Paolo Selvadagi – vescovo ausiliare della diocesi di Roma
Le parole ospitalità e accoglienza dello straniero, dell’estraneo, del prossimo risuonano, oggi, come espressioni di una logica che non sembra essere più la nostra. L’uomo è destinato ad aprirsi. È portato ad accogliere, a essere recettivo fin da quando la prima boccata d’aria corre a riempire i suoi polmoni e lui risponde con un grido. L’accoglienza è condizione necessaria di vita autentica. Le oscillazioni, le incertezze e le chiusure degli stati nazionali, delle istituzioni sovranazionali e dell’opinione pubblica occidentale attorno al tema dell’accoglienza dei migranti riporta in primo piano il tema antico e nuovo dell’ospitalità, ed il suo offuscamento rivela il decadimento dell’etica civile nel mondo occidentale. È il segnale di una regressione del pensiero e della coscienza rispetto ai processi di mondializzazione in atto, che comportano invece interazioni, scambi, aperture e solidarietà.
I vuoti di memoria
C’è da ricordare che il nostro Paese è il risultato culturale di incontri tra popoli diversi. I lasciti di questi popoli e delle loro civiltà sono iscritti nelle testimonianze storiche, archeologiche, artistiche, monumentali e nelle tracce lasciate nella lingua italiana, in usi e costumi delle tradizioni locali. D’altra parte, in epoca a noi molto più vicina, dalla fine del XIX secolo ai decenni successivi al secondo dopoguerra, noi italiani siamo stati un popolo di emigranti verso i Paesi del centro e del nord Europa e verso gli altri continenti. Rifiutare per il principio dell’identità nazionale l’accoglienza dei migranti vuol dire in Italia dimenticare il proprio passato, col quale bene o male bisogna sempre fare i conti, e rinnegare tutti i connazionali perfettamente integrati in tanti altri paesi del mondo, sempre fieri di avere radici familiari e culturali italiane.
Una consapevolezza antica
Senza l’ospitalità l’uomo sarebbe rimasto in balia della logica dello scontro, del conflitto e della tentazione della soppressione dell’altro, logica che ancora oggi minaccia milioni di persone e causa innumerevoli vittime innocenti. La giustificazione dell’accoglienza non può essere lasciata all’emozionale sentimento della compassione. Il desiderio di solidarietà e di vicinanza umana spinge verso gli altri, ma la paura e la minaccia della ostilità, della concorrenza rendono vani gli impulsi all’aggregazione e all’interazione. L’amore e l’odio sono componenti dell’animo umano che non stanno in equilibrio per un bilanciamento reciproco spontaneo. Sono inconciliabili tra loro. Operano o l’uno o l’altro, mai insieme. A meno che non facciano riferimento a principi regolativi superiori e a criteri di giudizio, chiari segnalatori di livelli avanzati di civiltà. Così per lo spirito laico sono i diritti umani, che spingono a cercare la pace e la giustizia; per il credente religioso è il riferimento all’Essere divino, origine e fonte di tutti e di tutte cose; per il cristiano è l’amore di Dio rivelato in Cristo.
La saggezza cristiana sull’ospitalità
Benedetto da Norcia nella «Regola», composta per i suoi monaci, al capitolo 53 scrive: «Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto” » (cap. 53). Aprire le porte, le porte della propria casa allo sconosciuto: pellegrino o povero e comunque bisognoso di aiuto, ma che in un attimo può cambiarsi in nemico e assalitore, è indubbiamente prova di grande coraggio e di alta considerazione della persona umana. Il comune dovere cristiano di prendersi cura degli stranieri, dei pellegrini e di accoglierli è stato centrale nella organizzazione della vita monastica. Le «foresterie» dei monasteri e dei conventi anche oggi sono l’espressione ancora viva della normalità dell’accoglienza. Offrono la loro ospitalità ai pellegrini dello spirito, a quanti cercano spazi di meditazione, di silenzio e contatti con comunità fraterne e solidali. La visione cristiana dell’uomo, soprattutto in Europa, continente che a questa concezione della vita deve molto della sua identità culturale, costituisce come una via luminosa in mezzo al buio dei sinistri scenari, che genera la paura dell’immigrato, straniero o estraneo, immaginato e temuto come un possibile invasore, perfino aggressore. Rispetto all’accoglienza due atteggiamenti opposti, egualmente negativi, stridono con il messaggio cristiano: da un parte, il mostro-fantasma della assimilazione forzata del più debole da parte del più forte, vale a dire da parte della cultura dominante del Paese che riceve, e dall’altra parte, il tentativo di eliminazione delle differenze tramite il rifiuto e il respingimento dell’immigrato.
«Ero straniero e voi mi avete accolto» (Mt 25,35)
L’accoglienza aiuta a esprimere il nucleo centrale del messaggio biblico, è dimensione personale e comunitaria dell’esistenza cristiana. La Bibbia preferisce esprimerla con la parola «ospitalità», nel senso di capacità di essere per gli altri in qualche modo rifugio e sostegno. Il Signore Gesù è stato l’uomo dell’accoglienza. L’ha realizzata nei suoi due momenti fondamentali: l’essere accolto alla nascita, da una parte, e il dare accoglienza senza discriminazioni. Infatti, egli è stato l’uomo ospitato, che è venuto tra di noi per superare l’estraneità dell’uomo sia nei confronti del prossimo sia nei confronti di Dio.
Lo stile dell’accoglienza
Si va delineando, con fatica e, comunque, con solide motivazioni e convinte persuasioni etiche universali, un progetto di «umanità ospitale», fatto di uno stile di vita, di un approccio diverso tra le persone, di creazione di luoghi di vera accoglienza tra gruppi e comunità. Urge allora una pedagogia dell’accoglienza. Un modo diverso di porsi in relazione tra uomini. È un modo di essere e di pensare, che predispone verso rapporti armonici tra le persone: il rispetto, il dialogo, la collaborazione. Esistono delle condizioni interiori, due attitudini tra loro coordinate, le stesse che hanno guidato le scelte di Gesù, i suoi atteggiamenti e lo stile che egli ha proposto ai suoi discepoli.
Essere per gli altri. Il cristiano è, infatti, l’uomo aperto alle necessità degli altri. L’interesse per gli altri svela un indispensabile risvolto sociale. Ora la domanda non è più: «È proprio necessario per il cristiano aprirsi individualmente agli altri?», ma piuttosto: «Che cosa facciamo noi cristiani nella Chiesa e nella società per offrire agli altri spazi di creatività e di libertà, perché possano vivere in pienezza la loro esperienza di uomini?».
Essere con gli altri. Più di qualsiasi altra verità, noi manteniamo vivo il ricordo vivente di Gesù, che si fa prossimo: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo» (Gaudium et spes, n. 22).
La prima rigorosa risposta all’appello dell’accoglienza è la costruzione e l’offerta di una comunità ecclesiale vera, accogliente e fraterna. Siamo chiamati a costruire comunità cristiane, dove sia libero l’accesso a persone ben disposte. Comunità basate sulla libera volontà di prendervi parte: dove non solo si ascolta, si parla, si discute, ma anche si agisce insieme nella partecipazione, nella comunicazione reciproca e nella solidarietà.
I cristiani scelgono la fraternità universale
Sulla ospitalità e sull’accoglienza è in gioco la stessa identità cristiana. L’indicazione di vita illuminata dal vangelo ci invita a operare per la «fraternità universale» (Nostra aetate, n.5), dove con il termine «fraternità» non si vuole intendere un patto di solidarietà tra parti diverse di umanità per specifici interessi comuni, personali o collettivi, che vanno dagli accordi di non belligeranza fino alle solidarietà etniche. Apre, piuttosto, la prospettiva dei legami tra gli uomini, basati sulla comune dignità della persona umana, che costituisce la piattaforma da cui si sviluppano e si dipanano le particolarità e le specificità culturali, religiose, portatrici di ricchezze conoscitive, morali e spirituali dei differenti popoli. Per questa ragione si può affermare che le molte, differenti culture e religioni sono un prezioso patrimonio umano. Non indeboliscono, ma valorizzano la dignità dell’uomo. I cristiani promuovono la fraternità universale.