Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
L’Italia è l’unico grande Paese europeo a perdere abitanti. Nel 2020 la popolazione è diminuita di oltre 300 mila unità (un’enormità). I flussi migratori sono deboli. La vera e più grave emergenza è il calo delle nascite, è l’«inverno demografico» che dura, e peggiora, da decenni. Ne è profondamente preoccupato Papa Francesco. Il 7 febbraio 2021, alla «Giornata per la vita» indetta dalla CEI, diceva: «Mi permetto di aggiungere una mia preoccupazione per l’inverno demografico. In Italia, le nascite sono calate e il futuro è in pericolo! Prendiamo questa preoccupazione e cerchiamo che questo inverno demografico finisca e fiorisca una nuova primavera di bambini e di bambine. Mi unisco ai vescovi italiani, nel ricordare che la libertà è il grande dono che Dio ci ha dato per ricercare e raggiungere il bene proprio e degli altri, a partire dal bene primario della vita. La nostra società va aiutata a guarire da tutti gli attentati alla vita, perché sia tutelata in ogni sua fase».
Francesco apre gli «Stati generali della natalità», dedicati al futuro della demografia in Italia, venerdì 14 maggio 2021 all’Auditorium della Conciliazione a Roma. L’iniziativa è promossa da Gigi De Palo, presidente nazionale del «Forum delle associazioni familiari», e mette attorno a un tavolo istituzioni, imprese, media e mondo della cultura per approfondire la sfida dell’inverno demografico: un appello alla corresponsabilità per far ripartire il Paese proprio dalle nuove nascite.
Un Paese ha bisogno di mantenere un tasso di natalità di 2,1 figli per donna per sostituire la popolazione. In Europa questo tasso è di 1,3, in Italia è ancora più basso e si stima che entro il 2030 ci sarà un deficit di 20 milioni di lavoratori. Anche la Russia prevede di perdere un terzo della popolazione entro il 2050. Il livello di popolazione in diverse parti del mondo sviluppato è in declino. Questo è particolarmente evidente in Italia. Aumenta la durata della vita ma diminuisce il tasso di natalità. Molti Paesi non hanno un numero sufficiente di giovani per rinnovare la popolazione e fronteggiare il peso dell’invecchiamento.
In Italia dal 2008 al 2016 le nascite sono passate da 576.000 a 473.000 con un calo di oltre 100 mila unità. Nel 2010 il tasso di fecondità era di 1,46 figli per donna ed è sceso a 1,35 nel 2016: metà delle donne in età fertile non ha neanche un figlio. Anche l’Europa brancola nell’inverno demografico e la famiglia subisce una crisi senza precedenti. L’Europa è sempre più vecchia e gli anziani sono molto più dei giovani. La sociologa Lola Velarde, presidente della rete europea dell’Istituto per le politiche familiari, sciorina le cifre. Gli anziani superano di 3,4 milioni i bambini e gli oltre 80 anni sono il 4% della popolazione. L’immigrazione è l’unica fonte di crescita della popolazione: 9 su 10 nuovi abitanti sono immigrati. Negli ultimi anni su 3,4 milioni nuovi abitanti 3 milioni sono immigrati e solo 400 mila sono per crescita naturale. La Germania ha più immigrati (7,1 milioni), poi Spagna (5,6), Regno Unito (4), Italia (3,9) e Francia (3,7).
Ogni anno nascono in Europa 8,4 milioni di bambini: una miseria: dove c’è forte immigrazione l’indice si alza, dove non c’è immigrazione (Est europeo) l’invecchiamento corre. Il 27 per cento delle famiglie ha un solo figlio, il 24% due figli, il 6% tre figli, ben il 41% è senza figli.
Nei 27 Paesi UE nel 2008 ci sono stati 2,9 milioni di aborti, cioè un aborto ogni 11 secondi, 327 ogni ora e 7.468 ogni giorno. Le conseguenze dell’inverno demografico e della strage di aborti? Aumento di beni e servizi per anziani, incremento delle pensioni, lievitazione di povertà e solitudine; le famiglie sono sempre meno e sempre più deboli; ci sono sempre meno bambini e giovani. Un bambino su tre nasce fuori dal matrimonio: in Islanda, Estonia, Norvegia, Svezia, Bulgaria, Francia, Slovenia nascono più bambini fuori dal matrimonio che dentro. Sempre in Europa i ragazzi di 14 anni nel 1960 erano il 27,1% della popolazione; nel 2010 sono il 15,9%; nel 2050 saranno l’11,9%. Aumentano in modo esponenziale gli anziani: nel 1960 gli over 65 erano il 13,5% e nel 2050 saranno il 34% di cui un terzo con 85 anni. Il Paese con il più forte invecchiamento è la Slovenia: 1,2 l’indice di fecondità, il 40% degli abitanti supera i 65 anni. Sconfortante, vero? Sì, ma realistico.
L’assegno unico per le famiglie «è una trasformazione epocale destinata a permanere» (Mario Draghi). Da luglio entrerà in vigore per i lavoratori autonomi e disoccupati, che non hanno accesso agli assegni familiari: «Nel 2022 sarà esteso a tutti gli altri lavoratori che nell’immediato vedranno un aumento degli assegni». Nel «Piano nazionale di ripresa e resilienza», finanziato dall’Unione europea, sono previsti «asili nido e scuole per l’infanzia, estensione del tempo pieno, potenziamento delle infrastrutture scolastiche; investimenti nelle politiche del lavoro, nelle competenze scientifiche e nell’apprendistato. Misure da venti miliardi». Per ricevere i fondi le aziende devono «assumere più donne e giovani».
Per avere figli i giovani hanno bisogno di un lavoro, una casa e un sistema di assistenza e servizi per l’infanzia. In Italia la spesa sociale per le famiglie è molto più bassa che in Francia e Regno Unito. Lo dice anche il Pontefice: «Prima i figli; senza natalità non c’è futuro; se le famiglie ripartono, tutto riparte. Dobbiamo mettere prima i figli, se vogliano rivedere la luce dopo il lungo inverno». L’assegno unico va accompagnato da riforme sociali, strutturali e di ampio respiro che mettono al centro «la sostenibilità generazionale». Pone il dilemma: «Che cosa ci attrae, la famiglia o il fatturato? La natalità è tema urgente e basilare. I sogni di vita dei giovani si scontrano con un inverno demografico ancora freddo e buio: solo la metà dei giovani crede di riuscire ad avere due figli».
Dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Le famiglie non sono il tessuto connettivo dell’Italia, le famiglie sono l’Italia». Perché il futuro sia buono – aggiunge Bergoglio – «occorre prendersi cura delle famiglie, specie di quelle giovani, assalite da preoccupazioni che paralizzano i progetti di vita» per colpa dell’incertezza del lavoro e del timore di non sostenere economicamente i costi dei figli: «Penso con tristezza alle donne che sul lavoro vengono scoraggiate ad avere figli o devono nascondere la pancia» o come la pallavolista Lara di Pordenone, chiamata a processo dalla sua società sportiva che le chiede i danni perché rimasta incinta. Francesco: «Com’è possibile che una donna debba provare vergogna se rimane incinta per il dono più bello? Non la donna, ma la società deve vergognarsi, perché una società che non accoglie la vita smette di vivere. Se le famiglie non sono al centro del presente, non ci sarà futuro. Dobbiamo mettere prima i figli se vogliamo rivedere la luce dopo il lungo inverno. Altrimenti tutto finisce con noi. Nella società consumistica bisogna ritrovare il coraggio di donare e scegliere la vita. Dov’è il nostro tesoro: nei figli o nelle finanze? Cosa ci attrae, la famiglia o il fatturato?».
Oltre al ruolo primario della famiglia, fondamentale è la scuola: «Non può essere una fabbrica di nozioni, ma l’occasione per venire a contatto con modelli alti, che formino i cuori e le menti. Spesso passa il messaggio che realizzarsi significhi fare soldi e successo, mentre i figli sembrano un diversivo e un ostacolo. Questa mentalità è una cancrena per la società». Come c’è bisogno di sostenibilità generazionale, «così occorre una solidarietà strutturale, una politica, un’economia, un’informazione e una cultura che promuovano la natalità. Occorrono politiche familiari di ampio respiro, lungimiranti, non basate sulla ricerca del consenso immediato ma sulla crescita del bene comune a lungo termine. Qui è la differenza tra gestire la cosa pubblica ed essere buoni politici». Imprenditori e aziende, oltre a produrre utili, «promuovano vite, non sfruttino le persone con condizioni e orari insostenibili e distribuiscano parte dei ricavi ai lavoratori».