Domenico Sigalini, vescovo – presidente del COP
Speravamo, forse da illusi alla grande, di iniziare un nuovo anno con maggiore padronanza della pandemia, come ci sembrava di poter interpretare la tenuta delle vaccinazioni, la conquista di continui avanzamenti delle percentuali dei vaccinati, invece dobbiamo fare ancora i conti con il virus e le sue mutazioni. Ma non demordiamo; c’è sempre gente che soffre più di quanto pensiamo che lotta sempre tra la vita e la morte e diamo fiducia al nostro presidente Mattarella e al governo di cui si fa garante.
Si apre un anno nuovo, non smettiamo di progettare, siamo pieni di speranza che è l’ultima a morire. Non avrei mai pensato di vivere da pensionato anni così (e sono già due), in cui ho dovuto reimparare a vivere, a credere, a dare testimonianza della fede, a esercitare il mio ministero. Ho dovuto ricostruire il mio vissuto a partire dalla mia umanità (che significa essere persone oggi, essere uomini cosiddetti maturi, ma sempre vecchi pure, che valori arricchiscono la mia umanità, l’essere parte di una famiglia, di una comunità civile, percorrere quando non c’è lockdown sempre le stesse vie, gli stessi panorami, i campi infiniti di granoturco delle terre basse padane…) ho tentato di ricostruirmi dentro un nuovo modo di credere tra frustrazioni per impossibilità di continuità, di progettualità, di lettura profonda della realtà, ma sempre con la compagnia quotidiana del vangelo che ogni giorno devo annunciare a me prima che agli altri. Il vangelo è una messe di spighe, ciascuna capace di porre semi che sviluppano idee, azioni, pensieri, consolazioni, prospettive, solidarietà, pentimento, gioia del perdono…
Avere il vangelo è sapere dove sta il centro della mia vita di credente, avere guida sicura nelle scelte quotidiane, sentirmi rafforzato nelle prove, saper guardare alla croce e al crocifisso con la speranza della risurrezione, incontrare Lui, il risorto, per le nostre strade. Spesso è trasfigurazione della vita, senza rifugio in tende consolatorie, con un velo di lacrime sugli occhi, ma con la certezza che nella croce c’è una compagnia, una forza, una spinta, un perdono per il peccato, l’ infermità, la depressione.
La testimonianza di fede non è più legata soprattutto ai ragionamenti e si apre alla condivisione di pensieri, di sentimenti, di punti di vista tutti nobili, di valorizzazione di ogni spunto di bellezza e di bontà. Il ministero è molto vario, molto limitato, molto costretto, è spesso solo liturgico, il che non è poco. Si sente e si soffre la mancanza di dialoghi, o forse solo predicazioni ampie, ma si st portando di più su dialoghi, che pure sono limitatissimi per la impossibilità di comunicazione semplice a tu per tu, personale. Qui sono sfidato a una maggiore inventiva.