Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista e scrittore
Il 1° dicembre 1970 alle 5,40 il presidente della Camera on. Sandro Pertini annuncia l’esito della votazione finale sulla legge Baslini-Fortuna che introduce il divorzio nella legislazione: 319 sì, 286 no. La legge è discussa con il «decretone anticongiunturale». Gli emendamenti democristiani sono respinti. «Tendono ad assicurare – spiega la on. Maria Eletta Martini – una maggiore tutela dei figli, aspetto del tutto trascurato, ma che ha ben altro rilievo nelle legislazioni dei Paesi divorzisti».
Le proposte partono dell’Unità d’Italia (1861)
Il deputato Salvatore Morelli presenta al Parlamento una proposta sostenendo che «quando si possiede un oggetto in modo assoluto lo si disprezza; quando se ne ha un vivo desiderio, lo si ama». Così la donna è ridotta a strumento di piacere e il matrimonio a vincolo sessuale. Non se fa niente. Il guardasigilli Tommaso Villa presenta (febbraio 1881) un disegno di legge che ha una favorevole accoglienza ma non viene discusso. Si progetta il «piccolo divorzio» in due casi: la condanna di uno dei due coniugi ai lavori forzati; la separazione dopo un certo periodo. L’on. Vito D’Ondes Reggio ammonisce che il divorzio è rigettato dai principi religiosi. Il progetto (10 aprile 1883) di Giuseppe Zanardelli, ministro della Giustizia, è così commentato: «Il popolo italiano non reclama il divorzio, ma le leggi devono precorrere il sentimento del popolo». Il progetto (6 dicembre 1901) dei deputati Agostino Berenini e Alberto Borciani decade per la fine della legislatura.
I socialisti lo giudicano un «affare borghese»
La successiva proposta – annunciata da Vittorio Emanuele III nel discorso della Corona (20 febbraio 1902) – è presentata dal presidente del Consiglio Zanardelli e dal ministro della Giustizia Francesco Cocco Ortu. Ma i socialisti Leonida Bissolati e il segretario Filippo Turati precisano che il divorzio non rientra tra le rivendicazioni dei socialisti ma è «una preoccupazione e un’aspirazione borghese». I parlamentari Ubaldo Comandini (febbraio 1914) e Lazzari-Marangoni (febbraio 1920) presentano proposte «per lo scioglimento del matrimonio mediante divorzio», che trovano una rigida opposizione in Parlamento. Un autorevole richiamo (febbraio 1920) viene da «Avanti!», giornale socialista: «Se c’è una legge della quale il proletario socialista non sente il bisogno, una legge piccolo-borghese per eccellenza, degna della mentalità social-massonica, questa è la legge sul divorzio. Indipendentemente dagli ipotetici scopi politici, molto modesti, che non riusciamo a scoprire, il gruppo parlamentare socialista avrebbe ben altro da fare che occuparsi del divorzio».
Anche per i comunisti «è inattuale e dannoso»
Sotto il fascismo la situazione si complica: i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) attribuiscono gli effetti civili al matrimonio concordatario. Prima i due riti erano distinti, ci si sposava in Comune e in chiesa. L’Assemblea costituente ne discute con una proclamazione quasi unanime di «inattualità e dannosità». L’on. Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista, definisce «inattuale e anzi dannoso il divorzio in relazione alle esigenze dell’attuale società italiana». Il socialista Luigi Renato Sansone (ottobre 1954) presenta l’iniziativa di «piccolo divorzio», ma la proposta non è discussa. Il deputato socialista Loris Fortuna presenta (1° ottobre 1965) la proposta di legge n. 2630, che riproduce il progetto-Sansone; il deputato comunista Ugo Spagnoli presenta un’altra proposta di scioglimento. La proposta di Fortuna si combina con quella del liberale Antonio Baslini. Sotto la spinta della Lega italiana per il divorzio (LID) e del Partito radicale di Marco Pannella, la legge passa con una maggioranza comprendente i comunisti, diversa da quella governativa. Prevede per lo scioglimento del matrimonio – per quello religioso cessano gli effetti civili – un iter complesso con un periodo di separazione legale fino a cinque anni.
Paolo VI è a Sydney, lontanissimo da Roma
Dal viaggio in Asia e Oceania (25 novembre-5 dicembre 1970) esprime «profondo dolore, per un duplice motivo: per il danno gravissimo che il divorzio reca alla famiglia italiana e specialmente ai figli; e poi perché la Santa Sede stima la presente legge lesiva del Concordato». Il primo commento su «Avvenire» (2 dicembre) è di Vittorio Bachelet, presidente dell’Azione Cattolica. Toni molto misurati, non «toni aspri da guerra di religione» che i divorzisti attribuiscono ai cattolici; argomenti razionali e laicissimi espressi da un giurista sopraffino: «La scelta dell’indissolubilità o del divorzio è una scelta che inciderà largamente sulla nuova società che nasce, non solo perché condizionerà positivamente o negativamente l’esistenza di famiglie stabili e la solidità della compagine sociale, ma perché contribuirà a diffondere o a cancellare una concezione della vita che per fondare la comunità considera indispensabile una dedizione capace anche di sacrificio». Commenta ancora «Avvenire»: «In tutto l’iter è apparso evidente, che il laicismo è un cemento che unisce forze politiche per natura e fini molto eterogenee». Gli anticlericali – radicali, giovani repubblicani, Lega per il divorzio, sinistra liberale – denunciano i vescovi italiani «per infedeltà alle istituzioni dello Stato e aver svolto attività politica istigando i cittadini (sic!) al disprezzo delle istituzioni e delle leggi». I vescovi, con toni assai miti, replicano: «Nessuna guerra di religione, ma democratico confronto di idee. Pur rispettando la distinzione tra le due sfere di competenza, riteniamo nostro obbligo dare un giudizio su questioni che toccano valori morali fondamentali».
Il referendum del 1974 e il divorzio breve
Alcuni settori cattolici, con l’appoggio della gerarchia, si mobilitano per l’abolizione della legge tramite referendum. Rimandato per le elezioni politiche anticipate del 1972, si tiene il 12 maggio 1974: vince il no all’abrogazione con il 59 per cento. Nel 1975 è approvata la riforma del Codice civile sul diritto di famiglia: prima il marito aveva una posizione di preminenza, ora c’è piena parità tra i coniugi. Nel 2015 è introdotto il «divorzio breve», che permette di sciogliere il matrimonio dopo un anno di separazione giudiziale o dopo sei mesi di separazione consensuale. Nel 2016 sono istituite le unioni civili tra soggetti dello stesso sesso, con uno statuto simile a quello delle nozze. Più limitati i diritti nelle convivenze di fatto.