Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
«L’umanità sembra brancolare nelle tenebre» a causa di venti minacciosi che spirano in Medio Oriente e «nelle steppe dell’Europa orientale». Così dice Papa Francesco il 18 febbraio scorso alla plenaria della Congregazione per le Chiese orientali.
Francesco rammenta la «Nota ai capi dei popoli belligeranti», il messaggio in francese più alto e famoso, più angosciato e appassionato del suo predecessore: «Dès le début» (1° agosto 1917) denuncia la guerra come «inutile strage, follia e suicidio dell’Europa». Quel monito rimase inascoltato, come quelli di Giovanni Paolo II per i conflitti in Iraq. Bergoglio aggiunge a braccio: «In questo momento, che ci sono tante guerre dappertutto, l’appello dei Papi e degli uomini e donne di buona volontà è inascoltato. Sembra che il premio più grande per la pace si dovrebbe dare alle guerre: una contraddizione. Siamo attaccati alle guerre. L’umanità, che si vanta di andare avanti nella scienza, nel pensiero, tante cose belle, va indietro nel tessere la pace ed è campione di fare la guerra. Questo ci fa vergognare tutti: dobbiamo pregare e chiedere perdono per questo atteggiamento. Speravamo che non fosse necessario ripetere parole simili; invece, l’umanità brancola nel buio: conflitti in Medio Oriente, Siria e Iraq; nella regione etiopica del Tigrai; venti minacciosi nell’Europa orientale, accendendo le micce e i fuochi delle armi e lasciando gelidi i cuori dei poveri e degli innocenti; il dramma del Libano».
Ai potenti della Terra ripete: «Riflettete sulla vostra gravissima responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini. Il Signore possa ispirarvi decisioni sagge per l’umanità» e ricorda il monito di Pio XII alla vigilia della Seconda guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra». Oggi le Chiese orientali soffrono: «Tanti lasciano quelle terre, madre-patria». Definisce i cattolici orientali «semi posti sugli steli e sui rami delle piante secolari, trasportati dal vento fino ad impensabili confini». Il quotidiano dei cattolici orientali «è come un impasto della polvere preziosa dell’oro del vostro passato e della testimonianza di fede eroica di molti nel presente, insieme però al fango delle miserie di cui siamo anche responsabili e del dolore che è provocato da forze esterne: i cattolici orientali ormai da decenni abitano continenti lontani, hanno solcato mari e oceani e attraversato pianure. E per la missione dobbiamo porci maggiormente in ascolto della ricchezza delle diverse tradizioni».
Bergoglio sottolinea l’importanza della liturgia, «cielo sulla terra, ma la bellezza dei riti orientali è ben lungi dal costituire un’oasi di evasione o di conservazione. L’assemblea liturgica si riconosce tale non perché si convoca da sé stessa, ma perché ascolta la voce di un Altro, restando rivolta a Lui, e proprio per questo sente l’urgenza di andare verso il fratello e la sorella portando l’annuncio di Cristo». Attraverso la liturgia fa riferimento «al percorso sinodale che non è un parlamento, non è un dirci le opinioni diverse e poi fare una sintesi o una votazione, no. Il percorso sinodale è camminare insieme sotto la guida dello Spirito Santo, e voi, nelle vostre Chiese, avete dei Sinodi, antiche tradizioni sinodali, e siete testimoni di questo. C’è lo Spirito, nella sinodalità, e quando non c’è lo Spirito c’è soltanto un parlamento o un sondaggio d’opinione, ma non il Sinodo». Bisogna percorrere la via del Concilio Vaticano II: «Ciascuna componente dell’unica e sinfonica Chiesa si mantenga sempre in ascolto delle altre tradizioni, dei loro itinerari di ricerca e riforma, custodendo ciascuna la propria originalità. Non dimentichiamo che i fratelli delle Chiese ortodosse ci guardano: anche se non possiamo sederci alla stessa mensa eucaristica; tuttavia, quasi sempre celebriamo e preghiamo i medesimi testi liturgici. Stiamo attenti a sperimentazioni che possono nuocere al cammino verso l’unità visibile di tutti i discepoli di Cristo. Il mondo ha bisogno della testimonianza della comunione: se diamo scandalo con le dispute liturgiche facciamo il gioco di colui che è maestro della divisione».
Trascorrono alcuni giorni. Il Santo Padre ha «il cuore straziato per l’Ucraina. Tacciano le armi e si aprano corridoi umanitari. Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza ed entra in una logica diabolica». All’Angelus di domenica 27 febbraio rinnova l’appello per la pace e per la giornata di digiuno e preghiera del 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri: «Siamo sconvolti da questa tragedia. Abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada e non smettiamo di supplicare Dio più intensamente. Il 2 marzo sarà una giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, dirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine. Chi fa la guerra, dimentica l’umanità, Non guarda alla vita concreta delle persone ma mette davanti a tutto gli interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio e si distanzia dalla gente comune che vuole la pace e che in ogni conflitto è la prima vittima, che paga le follie della guerra». Ricorda i beati sacerdote Gaetano Giménez Martín e quindici compagni martiri, uccisi in «odium fidei» nella persecuzione religiosa degli anni Trenta in Spagna: «La testimonianza di questi eroici discepoli di Cristo susciti il desiderio di servire il Vangelo in fedeltà e coraggio».
Contro il frastuono dei carri armati e dei missili dell’Armata Rossa, si apre una finestra sulla grande piazza al centro della cristianità ma soprattutto sulle coscienze: il vescovo di Roma a mani nude contro chi sparge sangue e morte e trasforma un pezzo di Europa in campo di battaglia. Per le mamme e i loro bambini, per gli anziani e le persone in cerca di rifugio è urgente aprire corridoi umanitari. Non dimentica le guerre in altre parti del mondo: anche in Yemen, Siria, Etiopia «tacciano le armi». Cita la Costituzione italiana «che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie». In piazza San Pietro sventolano tante bandiere ucraine. Li saluta nella loro lingua: «Sia lodato Gesù Cristo».
L’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, in una pausa nei bombardamenti, fa arrivare la sua voce: «Nei sotterranei, nei rifugi, nelle cantine, i sacerdoti celebrano la Divina Liturgia perché non è possibile recarsi in chiesa. La Chiesa è con il suo popolo». Ringrazia chi raccoglie aiuti umanitari, chi promuove gesti di solidarietà, chi racconta la verità. Il Papa telefona all’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk: «Farò tutto quello che posso». Sul profilo Twitter @Pontifex in varie lingue, anche russo e ucraino, afferma: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato, è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta delle forze del bene». Le parole che ripete maggiormente sono «buona volontà, saggezza, negoziato». Il Patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa con 200 milioni di fedeli, non ha nasconde la sua vicinanza al Cremlino, come sempre ha fatto la Chiesa ortodossa russa.
«Chi ha in mano i destini del mondo ci risparmi gli orrori». Per il segretario di Stato Pietro Parolin «c’è ancora tempo per la buona volontà, c’è ancora spazio per il negoziato, c’è ancora posto per una saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte, tuteli le legittime aspirazioni di ognuno e risparmi il mondo dalla follia e dagli orrori della guerra. Noi credenti non perdiamo la speranza su un barlume di coscienza di coloro che hanno in mano i destini del mondo». Invita «ad astenersi da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzi la convivenza pacifica, screditi il diritto internazionale». Per i vescovi del Mediterraneo, riuniti a Firenze, «ogni conflitto porta con sé morte e distruzione, provoca sofferenza alle popolazioni, minaccia la convivenza tra le nazioni. Si fermi la follia della guerra. Il nostro è un Dio della pace, non è il Dio della guerra».