Mary Melone – superiora generale delle suore Francescane Angeline

Una premessa «provocatoria»

Chi può ignorare le tante opere a cui la vita religiosa ha dato vita nei secoli: scuole, ospedali, case di riposo, centri di accoglienza, centri pastorali, comunità missionarie…? La vita consacrata «serve», moltissimo! Ad esempio, «serve» ad assicurare assistenza e cura alla vita in ogni sua fase, dalla fragilità della nascita e dell’infanzia alla fragilità della malattia e della vecchiaia; «serve» a promuovere una cultura fondata sui valori evangelici, a portare coraggiosamente l’annuncio del vangelo in ogni terra, a testimoniare prossimità e condivisione verso ogni forma di povertà.

Si potrebbe dunque rispondere, senza esitazione, che la vita religiosa «serve» a molto, nella Chiesa e nella società! Basterebbe considerare, per fare un esempio in linea con la questione sulla «fruibililità» della vita religiosa, alle tante parrocchie affidate ai religiosi, alle innumerevoli classi di catechismo guidate dalle suore, alle diverse pastorali (caritas, pastorale giovanile e vocazionale, familiare, missionaria ecc.) in cui la presenza dei religiosi, anche a livello diocesano, appare l’unica soluzione possibile…

Perché la vita consacrata nella Chiesa?

Il concilio Vaticano II ha rappresentato anche per la vita consacrata un evento di grande portata carismatica, che ha innescato un movimento di rinnovamento profondo e fecondo allo stesso tempo. Per la prima volta, infatti, un concilio ecumenico si è pronunciato direttamente sullo status ecclesiale della vita consacrata, riconoscendola come parte viva e feconda della vita di santità e di comunione della Chiesa. Si tratta di un’acquisizione fondamentale per la vita consacrata, in quanto le viene riconosciuto un significato imprescindibile per la vita ecclesiale, un significato che scaturisce dalla comprensione del suo aver a che fare proprio con la natura della Chiesa stessa. È quanto chiarirà qualche anno dopo papa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post sinodale Vita consecrata del 1996, affermando che «la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura».

Come si può notare, l’attenzione di questi testi si concentra proprio sul legame intimo di appartenenza che si stabilisce tra la vita consacrata e la Chiesa, sia che ci si riferisca alla sua vita, o alla sua santità, o ancora alla sua missione. Tutta questa insistenza sull’appartenenza della vita consacrata alla Chiesa può essere efficacemente sintetizzata attraverso l’immagine del dono: «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa». La vita consacrata è il dono fatto alla Chiesa da Cristo, perché non manchi mai a essa la testimonianza della sua presenza. Se si prescinde da questa prospettiva, se cioè non si considera la vita consacrata anzitutto come un dono per l’edificazione della Chiesa, la comprensione della vita consacrata rimarrà sempre ancorata a una interpretazione più o meno utilitaristica, capace solo, cioè, di valutare il modo in cui essa incide nell’ambito sociale o le soluzioni, spesso solo di comodo, che può offrire nell’ambito ecclesiale.

I consacrati e le consacrate: chiamati a un’esistenza profetica

La Lettera apostolica scritta da papa Francesco in occasione dell’anno dedicato alla vita consacrata arricchisce la riflessione sulla vita consacrata di una prospettiva nuova, che non ha mancato di suscitare dibattiti e interrogativi. Tale prospettiva ha a che fare con la peculiarità della vita consacrata che, come si è detto, la tradizione ecclesiale ha sempre fatto consistere nella ripresentazione della forma di vita del Cristo. Poiché tuttavia tale ripresentazione spetta in realtà a ogni cristiano in virtù della sua consacrazione battesimale, la caratteristica propria dei consacrati è da sempre stata individuata nella radicalità di tale ripresentazione, radicalità assicurata dalla professione dei consigli evangelici: «La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti»

Sorge allora spontanea una domanda: qual è, dunque, ciò che è richiesto propriamente ai religiosi? È lo stesso Francesco a dare la risposta: «I religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico. È questa la priorità che adesso è richiesta: «Essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra […] Mai un religioso deve rinunciare alla profezia». La profezia si profila così come la risposta vera alla domanda di senso sulla vita consacrata, come il significato più autentico della presenza dei religiosi nella Chiesa. La profezia a cui sono chiamati i consacrati nasce dall’obbedienza alla Parola, dalla comunione con la Chiesa, dalla ricerca costante della volontà di Dio. Proprio per questa ragione il dovere della profezia chiama il consacrato a un atteggiamento di costante discernimento nei confronti del tempo in cui vive: essere profeti, infatti, significa per papa Francesco essere sentinelle, capaci di scrutare la storia, di interpretare gli avvenimenti, di vegliare e di guidare il popolo, come Mosè, all’ascolto obbediente della Parola e all’adesione appassionata alla volontà di Dio.

Il riferimento all’immagine della sentinella serve al santo Padre, in realtà, per indicare il vero compito affidato alla vita consacrata, che egli stesso sintetizza con efficacia come svegliare il mondo. I religiosi e le religiose sono chiamati a svegliare il mondo: è questo, dunque, ciò a cui veramente «servono»! Svegliare il mondo dalla tristezza in cui è piombato, dalla logica individualista che lo attanaglia, dalla frammentazione, dall’indifferenza e da ogni forma di utilitarismo. Tra queste urgenze, senz’altro la prima sembra essere la gioia: la vita consacrata non può rinunciare a essere portatrice di gioia, non può svegliare il mondo se non attraverso la testimonianza credibile della gioia.

Da qui si comprende un’altra urgenza connessa al compito di svegliare il mondo: quella, cioè, di essere testimoni di comunione. La vita fraterna in comunità, che struttura la vita consacrata quale suo elemento distintivo, non costituisce solo una prassi esteriore a cui i religiosi devono attenersi in modo più o meno convinto. Al contrario, la vita fraterna in comunità realizza la chiamata alla comunione di vita che è essenziale per la vita della Chiesa. Dai religiosi ci si attende una testimonianza coerente con il loro essere ritenuti «esperti di comunione», perché quotidianamente chiamati a condividere nell’unità fraterna il loro progetto di vita. La vita consacrata assume dunque in sé, necessariamente, il compito di testimoniare la possibilità di vivere rapporti umani accoglienti, trasparenti, sinceri. Dire che la vita consacrata è esperta di comunione infatti significa, ad esempio, invitare i religiosi anzitutto a verificare il loro modo di stare nelle Chiese locali, dove sono chiamati a inserirsi in modo costruttivo e comunionale, senza pensare a percorsi pastorali o spirituali alternativi o paralleli a quelli diocesani. Se la presenza dei religiosi e delle religiose nelle diocesi non è connotata dal dialogo e dall’apertura, il rischio più immediato è quello della strumentalizzazione, cioè della tentazione di piegare le attività di pastorale a cui si prende parte al raggiungimento dei propri vantaggi, per esempio a livello vocazionale. Tutto questo non solo contraddice la testimonianza di comunione che è legittimo attendersi dai consacrati, ma impedisce anche la costruzione della Chiesa, quando non ne costituisce un ostacolo pericoloso!

Per una conclusione… altrettanto provocatoria!

Lo scopo di queste brevi note è stato semplicemente quello di far comprendere come il porsi la domanda sul valore e sul significato della presenza dei religiosi nella Chiesa impone di andare oltre il piano più semplice e immediato del loro fare, del loro servizio apostolico nelle comunità ecclesiali, per quanto esso possa essere significativo, incisivo e anche quantitativamente rilevante. Certo, il servizio apostolico non è estraneo all’identità e alla missione dei consacrati. I consacrati infatti riconoscono nel servitium caritatis, come ricorda Vita consecrata, la possibilità di rivelare l’amore di Dio al mondo. In questo senso il magistero, fondandosi sulla visione propria della Scrittura, non manca mai di richiamare che la consacrazione comporta necessariamente la missione. La missione è essenziale per ogni forma di vita consacrata, perché ogni forma di vita consacrata ha il compito di rendere presente il Cristo. «Si può allora dire che la persona consacrata è «in missione» in virtù della sua stessa consacrazione, testimoniata secondo il progetto del proprio istituto» (VC 72). Ma proprio questo intrinseco legame tra consacrazione e missione esige, ancora una volta, di andare oltre il piano delle attività pastorale, per riconoscere alla vita consacrata il suo valore di segno. La vita consacrata non potrà mai mancare alla Chiesa, perché essa avrà sempre bisogno del segno escatologico che i consacrati le assicurano: rendere presente nell’oggi il domani del Regno!

(Tratto da Orientamenti Pastorali 12/2019, EDB, Bologna)