Giancarlo Tettamanti – Socio Fondatore AGeSC e Co-fondatore Fondazione San Giuseppe Moscati
Papa Francesco, nell’aprire il sinodo alle osservazioni e riflessioni di tutti i fedeli, ebbe a dire che “tale avvenimento non consiste in un convegno, ma una occasione per interrogarci su ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi. Pertanto, siamo tenuti a porci domande e a formulare speranze, con lo spirito di andare avanti insieme, e di avviare un discernimento del nostro tempo, diventando solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità”.
In sintonia con le espressioni teologiche “comunione e missione” che designano il mistero della Chiesa, e di cui facciamo memoria, ci permettiamo evidenziare alcune considerazione e alcune proposte che – seppur non esaustive – vogliono essere un contributo all’individuazione di una pastorale capace di rinnovare e fortificare l’adesione della persona a Cristo e alla sua Chiesa.
Innanzitutto vorremmo porre come fondamento della nostra riflessione alcune premesse:
- Dice Peguy: “Si è cristiani non perché si fa un certo discorso culturale, ma perché si appartiene a Cristo”. E appartenere a Cristo significa riconoscere che la nostra vita dipende da lui. Riconoscere che l’uomo viene da qualcos’altro – da Cristo – genera speranza e compiutezza, e nello stesso tempo sconfigge la solitudine e la paura. Scopo della vita diventa così Cristo, dal quale l’uomo trova il coraggio e la forza di assecondare la propria vocazione di figlio di Dio: è in Cristo che si trova la ragione delle cose, il loro senso.
- Cristo – presente nella vita dell’uomo – lo raggiunge attraverso una realtà che si vede, si tocca, si sente: la Chiesa. Essa è la compagnia dei credenti tutti in lui. La presenza di Cristo nella storia perdura visibilmente come forma incontrabile nelle “unità” dei credenti. Quella unità che rappresenta il Corpo di Cristo, cioè la Chiesa autentica realtà di Popolo di Dio. Dice sant’Agostino: “Tu che fai abitare in una casa i cuori umani”. Questa casa è la Chiesa. E questo essere insieme, un’unica cosa, è dato dal riconoscersi riuniti in Cristo.
- Dice Luigi Giussani: “La Chiesa non solo è espressione di vita, qualcosa che nasce dalla vita, ma è una vita. Una vita che ci raggiunge da molti secoli a noi precedenti. Chi si accinge a verificare la propria opinione sulla Chiesa ha da tener presente che essa è una realtà che chiede convivenza, è sorgente di vita che chiede appartenenza quale esigenza esperienziale in un tempo difficilmente calcolabile”.
- Compito dei cristiani è quello di comunicare questa presenza, questa appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa nella storia. Disse C.M. Martini: “La novità della cosiddetta nuova evangelizzazione non va cercata in nuove tecniche di annuncio, ma innanzitutto dal ritrovato entusiasmo di sentirsi credenti”. E Giovanni Paolo II: “Missione significa soprattutto comunicare all’altro le ragioni dell’esperienza stessa della propria conversione”. Compito questo assegnato a ciascun cristiano, e da attuarsi in un contesto vero di “koinonia”, realtà di vita non chiusa in sé stessa, ma potentemente animata da un fervore comunicativo.
Da queste certezze scaturiscono alcune osservazioni e alcune proposte che riteniamo utile esplicitare come contributo all’analisi e alla riformulazione del piano pastorale globale, regionale e anche, nazionale.
- Segno distintivo dell’unità dei credenti è il “rito eucaristico”. Crediamo quindi nell’esigenza di rimarcare la validità della centralità dell’“eucaristia” come espressione di unità della Chiesa. Si appartiene alla Chiesa in quanto si appartiene a Cristo. E l’adesione a Cristo – vivo e presente – determina inevitabilmente una cultura nuova, un modo di pensare, di agire e di rapportarsi agli altri, certamente diversi da quelli proposti dalle culture del mondo contemporaneo. La celebrazione della liturgia eucaristica deve, a nostro parere, ritrovare il profondo significato di segno distintivo supremo della nostra fede comune.
- La “cultura” si propone risolutamente come interpretazione della realtà e come principio di comportamento. In quest’ottica è da riconoscere la proprietà concettuale, la legittimità e la necessità di un “cultura cattolica”. Riteniamo pertanto urgente risolvere l’equivoco in ordine alla sua esistenza, anche alla luce di quanto raccomandato dai pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ammetter e l’esistenza della “cultura cattolica”, significa valorizzare l’idea di un progetto cristiano capace di promuovere e di dare significato ed una convivenza umana fondata sulla “verità”. Progetto che induce all’unità dei credenti. Il negarla, significa non soltanto indurre alla diaspora anche all’interno del mondo cattolico, ma – cosa ancor più grave – ritenere il cristianesimo fatto estraneo alla vita quotidiana, e quindi un di più di cui si può fare a meno. E significa rinunciare alla possibilità di dar vita ad una comunità cristiana anche sociologicamente individuabile. Purtroppo, sempre più tenue ci sembra il richiamo, da parte della predicazione corrente, a Cristo vivo e presente, e meno concreta l’evidenziazione della sua incidenza nella vita delle persone e dei popoli.
- La fede deve farsi cultura: lo deve a sé stessa, alla radicalità e alla totalità del rinnovamento che essa introduce nell’uomo e quindi nell’universo. Conseguentemente sentiamo come necessaria una educazione/formazione basata sulla conoscenza e sulla applicazione – là dove è possibile – dei documenti sociali della Chiesa. È questa una materia di cui sono poco noti non soltanto i contenuti, ma la stessa sua presenza. Il confrontarsi con essa, significa mettersi in discussione sugli atteggiamenti quotidiani e sperimentare le possibilità di elaborare un progetto esistenziale concreto – cioè implicante la nostra persona – in ordine ai molteplici problemi del nostro tempo. Significa riscoprire la storicità di Cristo e della sua Chiesa. Da qui l’esigenza di una formazione – proposta da centri culturali, gruppi, associazioni, movimenti, parrocchie … – che a nostro parere è fortemente carente. Purtroppo, nella catechesi corrente troppo spesso si è sfuocato il riferimento alla dottrina sociale.
- Tutto ciò che fa parte della Chiesa è realtà di Chiesa. Così le associazioni, i movimenti, le comunità, le realtà di base tutte, che sono “forza di evangelizzazione, vera espressione di comunione e mezzo per costruire una comunione più profonda” (Rm, 51). Pensiamo quindi sia utile, nelle iniziative della comunità, a qualsiasi livello, la valorizzazione e il coinvolgimento – in termini paritetici – di tutte le esperienze aggregative ecclesiali, in quanto espressioni vive della comunità più ampia che è la Chiesa locale, evitando inopportune discriminazioni e favorendo il risetto dei carismi specifici. E ciò in una ottica di unità che aiuterebbe anche al confronto, al dialogo e alla corresponsabilità, ed eviterebbe il rinnovarsi di incomprensioni e di attriti. Diviene pertanto auspicabile l’instaurarsi di un rapporto meno burocratico, maggiormente impostato a spirito di servizio, teso a una maggiore attenzione e al rispetto di quanti, pur con sensibilità e caratteristiche diverse, approfondiscono ed aiutano ad approfondire la cultura cattolica mediante un impegno diretto inteso come espressione popolare di uno sperimentato vissuto quotidiano.
- La famiglia è la prima e fondamentale comunità umana. È ambiente di vita, e ambiente di amore. La vita di ogni società, nazione e stato dipende dalla famiglia” (Giovanni Paolo II). Importante, di conseguenza, ci sembra la valorizzazione e il sostegno della “famiglia” come “chiesa domestica”, nonché la promozione e il sostegno di realtà associative familiari. È in famiglia, proprio in quanto ambiente di vita e di amore, che si determina l’educazione esistenziale della persona, particolarmente in ordine alla scelta vocazionale. E ciò sin dall’iniziale apparire sulla scena della vita. In quest’ottica, quindi, vanno aiutate le giovani coppie, i genitori, gli adulti – avvalendosi del contributo esperienziale non soltanto delle parrocchie, ma anche dei centri e delle associazioni di accoglienze, dei consultori familiari, degli stessi centri culturali, delle associazioni genitori e familiari …., affinché si assumano per tempo le specifiche responsabilità educative come compito ineludibile per aiutare e concretizzare una inversione di tendenza circa la situazione culturale ed esistenziale – su matrimonio, famiglie, accoglienza e rapporto coni figli, rispetto degli anziani, … sempre più preoccupante no soltanto sotto il profilo religioso, ma anche sotto il profilo civile e sociale. Tutti gli altri impegni (es. corsi per fidanzati, corsi di preparazione al matrimonio, …) sono certamente importanti ed utili; tuttavia, preminente deve essere la valorizzazione della famiglia e l’aiuto affinché in quanto istruzione educativa sia fedele al proprio compito.
6) La “scuola cattolica” è autentica presenza della Chiesa secondo un modo che le è proprio e la qualifica come tale. Riteniamo indispensabile il suo riconoscimento come soggetto ecclesiale a tutti gli effetti, e cioè istituzione in grado di promuovere una autentica cultura cattolica, espressione della comunità cristiana e strumento di educazione e di evangelizzazione, essa partecipa alla missione della Chiesa vivendo la propria originalità come comunità educante. La scuola cattolica va pertanto motivata idealmente e sostenuta economicamente, perché soggetto di frontiera della Chiesa in quanto a lei si rivolgono non soltanto e non tanto i credenti, ma anche molti di coloro che culturalmente ed esistenzialmente sono lontani da una concezione cristiana della vita. In questa maggior considerazione dovuta alla scuola cattolica, vanno coinvolte la comunità cristiana e le sue espressioni parrocchiali e istituzionali per un rapporto aperto e collaborativo, e per una visione della medesima ben diversa da quella caratterizzata da distacco e dimenticanza tenuta sino ad ora. Infine, la scuola cattolica va aiutata nella sua autonomia culturale educativa, formativa e religiosa. Tuttavia, spesso i condizionamenti che provengono da uno Stato inadempiente sotto il profilo del rispetto totale del pluralismo sociale, della libertà di impresa e di coscienza, incidono sulla integrità del compito e della vocazione della scuola. La responsabilità istituzionale e personale di tutti i componenti della scuola stessa, è impegno consapevole che realizza il valore e ne caratterizza la esistenziale validità. Questa sollecitazione alla responsabilità e alla concreta appartenenza ecclesiale, è ben lontana dall’essere un richiamo astratto: è sollecitazione che diventa metodo di insegnamento, ispirazione consapevole di vita, paradigma consapevole di azione.
Sono queste alcune considerazioni che offriamo alla valutazione generale, e, per quanto riguarda la nostra associazione, garantiamo la massima disponibilità ad operare in un contesto ecclesiale, come impegno dovuto e condiviso in promozione della Chiesa come autentica realtà di popolo di Dio.