Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
«Credo che il conferimento del “Premio Paolo VI” al presidente Sergio Mattarella sia una bella occasione per celebrare il valore e la dignità del servizio, lo stile più alto del vivere, che pone gli altri prima delle proprie aspettative. Il servizio è ciò rende l’agire politico una forma di carità». Papa Francesco il 29 maggio 2023 consegna al capo dello Stato il premio intitolato al Pontefice lombardo – che ripeteva spesso: «La politica è la più alta forma di carità» – attribuito dall’«Istituto Paolo VI» che, per la prima volta, è assegnato alla più alta magistratura dello Stato. E Mattarella l’ha subito girato all’«Associazione Giovanni XXIII» dell’indimenticabile don Oreste Benzi, che si occupa dei più svantaggiati, a cominciare dall’Emilia Romagna alluvionata.
La motivazione è che «per rendere il suo servizio allo Stato Mattarella ha rinunciato al riposo dopo tanti anni di lavoro». Il premio segnala personalità eminenti «che si sono distinte nella cultura e nella promozione di una convivenza umana giusta e testimoniano la vitalità dell’eredità spirituale di papa Montini» ed è conferito a Mattarella «per la sua dedizione al bene comune in un impegno politico ispirato ai valori cristiani e rigoroso nel servizio alle istituzioni civili».
Bergoglio ricorda che Paolo VI nel 1972 ai democratici europei disse: coloro che esercitano il potere pubblico devono considerarsi «servitori dei loro compatrioti, con il disinteresse e l’integrità che convengono alla loro alta funzione»; e nel 1968 precisò: «Il dovere del servizio è inerente all’autorità e tanto maggiore è il dovere quanto più alta è l’autorità. La tentazione, anche nei migliori sistemi politici, è di servirsi dell’autorità anziché di servire attraverso l’autorità».
Francesco: «Quanto è facile salire sul piedistallo ed è difficile calarsi nel servizio degli altri»
Evidenzia che «servire crea gioia e fa bene anzitutto a chi serve», e richiama quanto scrisse da Alessandro Manzoni – definito da Paolo VI «genio universale, tesoro inesauribile di sapienza morale, maestro di vita» – ne «I promessi sposi»: «Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». Di Manzoni è stato appena celebrato il 150° della morte (1873-22 maggio-2023). Ma il servizio – riflette il Pontefice – rischia di restare un ideale astratto senza la responsabilità, «abilità di offrire risposte facendo leva sul proprio impegno senza aspettare che siano altri a darle. Anche in questo si nota una feconda affinità con Giovanni Battista Montini». Richiama la montiniana lettera apostolica Octogesima adveniens (1971): «Le parole servono a poco se non sono accompagnate da una presa di coscienza della propria responsabilità, perché è troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti che ciascuno vi partecipa e che è necessaria la conversione personale». Affermazione attuale per Bergoglio, «quando viene quasi automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per l’insieme si affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai bisogni dell’individuo». Elogia i cittadini dell’Emilia-Romagna; chiama «ad andare contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e di lamentela, per sentire proprie le necessità altrui»; parla di «impegno per la legalità, che richiede lotta, determinazione e memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia, come Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato e le vittime della strage mafiosa di Capaci»; chiama il capo dello Stato «maestro di responsabilità».
Tutto un discorso, quello di papa Francesco, che attualizza Paolo VI. La sua enciclica Populorum progressio, ben 56 anni fa, invitava «a lottare senza rassegnarsi di fronte agli squilibri delle ingiustizie planetarie e a fronteggiare le sfide climatiche»: «Montini ci ha lasciato l’impegnativa eredità di edificare comunità solidali. La sua comunità di partecipazione e di vita, per costruire solidarietà attive e vissute, si scontrò con vari incubi diventati realtà, come la terribile vicenda di Aldo Moro». Elogia Mattarella «testimone coerente e garbato di servizio e di responsabilità», e cita ancora una perla montiniana: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni».
Il presidente Mattarella ringrazia il Papa «per l’accoglienza» e l’Istituto Paolo VI per «per la motivazione così generosa». Molto umilmente aggiunge: «Più che il destinatario del premio merita ricordare Paolo VI e il suo straordinario contributo alla Chiesa, all’Italia e al mondo». Per lui i documenti montiniani e il «discorso alle Nazioni Unite» nell’ottobre 1965 «sono stati fondamentali punti di orientamento per me e una moltitudine di persone. Con i suoi insegnamenti ha collocato e trasmesso in una visione armonica chiara e compiuta fede, dignità umana, libertà e pace. È stato il Papa del passaggio dalla mia giovinezza all’età matura e anche il mio vescovo», ricordando gli anni di impegno nella Gioventù cattolica della diocesi di Roma.
Dopo alcuni anni di sospensione, l’Istituto ha riattivato il conferimento del Premio a personalità che testimoniano la vitalità dell’eredità spirituale del Sommo Pontefice. Negli anni il «Premio Paolo VI» è stato assegnato ad Hans Urs von Balthasar per gli studi teologici (1984); Olivier Messiaen per la musica (1988); Oscar Cullmann per l’ecumenismo (1993); Paul Ricoeur per la filosofia (2003). In molti casi il Premio è stato consegnato ai vincitori dai papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e ora da papa Francesco, che elogia Mattarella anche perché «ha omaggiato, nei 150 anni dalla morte, quel grande italiano e cristiano che fu Alessandro Manzoni, capace di intessere con le parole la pregiata stoffa di valori sociali, religiosi e solidali del popolo italiano».