Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
Nell’ultimo incontro con il Pontefice a Santa Marta in Vaticano, mons. Luigi Bettazzi si presenta: «Sono un superstite del Concilio». E Papa Francesco: «Un testimone». Nel messaggio per la morte il 16 luglio 2023 ad Albiano presso Ivrea (Torino), Bergoglio lo definisce «presule tanto amato e apprezzato da coloro che ha incontrato nel suo lungo e fecondo ministero; grande appassionato del Vangelo che si è distinto per la vicinanza ai poveri diventando segno profetico di giustizia e pace in tempi particolari della storia della Chiesa, uomo di dialogo e punto di riferimento per numerosi esponenti della vita pubblica e politica italiana; intrepido testimone del Concilio, servo fedele».
«Ero arrivato al Concilio un po’ sperso e titubante. Solo i più coinvolti ne avevano seguito il cammino informati dai padri conciliari o dai resoconti molto generici de “L’Osservatore Romano”. Ero persuaso che dovesse solo confermare quanto era già stato predisposto». Il 29 settembre 1963 un giovane vescovo si presenta nella basilica di San Pietro: lo fanno accomodare sulle impalcature negli ultimi posti vicino ai portoni. Deve attraversare tutta la basilica per parlare con il suo «principale», il prestigioso cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro, uno dei quattro moderatori del Vaticano II, uno degli artefici della nuova liturgia. Nato a Treviso il 26 novembre 1923 (il 26 novembre 2023 avrebbe compiuto cento anni), sacerdote a Bologna il 4 agosto 1946, dal 10 agosto 1963 ausiliare di Lercaro. Il cardinale lo presenta a frère Roger Schutz, evangelico, fondatore della Comunità ecumenica di Taizé: «Questo è il mio vescovo ausiliare; lo consacrerò venerdì a Bologna». «Oh! dev’essere un grande momento l’ordinazione di un vìcevescovo!». Lo invita: «Venga». «E così alla mia ordinazione era presente anche lui» che non smette di esclamare «Qu’il est beau. Qu’il est Beau». Due anni dopo, il 16 ottobre 1965, Schutz presenzia nella Cattedrale di Fossano all’ordinazione episcopale di Michele Pellegrino, dal 18 settembre arcivescovo di Torino. Bettazzi ha parlato e scritto moltissimo, e in modo sempre originale, sul Concilio come nel recente «Il mio Concilio Vaticano II. Prima, durante, dopo».
L’elezione papale di Angelo Giuseppe Roncalli fu una sorpresa
«Tutti pensavano che fosse un Papa “di transizione”, già anziano per creare cardinale Giovanni Battista Montini, mandato da Pio XII arcivescovo a Milano ma senza farlo cardinale, che tutti consideravano il più adatto a diventare papa. I suoi interessi giovanili, le sue esperienze a Sofia, Istanbul, Parigi e Venezia lo avevano maturato nella convinzione dell’opportunità di un Concilio. I cardinali e Curia vaticana non condivisero; i giornali la ritennero una notizia curiosa. A parte i circoli teologici ed episcopali, non vi era grande attesa nel mondo, neppure ecclesiale. Di fatto il Concilio era in mano alla segreteria (mons. Pericle Felici) espressione della Curia meno favorevole al Concilio: “Ci siamo già noi ad aiutare il Papa nella sua missione di maestro assoluto della fede e guida unica della Chiesa!”. La partecipazione da padre conciliare me ne rivelò l’ecumenicità geografica e l’universalità antropologica. Mi colpì la libertà con cui si discuteva, come aveva colpito gli osservatori delle altre Chiese».
«Notai la sorpresa e la perplessità dei vescovi sull’enciclica “Pacem in terris”» – il documento di Giovanni XXIII (11 aprile 1963) – «era risuonato nel mondo come prolungamento dell’intervento nell’autunno 1962 sui missili a Cuba. Roncalli era stato strumento di pace e aveva deciso di scrivere l’enciclica, singolare per il tema non strettamente religioso e perché rivolta non solo ai cattolici ma “a tutti gli uomini di buona volontà”. Anche i padri decisero di raggruppare alcuni argomenti in un unico documento rivolto “non ai soli figli della Chiesa ma a tutti gli uomini”. Con lunghe discussioni e contrasti la costituzione pastorale “Gaudium et spes” è un documento singolare e nuovo che descrive la base della discussione comune: l’uomo, la sua attività, la famiglia, la cultura, l’economia, la politica, la promozione della pace e la comunità dei popoli».
«Ebbi modo di inserirmi più profondamente nel Concilio»
Passa un pomeriggio a preparare l’intervento in latino sulla collegialità episcopale. L’11 ottobre 1963 «il moderatore di turno mi diede la parola per ultimo. Così all’ultimo posto, vicino ai portoni d’ingresso, ebbi anche la “claque” dei vescovi che, a mezzogiorno, affollavano le uscite per partire rapidamente. Lessi animatamente – bisognava restare nei dieci minuti perché non bloccassero il microfono – chiedendo scusa se intervenivo io, “giovane e italiano”. Dimostrai che lo spirito collegiale era sempre stato presente nella Chiesa: il Pontefice consultava abitualmente i vescovi suburbicari e i cardinali. Dissi: “I vescovi possiedono collegialmente la suprema potestà sulla Chiesa universale non separatamente dal Papa che è il capo del collegio, e questa proprietà ce l’hanno per diritto divino dalla consacrazione”. Richiamai la liturgia di San Mattia: “O Dio, che hai voluto aggregare san Mattia al collegio degli apostoli…”. Mi applaudirono». Commenta lo storico Giuseppe Alberigo nella monumentale «Storia del Concilio Vaticano II»: «Quando il giovane ausiliare di Bologna legge il suo intervento contro quei “novatores” che rifiutano la collegialità e cita contro di loro gli autori romani del XVIII-XIX secolo, suscita la compiaciuta ilarità di Marie-Dominique Chenu, persuade pochi ma importanti padri». Quarantanove anni dopo, l’11 ottobre 2012 Benedetto XVI commemora il 50° del Concilio, saluta i padri superstiti. «Gli dissi: “Sono Bettazzi, allora vescovo ausiliare di Bologna”. Mi fissò e ricordò: “Lei citò san Mattia”». Una memoria di ferro Papa Ratzinger.
Gli oppositori, agguerrita minoranza, prevalgono nella Curia romana
Il vescovo emerito di Ivrea nomina i principali: Marcel Lefebvre, già arcivescovo di Dakar in Senegal; l’italiano Luigi Carli, vescovo di Segni; lo spagnolo Josè Guerra Campo, ausiliare di Madrid; il brasiliano Geraldò de Proena Sigaud. «Avevano costituito il “Coetus internationalis patrum” che si ergeva difensore della tradizione. A ogni nuovo argomento invitavano teologi tradizionalisti a presentare un orientamento su cui indirizzarsi nelle discussioni e nelle votazioni: c’erano molti nordamericani, italiani, spagnoli e polacchi. Sarei andato per curiosità ma, essendo ausiliare di uno dei moderatori, avrei potuto essere considerato una spia! Quando ripenso alle aperture del Concilio, mi rendo conto anche delle resistenze, psicologiche e sociologiche». Poi una notizia sorprendente: «Pare che il cardinale Lercaro avesse insistito con Paolo VI perché nominasse don Giuseppe Dossetti suo successore a Bologna. Ma che il Papa, «in qualche conversazione confidenziale, dicesse di aver già fatto abbastanza a nominare mons. Pellegrino arcivescovo di Torino!».
Nel libro del 1977 «Farsi uomo. Confessioni di un vescovo» conferma: «Due cose mi colpirono. La prima fu la scoperta dei vescovi, uomini diversi tra loro per provenienza, mentalità, cultura. Ebbi l’impressione che ci trovassimo non al ventunesimo Concilio, ma al primo Concilio ecumenico, se per ecumenico si intende la convergenza della totalità dei popoli. Nei primi Concili si trattava dei popoli mediterranei, nei successivi si trattava di alcune nazioni dell’Europa. Al Concilio Vaticano I (1869-70), cui parteciparono uomini di tutti i continenti, i vescovi europei rappresentavano le loro patrie o le diocesi missionarie che governavano. Nel Vaticano II, per la prima volta, tutti i popoli e le mentalità si trovano rappresentate. Si sperimentava che la ricchezza della Chiesa non deriva dall’uniformità che livella i popoli e le nazioni». Questo il Concilio, iniziato 61 anni fa, testimoniato da Luigi Bettazzi, 99 anni, 77 di Messa, 60 di episcopato: 3 ausiliare di Bologna, 33 vescovo di Ivrea, 24 da emerito. Ha tenuta accesa la fiaccola della fede.