Sabato 13 maggio ha avuto luogo la conferenza stampa di presentazione del Messaggio di papa Francesco per la IV Giornata mondiale dei poveri, che ricorre quest’anno il 15 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario. Ecco gli snodi in cui si articola il Messaggio.
In un mondo travolto dal «dolore» e dalla «morte»
La riflessione del papa, dal titolo «Tendi la tua mano al povero» (Sir 7,32), si svolge non su un concetto astratto di povertà, ma su una povertà che si interfaccia coi volti reali dei poveri, quelli antichi e quelli nuovi. Quelli degli affamati e dei senzatetto, che sono stati sempre con noi e quelli che sono spuntati, numerosi, in questo tempo di pandemia, tempo di dolore e di morte che, pur mettendoci alla prova provocando «sconforto» e «smarrimento», ci ha fatto scoprire, nella concretezza di un gesto teso a dare aiuto, tante storie di bene, «gesti che danno senso alla vita».
Tendere la mano al povero
Proprio in questo specifico contesto di pandemia, l’aver teso la mano da parte di medici, infermieri, volontari, sacerdoti a chi ha sperimentato dolore e morte, ha mostrato «le tante opere di bene» che hanno fatto maturare «l’esigenza di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima vicendevole». Nel contempo, «ha fatto risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici». Mani che spostano il denaro decretando la miseria di molti o «il fallimento di intere nazioni»; mani che accumulano soldi vendendo armi che «altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà». Mani che passano la droga, che scambiano favori illegali per guadagno e diventano complici dell’egoismo e del cinismo, sviluppando «una globalizzazione dell’indifferenza» e diventando «incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri».
Le mani dunque vanno pulite, per diventare «strumenti di giustizia e di pace per il mondo intero».
Il richiamo di papa Francesco alla Chiesa, è di lasciarsi interrogare dai poveri, ascoltando il loro «grido silenzioso» al quale il popolo di Dio è chiamato a rispondere con la testimonianza, la solidarietà, impegno che non è lecito delegare a nessuno, perché il bene comune è «un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali».
Senza calcolare tempo o interessi privati
«La scelta di dedicare attenzione ai poveri – scrive il pontefice – non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare – sottolinea – la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre se stessi al primo posto». È nello sguardo verso i poveri, che la vita cambia direzione, perché l’impegno concreto, guidato dalla carità divina, rende l’esistenza «pienamente umana». Si tratta di vivere la povertà evangelica in prima persona, perché «non possiamo sentirci a posto – scrive Francesco – quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra».
«Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità».
Preghiera e solidarietà sono inseparabili
Il papa ricorda che nella sapienza antica del Siracide, da cui attinge la sua riflessione, si trovano le indicazioni per molte situazioni di vita come la povertà, che «assume sempre volti diversi» e che è il luogo nel quale incontrare Gesù. È nel disagio infatti che bisogna avere fiducia in Dio, costruendo con lui un’intima relazione attraverso la preghiera. «Il costante riferimento a Dio, non distoglie – scrive papa Francesco – dal guardare all’uomo concreto; al contrario, le due cose sono strettamente connesse. La preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili». La benedizione di Dio scende quando è accompagnata dal servizio ai fratelli.
Gesti che danno senso alla vita
Francesco ricorda i «gesti che danno senso alla vita», spesso ignorati eppure presenti e vivi. Quando infatti certi gesti conquistano la cronaca, «gli occhi diventano capaci di scorgere la bontà dei santi della porta accanto, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio». Sono gesti che aprono alla speranza e ci spingono ad andare oltre, a costruire legami che danno senso alla vita.
Però non ci si improvvisa strumenti di misericordia
Prendendo atto del «grande senso di disorientamento e impotenza» provocati dalla pandemia, papa Francesco ricorda che «non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi» e prendere sempre più coscienza di coltivare legami stabili nel tempo.
Non lasciare in letargo la responsabilità
La pandemia ci ha fatto sperimentare «il senso del limite», «la restrizione della libertà»; ha provocato la perdita degli affetti più cari, del lavoro; abbiamo scoperto la paura e, al tempo stesso – evidenzia Francesco –, «quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale» e «l’esigenza di una nuova fraternità».
«Le gravi crisi economiche, finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno deve sentire verso il prossimo ed ogni persona».
Tendere all’amore
«In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine»: si legge nel Siracide. Il papa ricorda che questa espressione si presta ad una duplice interpretazione. La prima evidenzia che abbiamo bisogno di tenere presente la fine della nostra esistenza. La seconda, sottolinea invece il fine, lo scopo verso cui ognuno tende, «il fine di ogni nostra azione che non può essere altro che l’amore». «È questo – scrive il papa – lo scopo verso cui siamo incamminati e nulla ci deve distogliere da esso. Questo amore è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore».
«Tendere la mano al povero», è dunque un invito alla responsabilità, come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda san Paolo: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. […] Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 5,13-14; 6,2).
«Il sorriso, spiega Francesco, che doniamo al povero è quindi la “sorgente di amore” che permette di “vivere nella gioia”, è espressione di chi non fa pesare l’aiuto che offre ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo».
Con lo sguardo rivolto a Maria, la madre dei poveri, Francesco conclude il suo Messaggio: «Possa la preghiera alla Madre dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata».
Per concludere
La Giornata mondiale dei poveri è pertanto un’occasione per renderci conto che nel mondo non governa il caso, ma le scelte che le persone fanno. È un’occasione importante per evidenziare la dignità e la responsabilità della libertà che a tutti appartiene. Punto fermo da cui partire, è la consapevolezza di essere tutti poveri e certi che giustizia e fraternità sta alle nostre scelte farle incontrare.
Salvatore Ferdinandi, vicario episcopale della diocesi di Terni Narni Amelia, già responsabile del Servizio promozione Caritas di Caritas italiana