Don Alberto Brignoli, Parroco dell’Unità Pastorale dell’Altopiano Selvino-Aviatico, Diocesi di Bergamo
In questo particolare momento storico legato alla pandemia da Covid-19, ho capito il concetto teologico di “limbo”, soprattutto se lo applico all’esperienza che, personalmente, vivo in ambito pastorale. Premetto che, se devo scegliere tra l’incertezza del limbo attuale e la pena dell’inferno vissuta tra la fine di febbraio e la metà di maggio, mi rimangono pochi dubbi. Basti pensare ad alcuni dati:
- nell’Unità Pastorale di cui sono parroco (circa 2500 abitanti), i morti per Covid sono stati 25, numero che mediamente si verifica in due anni;
- la nostra collocazione geografica, a mille metri d’altitudine (quindi apparentemente in una zona isolata e favorita da un clima salubre), ci vede tuttavia a soli 11 km da Nembro e a 16 dall’ospedale di Alzano Lombardo;
- legata alla nostra posizione geografica è anche la considerazione sull’economia. Il clima, le strutture, la posizione a una sola ora di auto da Milano, fanno del nostro altopiano una delle principali mete del turismo e della villeggiatura in bergamasca. Il periodo del lockdown coinciso con la Pasqua e con i ponti festivi di fine aprile – inizio maggio, ha messo in ginocchio una zona che basa la propria economia esclusivamente sul turismo.
In questa “infernale” situazione, qual è stato il tipo di presenza che la Comunità Parrocchiale ha cercato di far sentire ai propri concittadini? Anche noi ci siamo mossi secondo il principio del “si salvi chi può!”, facendo l’unica cosa possibile, ovvero cercare di far sentire alla gente la nostra presenza, la nostra voce, i nostri pensieri. Chiunque di noi ha cercato in qualsiasi modo di utilizzare ciò che aveva a disposizione per far sentire la propria vicinanza al gregge che gli era affidato, e che si sentiva smarrito, abbandonato, non solo dai propri pastori, ma anche dal Pastore supremo. Quindici giorni di isolamento da tutto e da tutti, per noi sacerdoti (uno dei quali, purtroppo, deceduto il 25 marzo) sono stati un’enorme sofferenza, soprattutto perché non ci è stato possibile compiere il gesto di vicinanza più grande che il momento richiedeva: seppellire i defunti, laddove ancora c’era la possibilità di farlo. Il poco fatto è stato affidato ai social: attraverso testi e videomessaggi abbiamo cercato di far sentire la nostra voce e di dare il nostro coraggio alle persone, finché non abbiamo potuto tornare a celebrare la santa messa, trasmessa attraverso la radio parrocchiale. Da lì, l’idea di portare la connessione di rete nella chiesa principale: la celebrazione con la diretta video in streaming è divenuto il modo più efficace per far sentire la nostra vicinanza ai parrocchiani, trasmettendo tutto ciò che era possibile, e registrando catechesi e videomelie rivisitabili nell’archivio del nostro canale YouTube. Anche terminato il lockdown, abbiamo preferito mantenere ancor oggi almeno una celebrazione domenicale trasmessa in streaming. Poco a poco, abbiamo cercato di alimentare nei fedeli la speranza che il periodo estivo che si stava avvicinando ci avrebbe visto protagonisti nel gestire una ripartenza graduale ma decisiva verso il ritorno a un’apparenza di normalità.
Come ci siamo mossi (e come ci muoveremo) in questo complesso periodo dell’anno pastorale? Vorrei descrivere questo particolare momento lasciandomi guidare da quattro orientamenti pastorali.
Cittadinanza
Fondamentale è stato e sarà attenersi a tutte le normative comportamentali che ci sono state richieste dalle amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, anche se ciò significa dispendio di energie, di tempo e, ovviamente, di denaro. Non possiamo e non dobbiamo fare di testa nostra, perché non viviamo da soli in questo mondo e, come cristiani, non possiamo non avere a cuore la salute di tutti: anche se questo comporta rinunce e sacrifici, come quelli di non poter fare, nelle nostre parrocchie, tutto quello che facevamo prima. Faremo altro, faremo di meno, lo faremo meglio, ci concentreremo sulle cose essenziali: e sono convinto che questa svolta verso l’essenzialità non può che farci del bene. Qui spezzo una lancia a favore delle nostre comunità parrocchiali, devo dire in tutta Italia: credo che le chiese e le parrocchie siano state le istituzioni e i luoghi che maggiormente hanno contribuito a rispettare e far rispettare e regole del distanziamento sociale e di tutto ciò che contribuisce a evitare il pericolo di contagio. Non così, credo, altri luoghi e momenti aggregativi.
Buon senso
Non può mancare una grande dose di buon senso, evitando sia l’eccessiva prudenza, sia l’eccessivo lassismo. Il buon senso che noi abbiamo messo in atto ci ha portato, ad esempio, a evitare la presenza di un servizio d’ordine in occasione delle celebrazioni liturgiche. Abbiamo preferito dare un’immagine di accoglienza (soprattutto verso turisti e villeggianti) piuttosto che di limitazione della libertà; abbiamo preferito lavorare sulla responsabilità personale piuttosto che sul controllo “poliziesco”; abbiamo puntato sull’esempio, più che sulla parola (chi scrive non toglie mai la mascherina durante tutta la durata della celebrazione, e questo perché non trovo onesto chiedere agli altri di fare ciò che io non faccio); abbiamo puntato su ciò che rende più sicura la gente, piuttosto che su ciò che dà soddisfazione a livello spirituale, per cui, favoriti dal bel tempo, abbiamo predisposto la messa domenicale in spazi esterni. Le nostre celebrazioni liturgiche da una parte hanno creato senso di coesione e dall’altra mantenuto ognuno in un personale senso di privacità e sicurezza.
Responsabilità
Uno dei problemi principali in questo momento di “limbo” ha riguardato la responsabilità (anche penale) che alle parrocchie viene attribuita nel caso in cui, all’interno di un luogo o di un’attività riconducibile alla comunità parrocchiale, si dovesse verificare un caso di positività o addirittura un focolaio di contagi. Le parrocchie sono state invitate a valutare l’opportunità o meno di mettere in atto quelle iniziative e attività che caratterizzano da sempre il periodo estivo delle nostre comunità (Centri Ricreativi Estivi, Feste e Sagre, sale bar, cinema, attività sportive) ma anche tutto ciò che concerne la celebrazione dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana dei ragazzi. La domanda che tutti ci siamo posti è stata: “Cosa facciamo? Ripartiamo o teniamo tutto chiuso?”. Le nostre comunità sono comunque ancora provate e scosse da quanto si è vissuto. Basti pensare che il nostro cinema parrocchiale (passato da 450 a 110 posti) in un mese di proiezioni quotidiane ha avuto una media di presenze di 20 persone a spettacolo, sintomo di una paura a ritrovarsi con altra gente in ambienti chiusi.
Non è stato facile decidere: i vincoli e le limitazioni erano e sono talmente forti, che molti sacerdoti hanno preferito non assumersi una responsabilità così grossa. Ma la responsabilità ha varie facce. C’è la faccia della responsabilità prudente, che spinge a fare il meno possibile concentrandosi su ciò che non è rischioso; ma c’è anche la faccia della responsabilità che non esita a mettersi in gioco, che si assume la responsabilità di sapere che le famiglie, i ragazzi, gli anziani, non possono essere lasciati a se stessi. A partire da questa responsabilità attiva, condivisa con le famiglie e con le amministrazioni, abbiamo realizzato il Centro Ricreativo Estivo, sia pure per un numero dimezzato di ragazzi. La presenza numerosa di anziani, soprattutto tra i villeggianti, ci ha spinti, in collaborazione con l’Associazione Anziani, a riaprire spazi ricreativi per la terza età in oratorio, dando così un’opportunità di incontro a una delle categorie più colpite in questi mesi. Riguardo al bar, la difficoltà nell’usare strutture interne ci ha indotto ad avviare l’apertura di un dehors di tavolini e sedie all’aperto sotto una tensostruttura, almeno per il mese di agosto.
Un’ultima menzione va fatta per i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana dei ragazzi. Da subito, la scelta della comunità è stata quella di non rimandarli all’anno successivo, in quanto l’età dei ragazzi (in particolare dei Cresimandi) avrebbe giocato a loro sfavore. Abbiamo quindi deciso di concentrarli in tre domeniche tra settembre e ottobre, vivendoli non come conclusione di un anno catechistico ma come inizio di uno nuovo. Ovviamente, le tre celebrazioni si improntano su essenzialità e sobrietà, a partire dall’obbligato contingentamento dei posti in chiesa, cosa che rischia di far perdere il senso comunitario di queste celebrazioni: abbiamo comunque pensato di ovviarvi, consentendo (se il tempo sarà clemente) la partecipazione della gente distanziata sul sagrato della Chiesa e trasmettendo in diretta streaming le cerimonie.
Precarietà
Questo è un punto-chiave. Se negli anni precedenti la nostra programmazione pastorale lavorava su medio e lungo termine, da quest’anno ci dobbiamo preparare a vivere la programmazione con un duplice respiro: quello speranzoso del medio termine, e quello realistico del termine breve, se non addirittura del quotidiano. Dobbiamo però imparare ad assumere la precarietà anche come elemento positivo, ovvero come l’opportunità di rimettere in discussione, sia pur forzatamente, tanti nostri schemi che a volte rischiano di diventare caselle inossidabili e inattaccabili dove stimolare a un cambiamento risulta impossibile. Non possiamo pensare di ragionare ancora con la logica dell’ “abbiamo sempre fatto così”, che se è già di per sé sempre molto limitante per la vita della Chiesa, in una situazione come questa diventa assolutamente deleteria. Allora, questo senso di precarietà, invece di farci sentire sempre in bilico, ci può stimolare a diventare creativi, duttili, pronti alla voce dello Spirito, aperti alle novità della fase epocale che stiamo vivendo, determinati a non lasciarci trascinare dagli eventi, ma a vivere in continua discussione con noi stessi e pronti sempre, come dice l’apostolo Pietro, a “rendere ragione della speranza che è in voi”.
E concludo proprio con l’accenno a questa meravigliosa virtù teologale: se per i giorni che verranno non sappiamo su cosa predicare o su quale tema tenere un ciclo di catechesi per adulti (che sia di presenza oppure on line), parliamo della speranza. Le nostre comunità ne hanno tremendamente bisogno.
Tratto da Orientamenti Pastorali n.10 del 2020 – © Tutti i diritti riservati