.[4]

Una sperimentazione di intelligenza collaborativa

Oggigiorno, dinanzi a una questione rilevante per un’organizzazione o istituzione, nessun leader o team – capace o informato che sia – è in grado di trovare la strada giusta da seguire, in un ambiente così complesso e accelerato. Il vero leader è il leader delle domande, colui che crea uno spazio per ottenere delle risposte. L’intelligenza collaborativa è un tipo d’intelligenza capace di confrontarsi con altri; occorrono le conoscenze, prospettive e sforzi di più persone per massimizzare le possibilità di andare verso il giusto. Insomma, per dirla come papa Francesco, è quel guardare una questione nell’ottica del «tutto è in relazione», «tutto è collegato», «tutto è connesso», che attraversa la Laudato si’. Ciò permette al leader di valorizzare tutta la conoscenza e la volontà che lo circondano, pur mantenendo la decisione. «Ma la collaborazione intelligente non si ottiene solo chiedendola, ma implementando dei processi cha la fanno accadere» (Mira, Soberòn).

Collaboratorium è una piattaforma web di approccio integrale alla intelligenza collaborativa.[5] Essa dispone di dieci modelli avanzati di deliberazione a seconda della natura della questione da affrontare, per decidere, analizzare, tracciare. Più dettagliatamente, permette di: prendere una decisione specifica (sì/no); creare un «ranking» – classifica – tra opzioni; ottenere suggerimenti per l’azione; consultare apertamente su un particolare argomento; discutere di questioni/sfide complesse; assegnare le risorse tra un elenco di possibilità; prevedere le probabilità di insorgenza di varie opzioni; richiedere un «feedback and forward» su una iniziativa; avere traccia di un progetto; seguire/monitorare i risultati. In Collaboratorium è abbattuto il limite della «timeline»: da conversazioni ingestibili che seguono l’ordine cronologico e dove le opinioni più datate affondano, si passa a mappe di conversazioni intelligenti strutturate secondo gli obiettivi da raggiungere. Collaboratorium si attiva attraverso semplici passi: creazione della mappa delle questioni (sfide) prioritarie; scelta della squadra, cioè delle persone giuste che dovranno partecipare alla discussione; scelta del modello di deliberazione; gestione delle dinamiche collaborative; estrazione, conclusione e decisione. Ciò favorisce una trasformazione culturale, ovvero la creazione di un ambiente e di una cultura di collaborazione all’interno dell’organizzazione per la co-creazione e l’impegno.[6]

Se l’intelligenza collaborativa riletta in chiave pastorale rimanda alla «sinodalità», Collaboratorium apre a una riflessione su «ambienti digitali» ben strutturati per la presa di decisioni nella Chiesa.

A parlare ai partecipanti al workshop della prima sperimentazione di intelligenza collaborativa tenutasi in ambito pastorale sul territorio italiano, è stato Paolo Zaramella, presbitero della diocesi di Padova e direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile. Così si è espresso: «La piattaforma Collaboratorium è stata di grande utilità per gestire alcuni passaggi nevralgici del sinodo diocesano dei giovani, esperienza annunciata dal nostro vescovo monsignor Claudio Cipolla a Cracovia, nella Giornata mondiale della gioventù del 2016; un’indizione che ha precorso quella di papa Francesco di un sinodo mondiale dei giovani. Fin dalla fase preparatoria si era posto il problema di attivare processi di coinvolgimento e orientamento. Occorreva fare scelte operative nei confronti di un pubblico vario e poco definito, quello dei giovani tra i 18 e i 35 anni, con un’attenzione a un’area geografica – quella della diocesi patavina – estesa su cinque province; era inoltre vivo il desiderio di far toccare con mano ai giovani che l’evento «sinodo» stava attivando dei processi di cambiamento che li vedevano protagonisti. L’ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, nella persona del suo direttore – il presbitero Marco Sanavio –, consigliò di avvalersi delle opportunità del digitale, ovvero di una piattaforma di intelligenza collaborativa promossa dall’associazione WeCa:[7] Collaboratorium, per l’appunto. Veramente avremmo dato a tutti la possibilità di dire la propria in un opportuno arco di tempo, ragionando; avremmo avuto la possibilità di un ascolto opportunamente strutturato, che non teme distanze e non perde parole; avremmo potuto tracciare il processo di sinodalità in termini di scelte». Il presbitero, scendendo nel concreto dell’esperienza, ha aggiunto: «La prima fase della sperimentazione si è tenuta nella sera del 17 febbraio del 2017. È stata trasmessa in diretta su Blu Radio Veneto e via streaming; insieme a me, “on stage”, l’attore Gaetano Ruocco Guadagno, Andrea Scorzoni – country manager Italia di Collaboratorium – e due giovani. Attraverso la piattaforma Collaboratorium i tanti iscritti – giovani, per la maggior parte riuniti in gruppi nelle case o nelle parrocchie – hanno potuto partecipare all’individuazione degli slogan da usare nella rete per pubblicizzare il sinodo diocesano nei mesi a seguire. Due i passaggi. Il primo, di definizione: “Come tradurre il termine sinodo in modo che sia comprensibile da un giovane d’oggi?”; il secondo, di punteggio: “Diamo una scala di preferenze ai termini che sono emersi”. A questa prima applicazione dell’intelligenza collaborativa ne sono seguite altre nel tempo del sinodo (3 giugno 2017 – 19 maggio 2018), dove i giovani coinvolti dovevano esprimere alcune opinioni sul processo del sinodo così come lo stavano vivendo o aiutarci a individuare delle strategie per coinvolgere i coetanei lontani dalla parrocchia. La costante collaborazione di Andrea Scorzoni, con la sua competenza e professionalità, ci ha aiutato a orientarci nella scelta dei modelli di deliberazione offerti dalla piattaforma; si sono resi pure necessari moderazione e commento dei vari interventi: in ciò, ci ha sostenuti l’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali». Don Zaramella ha infine tracciato un bilancio dell’esperienza di intelligenza collaborativa vissuta: «All’immaginabile valutazione positiva da parte dei “coordinatori” del sinodo, va aggiunto l’entusiasmo dei giovani nel sentirsi legati in una sorta di agorà virtuale, che ha messo in collegamento molti di loro che normalmente non riescono a parlarsi e a confrontarsi proprio per le distanze geografiche; inoltre Collaboratorium ha attivato un positivo coinvolgimento e una presa in carico di responsabilità e di processi di scelta e di decisione, vincendo quel pregiudizio molto diffuso negli ambienti ecclesiali per cui “tanto non cambia mai niente” oppure “tanto io non conto niente”».

Invitato a sintetizzare il nesso tra l’esperienza presentata e il tema del workshop, il giovane presbitero ha espresso la sua opinione: «Una piattaforma di intelligenza collaborativa contribuisce a superare i limiti delle riunioni in presenza – barriere spazio-temporali e dinamiche emotive –; è permesso il coinvolgimento sia di piccoli gruppi – come l’équipe ministeriale di parrocchie affidate a un unico presbitero – sia delle stesse parrocchie. Dalla questione presentata e sviscerata dando tempo al ragionamento, scaturiscono, e sono tracciabili, le “opportune” scelte pastorali, che nella vita concreta saranno viste come frutto di un “cammino insieme” di prete e parrocchie, perché nulla di quanto detto è andato perduto, tutto è stato considerato. In quelle scelte le parrocchie si “riconosceranno”. Per poi tornare sulla piattaforma per una verifica, che sarà oggetto di un nuovo processo di intelligenza collaborativa. Il guadagno in termini di contributo e responsabilità laicale non sarà minimo».

Una scuola di preghiera a portata di click

«Sentiamo che il Signore ci chiama a una relazione forte e significativa con lui, ma ci manca un’adeguata educazione alla preghiera personale e – nonostante alcune proposte che troviamo nei percorsi esistenti – in tanti ci sentiamo lasciati soli per un cammino spirituale che possa farci incontrare il Signore e nutrirci nel quotidiano».[8] Si tratta di un passaggio della lettera dei giovani alla Chiesa di Padova, consegnata al vescovo diocesano Claudio Cipolla, a conclusione del sinodo diocesano dei giovani (3 giugno 2017 – 19 maggio 2018).[9] «Un passaggio che ci ha provocati», ha detto nel workshop don Paolo Zaramella, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile, «consapevoli che alla base dell’intero testo sinodale ci sono le voci di cinquemila giovani, tra i 18 e i 35 anni, di cui almeno un migliaio dichiaratisi non credenti o non frequentanti. Di qui la proposta della scuola di preghiera online». Ha poi ceduto la parola a don Federico Giacomin, direttore del Centro di spiritualità diocesana «Villa Immacolata» in Torreglia e vicedirettore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile, che ha evidenziato come ha preso forma la propost: «Ci siamo interrogati – e tutt’oggi ci interroghiamo – sul “cosa fare” per aiutare i giovani a (ri)attivare la vita spirituale. Questa, come sappiamo, ha bisogno d’incontro, di guida spirituale, di partecipazione e “contatto”. Di certo occorre “uscire” nella quotidianità del giovane, che è sempre più accelerata e pervasa dal digitale. Siamo consapevoli che il giovane quando accende il suo smartphone entra in un contatto che attiva una vita, che è sicuramente sua, ma con contorni che non possiamo definire. Come immettere, allora, dentro quei canali digitali già vitali per i giovani, una vita attiva spirituale atta a portare un esiguo numero di essi a un incontro con il Signore Gesù? La nostra proposta avrebbe dovuto considerare parametri di comunicazione come velocità e chiarezza: si è così pensato a video di due o tre minuti». Don Giacomin ha poi specificato: «La scuola di preghiera online è costituita da dodici puntate – video, per l’appunto – che a partire da lunedì 17 dicembre 2018 sono stati pubblicati sul canale YouTube della diocesi con cadenza settimanale, e diffusi anche attraverso altri social. Una scuola con durata di tre mesi, quindi. Una scuola sempre pronta ad accogliere. La pubblicazione su YouTube, infatti, ha permesso e permette al giovane di iniziare il percorso al tempo ritenuto più opportuno. Con un’unica raccomandazione: seguire l’ordine delle puntate, con fruizione a cadenza settimanale. Il percorso, infatti, attraverso esperienze basilari in progressione, costituisce l’ABC della vita relazionale con il Cristo. Ogni puntata individua un tratto – aiuta a comprendere cos’è pregare – e un movimento – un piccolo esercizio dentro la confusione di ogni giorno –. Il punto di partenza è proprio quella richiesta in Luca 11,1: “Signore, insegnaci a pregare”; fino a passare al segno di croce fatto in modo consapevole; per entrare in una chiesa e saper contemplare il crocifisso; per arrivare a reimmaginare quel crocifisso contemplato e diventare come quel crocifisso contemplato; fino alla preghiera del cuore: “Signore, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore”; con la richiesta al giovane di entrare a fine giornata in quell’atto che chiamiamo “esame di coscienza”. Osservo che già nella seconda puntata si chiede al giovane di andarsi a confessare: l’alzata di scudo può accadere; si sa bene, però, che la purificazione del cuore è uno dei primi passaggi per attivare il rapporto con il Signore. La proposta, quindi, non si abbassa al compromesso. Tutto ciò attiva una vita concreta, non virtuale, e carica di senso l’esperienza digitale».

La testimonianza della giovane studentessa in fisica Camilla Forza ha reso palese come la proposta della Chiesa patavina non sia rimasta confinata nel digitale, ma abbia generato movimenti «oltre il click». La studentessa ha detto: «All’invito a partecipare[10] è seguito un patto con me stessa: iniziare il percorso e portarlo alla fine. Ero consapevole che avrei fatto tanta fatica. D’istinto, quindi, ho invitato alcuni colleghi universitari a partecipare, ad «accompagnarci» nel percorso. Condividere, anzitutto, ma anche motivarci a vicenda a compiere un passo in avanti. Un invito che da subito ha trovato piena accoglienza. Quei tre minuti di video, infatti, fanno presa sul giovane, perché parlano il suo linguaggio e sono fortemente inclusivi: comunicano! Il concetto di «movimento», poi, veicola la possibilità di aver bisogno di un aiuto. Il «movimento» proposto, infatti, s’inserisce nella quotidianità di ciascuno, in situazioni di vita non sempre favorevoli per la sua attuazione: ciò dà origine a un conflitto interiore, che va risolto. Talvolta si ha bisogno di una parola ulteriore». Considerando la sua esperienza, la giovane ha anzitutto richiamato un suo momento di «contrasto». Ha detto: «La decima settimana della scuola di preghiera è di invito ad “allargare” il nome di Gesù riempendo le proprie giornate della lode e della gratitudine a lui, con l’espressione “Signore, ti lodo e ti ringrazio!”. Ciò, per me, è coinciso con la settimana in cui ho sostenuto un esame universitario che non è andato. Come avrei potuto compiere senza forzature quel movimento proposto? Si è trattato allora di allenare lo sguardo – quello interiore – per osservare la giornata in modo diverso e trovare motivazioni di felicità al di là dei miei principali interessi: motivazioni “altre” che, probabilmente, senza quell’umano fallimento non avrei neanche considerato. E allora: “Signore, ti lodo e ti ringrazio!”. Che fatica!». La giovane Forza, poi, ha ricordato un momento di «contrasto» vissuto da una sua amica. «Mi disse: “Ho un problema con la scuola di preghiera di questa settimana. Non mi confesso da tre o quattro anni. Davvero non riesco a dare un senso al ‘movimento’ del dovermi confessare; non rubo, non faccio niente di male”. Gli risposi: “Guarda che è il momento in cui torni a volerti bene”. Era bastato un video perché nella sua vita si riaprisse in modo prepotente la questione della confessione; ed era stata sufficiente una “risposta – testimonianza” di una coetanea compagna di viaggio, perché ritrovasse almeno una motivazione per farlo».

Ricentrando sul tema del workshop, don Federico ha detto: «Un parroco con più parrocchie che vuol (ri)attivare vita spirituale potrà suggerire ai giovani e alle famiglie delle comunità affidategli di seguire la nostra esperienza: la scuola di preghiera online, come già evidenziato, è a portata di click. Potrà anche realizzarne una simile avvalendosi della creatività e delle competenze digitali dei giovani. Di certo, nel suo giro «a calendario», troverà qualcuno, com’è capitato a me e don Paolo, desideroso di confrontarsi o di vivere un momento di spiritualità».

#ParlaGiovane e parrocchia senza preti

«Vi presenterò un progetto che ha preso forma nella Chiesa di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo nel tempo di Quaresima-Pasqua, in una sperimentazione di pastorale digitale pensata con il Centro di orientamento pastorale (COP), che ha inteso intrecciare le questioni della “catechesi ai giovani” e quella a tema della “69a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale”, ovvero “Parrocchia senza preti. Dalla crisi delle vocazioni alla rinnovata ministerialità laicale”». Con queste parole, Alessandro Rea, presbitero e direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, ha introdotto nel workshop l’esperienza denominata #ParlaGiovane. Un’esperienza che, secondo mons. Gerardo Antonazzo, pastore di quella diocesi, «ha inteso anzitutto “elaborare” in chiave digitale questioni emerse nel sinodo dei giovani, che si ritrovano nell’Instrumentum laboris, nel Documento finale, e nella Christus vivit». Don Alessandro Rea ha precisato: «#ParlaGiovane dice appunto il dare parola al giovane, a ogni giovane. Mettersi in ascolto dei giovani, infatti, è la prima consegna del sinodo. Proprio come nel cammino verso Emmaus (Lc 24,13-15), dove il Signore, misteriosamente, si fa prossimità per sempre. E di tale prossimità la Chiesa dovrebbe essere custode generosa e testimone appassionata. #ParlaGiovane è aperto sia ai giovani sia agli adulti: è esperienza, quindi, che vuol favorire il dialogo tra generazioni: la seconda consegna del sinodo. #ParlaGiovane, poi, è un modo nuovo di mettersi in ascolto e di dialogare, ovvero “tra new media e vita concreta”; ed è invito alla Chiesa a parlare i linguaggi dei giovani. Ciò rimanda alla terza consegna del sinodo, ovvero l’attenzione al mondo digitale – con le sue ricadute – e, più in generale, al comunicare». Don Alessandro è poi entrato nel concreto dell’esperienza 2019. Ha detto: «#ParlaGiovane si è concretizzato anzitutto in una diretta streaming settimanale sul social Facebook, in ogni venerdì del tempo di Quaresima, alle 19.15. L’esperienza è stata pubblicizzata con largo anticipo avvalendosi dei social, e con il passaparola nelle scuole superiori e nelle parrocchie. In apertura di ciascuna puntata un giovane, scelto tra quelli che già partecipano a percorsi di catechesi in parrocchia, ha espresso un “commento-provocazione” considerando il vangelo della domenica. La scelta di affidare a un giovane l’apertura di una catechesi per giovani, trova la sua motivazione nel riconoscere al giovane di essere il primo evangelizzatore tra i suoi coetanei, consegna che fu già del Vaticano II (cf. Apostolicam actuositatem, 12), che Giovanni Paolo II amplificò e che il sinodo ci ha riconsegnato. In studio, insieme con me, alcuni giovani, un altro sacerdote o una suora: al «commento-provocazione», infatti è sempre seguito un approfondimento in dialogo; il numero di cellulare in sovraimpressione ha permesso a giovani e adulti di interagire con lo studio via WhatsApp. Di fatto, in studio si è cercato di essere attenti al metodo del discernimento – riconoscere, interpretare, scegliere –, che ha caratterizzato il sinodo ed esige applicazione nella nostra pastorale. Per completezza evidenzio le parole chiave che hanno caratterizzato l’intero percorso quaresimale. Alla domenica «delle tentazioni» è stata associata l’etichettata #bivio; alla domenica «della trasfigurazione», l’etichetta #cambiamento; alla domenica «del fico sterile», l’etichetta #fiducia; alla domenica «del Padre misericordioso e dei due fratelli», le etichette #libertà, #perdono, #giustizia; e infine alla domenica «dell’adultera perdonata», l’etichetta #giudizio. Al termine del ciclo di appuntamenti quaresimali, è circolato l’invito ai parroci di riproporre nelle parrocchie, nel tempo di Pasqua, una delle cinque puntate, per una serata d’incontro e di dialogo con i giovani, verso la veglia diocesana di Pentecoste. Chiaramente, tale serata si sarebbe inserita nel solco della lettera pastorale per l’anno 2018-2019,[11] con l’auspicio del vescovo Gerardo Antonazzo che ambienti educativi come quello della parrocchia, della scuola e dello sport entrassero in interazione».

Don Alessandro Rea ha specificato: «Per quanto concerne la catechesi ai giovani, il tempo di Pasqua è stato più impegnativo per cinque parrocchie della diocesi appartenenti a comuni diversi: queste hanno aderito alla sperimentazione “#ParlaGiovane e parrocchia senza preti”, che si è avvalsa della piattaforma web #Giovani&Chiesa[12] implementata dal COP. Antonazzo e il vescovo presidente del COP, Domenico Sigalini, hanno indirizzato ai giovani di queste parrocchie un messaggio in cui si legge: “Vi ringraziamo per l’adesione all’utilizzo della piattaforma #Giovani&Chiesa […] che implementa il metodo sinodale, quello che papa Francesco chiede all’azione pastorale odierna, e non solo in ambito di pastorale giovanile. Siete dunque pionieri, sperimentatori di un nuovo modo di essere Chiesa, anche nel continente digitale: un compito privilegiato. […] Una via che a partire da tracce sui cinque video del progetto #ParlaGiovane vi permetterà di ascoltare, pensare in gruppo e postare risposte espresse in linguaggio giovane’; potrete confrontarvi tra parrocchie, e anche interagire con un sacerdote moderatore. Il calo numerico dei preti, infatti, ci porta sempre più ad avere un parroco per più parrocchie, talvolta distanti.

Per questo sarà sempre più necessario avvalersi di strumenti di catechesi e dialogo a distanza, che non vogliono escludere l’incontro reale, ma prepararlo o prolungarlo”».[13]

Alessandro Rea, tracciando un bilancio dell’esperienza, conclude: «#ParlaGiovane ha permesso all’apostolato biblico diocesano, al Servizio diocesano per la pastorale giovanile, all’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali e al team “Pastorale Ddigitale 2.0” di impegnarsi “insieme”: questo è stato un primo passo rilevante. Vi è stata poi una costante attenzione al dover “parlare giovane”, per non essere abbandonati nella proposta dopo una manciata di secondi. Sul fronte della “parrocchia senza prete”, l’esperienza ha interessato e soprattutto ha aiutato a mettere in circolo il discernimento auspicato da papa Francesco, in stile di sinodalità. Quanto è emerso è confluito nella veglia diocesana di Pentecoste, dove abbiamo sentito il calore della comunità diocesana riunita in preghiera, e del fuoco, consegnato a noi sacerdoti e ai laici adulti e giovani. Per essere corresponsabili nell’annuncio del vangelo nella quotidianità, nella cosiddetta condizione onlife».

Fortunato Ammendolia, informatico e animatore della comunicazione e della cultura del COP,

studioso di pastorale digitale, «sentiment analysis» in ambito religioso, intelligenza artificiale ed etica

[1] Canone 517 – §1. Quando le circostanze lo richiedono, la cura pastorale di una parrocchia, o di più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata in solido a più sacerdoti, a condizione tuttavia che uno di essi ne sia il moderatore nell’esercizio della cura pastorale, tale cioè che diriga l’attività comune e di essa risponda davanti al Vescovo. §2. Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale.

[2] Giovanni Villata, Le unità pastorali: uno snodo fondamentale per il rinnovamento della Chiesa, 69a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, Centro di Orientamento Pastorale.

[3] Cf. Pier Cesare Rivoltella, Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo. Atti della 71a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, Roma, 21-24 maggio 2018.

[4] Cf. L. Floridi (a cura di), The onlife manifesto. Being human in a hyperconnected era, Springer, Berlino 2015.

[5] Piattaforma realizzata in Spagna dalla società DontKnow.

[6] Si osserva che questi modelli raccolgono il 95% delle casistiche riguardanti le deliberazioni.

[7] WebCattolici Italiani (WeCa) è un’associazione costituita in Italia. L’associazione è apolitica, apartitica, non ha alcuna finalità di lucro ed ha il seguente scopo: offrire un punto di riferimento per i siti informatici di ispirazione cattolica, che si riconoscano nella piena comunione della Chiesa cattolica, secondo i criteri indicati dal can. 205 del Codice di diritto canonico, e ne accettino il magistero; promuovere attività formative, educative e culturali, utilizzando Internet o in relazione al mondo della rete informatica, secondo i principi della morale cristiana e in ascolto del magistero della Chiesa cattolica; diffondere iniziative e proposte di carattere pastorale e culturale che favoriscano la diffusione di contenuti di fede nel World Wide Web; favorire il dialogo tra i diversi livelli delle strutture ecclesiali per l’uso delle nuove tecnologie informatiche e della comunicazione; incoraggiare l’utilizzo di Internet e delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione da parte delle realtà cattoliche. (Cf. Statuto, artt.1, 3, www.weca.it).

[8] Sinodo dei giovani della diocesi di Padova, «Vi ho detto queste cose perché la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11), Lettera dei giovani alla diocesi di Padova, 5.

[9] Il testo si presenta come una risposta alla domanda del vescovo Claudio Cipolla: «Cosa secondo te vuole il Signore per la Chiesa di Padova?». È frutto del lavoro di discernimento di 160 giovani tra i 18 e 35 anni che hanno costituito l’Assemblea sinodale del Sinodo dei giovani. Nella stesura del testo i giovani dell’Assemblea hanno usato le parole, le espressioni, gli aggettivi che hanno letto nelle relazioni dei gruppi sinodali, in modo da dare voce ai giovani che hanno partecipato al Sinodo.

[10] La scuola di preghiera online può considerarsi una «scuola nella scuola». Essa s’inserisce all’interno di un percorso annuale di educazione alla preghiera che il seminario maggiore diocesano cura da vent’anni. La veglia di preghiera, presieduta dal vescovo diocesano, è un momento di questo percorso. L’invito di cui si parla è stato rivolto nella veglia di preghiera tenutasi il 12 dicembre 2018.

[11] Gerardo Antonazzo, Giovani in famiglia: l’orgoglio e la fatica di crescere. Tra fede e discernimento vocazionale, Lettera pastorale per l’anno 2018-2019.

[12] La piattaforma è accessibile dal sito ufficiale del COP: www.centroorientamentopastorale.it

[13] Le stanze attivate sulla piattaforma #Giovani&Chiesa hanno visibilità pubblica. Per accedervi selezionare “La tua voce”, e poi “Voci da #ParlaGiovane 2019”.  Nelle stanze sono visibili i video di #ParlaGiovane, altrimenti fruibili dal sito ufficiale della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, o dal suo canale YouTube.