Fortunato Ammendolia – informatico e animatore della comunicazione e della cultura del COP, studioso di pastorale digitale, «sentiment analysis» in ambito religioso, intelligenza artificiale ed etica
Silvio Ferrari in uno studio del 1993 scriveva: «Almeno a partire dal concilio di Trento, i sinodi e le costituzioni diocesane hanno assunto un prevalente carattere giuridico. […] Le stesse modalità di celebrazione progressivamente impostesi nella assemblea sinodale – breve ed incentrata sulla lettura senza discussioni delle costituzioni preparate in precedenza da una commissione di esperti in cui il canonista aveva quasi sempre un posto d’onore – appaiono funzionali alla natura giuridica del sinodo, di cui sottolineano efficacemente il carattere precettivo; a loro volta le costituzioni sinodali – suddivise per articoli secondo il modello dei codici di diritto e rigidamente dipendenti, quanto alla loro efficacia, dal rito giuridico della promulgazione ed entrata in vigore – manifestano senza margini di incertezza la propria appartenenza all’universo normativo. Il Vaticano II segna una frattura con questo plurisecolare modello. […] Il sinodo diocesano esce infatti, dopo il concilio, dall’orizzonte del diritto e si colloca sotto la costellazione – dai confini un po’ indefiniti – della pastorale: “il presente sinodo – si scrive in apertura degli atti dell’assemblea svoltasi a Fidenza tra il 1981 e il 1987 – si qualifica come prettamente pastorale. Le disposizioni decisamente precettive sono assai contenute e numericamente ridotte […]. Più che di stringenti obbligazioni giuridiche, si avverte il bisogno di suscitare in tutto uno spirito genuinamente missionario, che stimoli le più opportune concretizzazioni pastorali nei vari ambiti operativi”. […] Il nuovo sinodo diocesano […] persegue il ben più impegnativo obiettivo di “rimotivare la fede nella comunità cristiana, di farla meglio fruttificare nella vita quotidiana ad ogni livello, personale, familiare, socio-politico, e di esplicitarne la portata salvifica per i problemi della odierna società”. […]. Da ciò consegue che le costituzioni sinodali […] siano ora il frutto di un processo di consultazione […] che valorizza al massimo i fattori di partecipazione. […] I documenti sinodali perdono quindi, anche nella loro forma esteriore, il carattere di testi normativi ed assumono un andamento maggiormente discorsivo e finalità persuasive che li avvicinano ai documenti conciliari. Ciò non significa ovviamente che le norme siano del tutto estromesse dai sinodi post-conciliari: ma il topos di questi ultimi non si colloca più nel mondo del diritto ma in quello della pastorale a cui il primo – invertitisi i rapporti di forza che avevano caratterizzato i sinodi preconciliari – e costretto ad adattarsi».[1]
Uno studio di Lorenzo Prezzi e Giovanna Senin Artina[2] che espone una raccolta di dati inerenti ai sinodi diocesani italiani della stagione postconciliare fino al marzo 2000, è elemento prezioso di informazione e riflessione. Argomentiamo, quindi, traendo da esso alcune annotazioni che emergono dai dati, e altre che invitano a una indagine qualitativa ulteriore. Annotazioni di utilità per il lettore specie per una analisi dei sinodi dei nostri giorni.
Fra ciò che i dati «raccontano» vanno evidenziate le stagioni dei sinodi, la durata dei sinodi e la composizione delle assemblee. Inerentemente alle stagioni dei sinodi emerge che «sono riconoscibili due stagioni sinodali. La prima va dalla fine del Vaticano II all’inizio degli anni ‘80, la seconda da allora in poi». Nella prima prendono forma pochissimi sinodi. Infatti, dopo i timidi tentativi di Bobbio (1966), Milano (1966) e Bolzano (1968), bisogna attendere almeno un decennio perché si avviino altri sinodi: Napoli (1977), Brescia (1978), Reggio Emilia (1979), Agrigento (1979), Iesi (1980), Senigallia (1980). A commento di questi dati, Prezzi e Senin Artina scrivono: «La condizione civile ed ecclesiale particolarmente effervescente e difficile da gestire (il fenomeno del dissenso, la spaccatura sul referendum del divorzio nel 1974, l’assenza di riferimenti giuridici ecc.) sembrava sconsigliare la scommessa del sinodo. I convegni sui mali di Roma (1974) e su Evangelizzazione e promozione umana (Roma 1976) hanno probabilmente agito in favore della corrente sinodale». La seconda stagione vede concentrarsi la maggioranza dei sinodi. Inerentemente alla durata dei sinodi si va da un minimo di uno-due anni a un massimo di oltre dieci anni. Si può, quindi, parlare di «sinodi brevi» – con durata di almeno due anni –, di «medi» – con durata da due a cinque anni –, e di «lunghi» – con durata più di cinque anni –. Dinanzi alla prevalenza di sinodi la cui celebrazione va da un minimo di un anno e mezzo a un massimo di quattro-cinque anni, accordando con Prezzi e Senin Artina, va detto che «sotto una determinata soglia temporale non è possibile fare del sinodo una celebrazione realmente condivisa dal popolo di Dio. Ma, oltre […] i quattro-cinque anni sembra difficile mantenere una adeguata attenzione e un coerente sviluppo delle discussioni». Circa la composizione delle assemblee, lo studio attesta il superamento della «barriera clericale». Infatti, «nell’insieme esce confermata la prevalenza dei laici, sia in numeri assoluti, sia con la progressiva crescita della rappresentanza nella distribuzione temporale dei sinodi». Circa la presenza della donna si legge: «I primi sinodi hanno una rappresentanza femminile più debole (Brescia 19,3% donne e 33,5% maschi, Napoli 8,9% donne e 31,1% maschi). Poi la percentuale cresce. Una controprova si può trovare laddove i sinodi si sono ripetuti. A Milano nel sinodo del 1966 vi erano il 3,2% di donne mentre in quello del 1995 esse erano il 15,5%.[3] A Livorno nel sinodo del 1985 le donne erano il 13,3% mentre in quello del 1996 erano il 21,8%». Circa la composizione delle assemblee, Prezzi e Senin Artina annotano: «La scarsa presenza dei preti in sinodo può diventare una difficoltà per la recezione della Costituzioni sinodali».
Nello studio, poi, è specificato: «Fra le annotazioni che i dati “sollecitano”, ma che vanno oltre i numeri e il loro incrociarsi, vi sono: l’evento celebrativo-liturgico, il ruolo del vescovo, il ruolo trainante». Circa l’evento celebrativo-liturgico «se ne può trovare qualche richiamo nei libri delle costituzioni o degli atti sinodali quando essi siano corredati da una parte fotografica». La pienezza del significato di un sinodo passa così attraverso le immagini della processione dei sinodali nelle vie della città, del duomo gremito di presbiteri e di laici attorno al vescovo, dell’intronizzazione del vangelo nell’assemblea. «Altro luogo importante sono i testi omiletici dei vescovi e le riflessioni dei teologi a margine dei lavori sinodali». Inerentemente al ruolo del vescovo, dai dati dello studio emerge che nell’Italia del post concilio non mancano casi di sinodi sospesi o interrotti per il cambiamento del vescovo. «Senza vescovo, infatti, non c’è sinodo». Prezzi e Senin Artina annotano: «Scorrendo le lettere di promulgazione delle costituzioni si avverte la centralità del vescovo e il suo ruolo propulsivo». Due, gli esempi riportati. «Anzitutto quello di mons. Morstabilini a conclusione del sinodo di Brescia nel 1981. “La novità (del sinodo) consiste nel fatto che si è voluto fare del libro sinodale non appena un repertorio di norme giuridiche minimali, o un manuale di sporadica consultazione, ma uno strumento di positiva formazione spirituale e pastorale riguardante tutti i membri del popolo di Dio […]. Gli orientamenti uniti alle norme sono diretti soprattutto a far cogliere lo spirito delle norme stesse, a creare convincimento e stimolare al retto uso d’una libertà cristiana matura che venga preservata dal cadere nell’arbitrio e sia orientata a un deliberato servizio al bene comune ecclesiale”». E nell’introdurre l’altro esempio i due autori osservano: «Un ruolo singolare quello del vescovo anche quando via sia un margine di critica, quando cioè si collochi o più avanti o più indietro rispetto all’assemblea. È il secondo esempio e riguarda il vescovo di Milano, card. Martini, rispetto al sinodo del 1995. La tensione fra l’esistente e l’essenziale per il futuro della comunità cristiana è visibile nella differenza di stile e di approccio fra la lettera di introduzione al libro sinodale, a firma del vescovo, e un testo sinodale preoccupato di rispecchiare l’acquisito e l’esistente». Circa la questione del ruolo trainante di un sinodo nello studio si legge: «Non tutti i sinodi sono uguali. Diversa la loro efficacia a livello diocesano, diverso il loro ruolo di riferimento rispetto alle altre chiese. Negli anni ‘80, per esempio, […] il sinodo di Livorno è diventato un riferimento per l’accuratezza della inchiesta sociologica che l’ha preceduto, per la sintesi fra rinnovamento liturgico-spirituale e coinvolgimento locale e per il positivo legame con il territorio. […] Un ruolo similare l’hanno rivestito i sinodi di Firenze[4] e di Roma.[5] Quello di Firenze si è distinto perché ha ridato parola e cittadinanza a tutti, uscendo da una stagione di dure censure interne, e per l’amplissimo coinvolgimento prodotto. I gruppi creati sono stati 3.000 e 25.000 le persone interessate. Altra caratteristica è stata la piena libertà di confronto e il coinvolgimento della città. Il caso di Roma è diverso. […] (Qui) il sinodo ha visto dapprima una modalità assai vicina a quella fiorentina. Poi, […], si è caratterizzato per una interlocuzione più spregiudicata all’esterno e una ingessatura più pronunciata all’interno. I rigidi regolamenti e le norme di funzionamento sono diventati paradigmatici per molti successivi sinodi».
Facciamo nostri gli interrogativi a conclusione dello studio, ulteriori annotazioni «sollecitate» dalla ricerca, questioni su cui vigilare perché essenziali. Anzitutto, ci si domanda: «Cosa rimane del sinodo? Qual è la sua ricezione?». È infatti necessario che un sinodo pensi pure a un programma di «trasmissione» dei lavori sinodali a tutta la diocesi, e ad una verifica della ricezione delle norme, dato il carattere vincolante di queste.[6] La questione della recezione è di ieri e di oggi. Piace agli autori e piace pure a noi riprendere a tal fine un pensiero di Silvio Ferrari: «Il valore e la riuscita di un sinodo sta essenzialmente nel grado di maturazione della comunità locale che questo istituto canonico riesce a stimolare. Se attraverso il sinodo l’intera comunità fa un passo avanti verso la propria crescita, vi sono sicuramente ricadute sul terreno sia pastorale che normativo e sociale. […] Non è tanto la produzione di documenti da parte di un sinodo quello che più importa, né la produzione di norme o di indicazioni pastorali […]. Mi sembra che il dato più rilevante sia proprio l’elemento di autocoscienza o di consapevolezza che il sinodo può aiutare a far maturare all’interno della comunità». Altra questione riguarda la consistenza istituzionale del sinodo nell’evolversi della normativa universale. In questa, infatti, si inscrivono i sinodi diocesani. Lo studio di Prezzi e Senin Artina fa sua una domanda provocatoria di Jean Passicos, e la consegna al futuro: «Il sinodo diocesano, anche riuscito, non è in realtà una sovrastruttura, una sorta di epifenomeno come una stella filante nel cielo della vita diocesana che lascia una bella traccia e soprattutto un buon ricordo, ma una volta consunta la scia esso scompare nella nebulosa del vasto cimitero istituzionale?».[7] La risposta presentata dai due autori è parametro di confronto per un cammino autentico delle Chiese: «Migliorabili nel loro svolgimento e forse anche nel loro statuto giuridico, talora modesti in certi loro risultati, i sinodi diocesani non di meno rimangono una via praticamente indispensabile per una larga recezione dell’ultimo concilio nella sua ecclesiologia di comunione e, non ultimo, per la forma (anche imperfetta) con cui si celebrano: la Chiesa si percepisce in essi concretamente come popolo di Dio Padre, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo».[8] Graffiando un passaggio da una riflessione dei nostri giorni, aggiungiamo: «La creazione di nuove istanze sinodali e la regolazione delle loro procedure dovrebbero […] considerare prima di tutto la varietà dei compiti di cui si compone la missione e la corrispettiva diversità dei carismi e delle competenze dei fedeli che della missione sono soggetti responsabili. […] Si tratta di comporre armoniosamente l’autorità conferita dal Signore al ministero dei vescovi, destinato a “guidare la Chiesa in fedeltà al depositum fidei”, con “l’exousia del Signore risorto (che) si esprime nella Chiesa attraverso la pluralità dei doni spirituali o carismi che lo Spirito elargisce in seno al Popolo di Dio per l’edificazione dell’unico Corpo di Cristo”».[9] Del resto ogni dinamica sinodale dovrebbe portare a elaborare decisioni maturate attraverso un consenso, teologicamente inteso come il «con-sentire» dei fedeli.[10]
Tratto da Orientamenti Pastorali n. 5/2021. Tutti i diritti riservati.
[1] S. Ferrari, «I sinodi diocesani in Italia: criteri metodologici per i loro studi», in Ius Canonicum, XXXIII, n. 66, 1993, 713-733. La questione è pure trattata dall’autore nello studio «I sinodi diocesani del post-concilio», in Aggiornamenti sociali, 5(1998).
[2] L. Prezzi – G. Senin Artina, «Sinodi postconciliari: i limiti della recezione», in Chiesa in Italia. Annali de Il Regno, EDB, Bologna 2000, 123-132.
[3] Gli autori scrivono in nota: «Le cifre relative al secondo sinodo milanese peccano per difetto perché quelle in nostro possesso si riferiscono non all’insieme dell’assemblea (composta da 674 persone), ma al gruppo che ha collaborato alla fase finale del testo sinodale».
[4] Indizione del sinodo nel 1988, promulgazione delle norme nel 1992.
[5] Indizione del sinodo nel 1986, promulgazione delle norme nel 1993.
[6] Cf. Regno-att. 18, 1992, 534.
[7] J. Passicos, Le Synode diocésain dans l’histoire e dans le Code, Parigi 1988, 36.
[8] H. Legrand, «Démocratisation ou communion? Une lecture théologique», in Les synodes diocésains, Desclée de Brouwer, Paris 1994, 184.
[9] S. Dianich, «Carismi e sinodalità», in R. Battocchio – L. Tonello (a cura di), Sinodalità. Dimensione della Chiesa, pratiche nella Chiesa, Edizioni Messaggero Padova, 2020, 31.
[10] R. Battocchio, L. Tonello, Sinodalità. Dimensione della Chiesa, pratiche nella Chiesa, Edizioni Messaggero Padova, 2020, 11.