Domenico Sigalini – presidente del COP
In questi anni sono avvenuti cambiamenti sostanziali nel mondo del lavoro, sono state avviate riforme di management, cioè di organizzazione del lavoro che hanno influito non poco sulle condizioni, la vita e le prospettive di futuro dei lavoratori. Una cosa è lavorare con un contratto fisso, ben altra è lavorare per progetti o a tempo determinato. Purtroppo, le riforme se restano incompiute lasciano per strada grosse difficoltà, ingiustizie e sofferenze. Se si lavora a progetti, ad esempio, non è detto che tra un progetto e l’altro si possa creare una nuova continuità. Nel frattempo, però, la vita continua, la famiglia ha i suoi obblighi, i mutui hanno scadenze precise. Certo, la mobilità è necessaria, ma la precarietà è da superare. In questa nuova impostazione, ma non solo per questa, è entrato in crisi il mondo sindacale, è venuta meno la classica forma di solidarietà.
Un altro problema oggi alla ribalta è quello delle morti dei lavoratori. Che ne muoia uno ogni sette ore è un fatto gravissimo, che non si risolve distribuendo le colpe. È necessario invece che tutti si assumano le proprie responsabilità, per quel che compete: lavoratori e aziende, stato e istruzione, controllori e sindacati. A una comunità cristiana preme che in questo grande cambiamento il centro sia sempre la persona, con il suo mistero e dignità, e il senso cristiano del lavoro. Spesso manca un’anima a questo nostro modo oggi di lavorare e la fede la deve mettere a disposizione, cercando, con pazienza, e condividendo passione e solidarietà con tutti i soggetti interessati.
La dottrina sociale della Chiesa si è sempre posta come corpo di verità da approfondire e da seguire. Dice papa Francesco nella enciclica Fratelli tutti: «In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo» (162). A partire dai problemi concreti, la comunità cristiana e l’insegnamento del magistero hanno illuminato di spirito evangelico le situazioni e hanno orientato cristianamente la ricerca di soluzioni dei problemi che a mano a mano si verificavano. È un ottimo punto di partenza e di convergenza per tutti coloro che hanno a cuore la dignità della vita dell’uomo, sia lavoratori che imprenditori, maestranze e gruppi dirigenti. Nonostante tutti gli uffici e le agenzie di collocamento, la parrocchia è sempre il punto di arrivo di file di persone che cercano lavoro. Essa non può trasformarsi in un ufficio di collocamento, ma può collaborare ad accogliere questa sofferenza, a creare speranza, a far crescere protagonismo nella ricerca, e, soprattutto, a dare sempre del lavoro la visione cristiana di un cantiere in cui si costruisce il regno di Dio nella coscienza personale e nella società.
Ci motiva a porre l’attenzione al lavoro il primo maggio la festa di san Giuseppe lavoratore. Si domandavano di Gesù gli abitanti di Nazareth, gente della vita quotidiana: «Non è il figlio del carpentiere? Non sappiamo già tutto quello che può dire? Che novità ci sarebbero nella sua vita che noi già non conosciamo?». Questo carpentiere è san Giuseppe ed è giusto che a partire dal suo lavoro per mantenere la famiglia con Maria e Gesù abbiamo a meditare sulla sua figura.
Un carpentiere che è stato coinvolto nella storia più grande e importante del mondo che è la vita di Gesù. Era innamorato perso di Maria, la voleva sposare; lei gli confida di essere incinta. Gli crolla il mondo addosso. Non dubita minimamente di Maria, ma si affanna, si addolora e pensa, tanto le vuol bene di caricarsi lui di questo difficile momento. Dio gli parla in sogno e gli confida il suo progetto e gli chiede: Vuoi far parte di questa nuova famiglia come padre, come responsabile primo della vita di Maria e di Gesù che viene da lontano, dalla nostra vita trinitaria a farsi uomo in Maria?
Giuseppe dice sì e salva Maria nella sua dignità di donna e di madre, salva Gesù dalla cattiveria di Erode, fa l’emigrante per le strade del deserto; ritorna al suo paesello e lavora ogni giorno e alleva, custodisce, educa, insegna a Gesù a vivere e a lavorare, mantiene la famiglia di Dio. Resta sempre nell’ombra lui, il carpentiere, ma scrive con Dio la nuova storia del mondo.