Ina Siviglia – docente di Antropologia Teologica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale
1.Il contesto
Circa due secoli di femminismo, seppur di varia provenienza e di differente matrice geografico-culturale e storico-politica, nel senso più ampio del termine, hanno prodotto esiti e derive di varia natura e forma. Perciò, bene a ragione, possiamo apporre un attributo – plurale – in grado di evidenziare un processo lungo, magmatico, per certi aspetti imprevedibile e peraltro ancora non concluso, tenendo conto che i termini del problema sono, oggi, di fatto altri rispetto a quelli del passato. Non stupisce, allora, il fatto che la cosiddetta questione femminile, comune trasversalmente a ogni ambito del femminismo plurale, non abbia toccato solo i punti nevralgici della problematica socio-politica, cosi come fenomenologicamente poteva apparire. Di fatto essa ha costituito un elemento scardinante sia l’aspetto culturale che quello relazionale-tradizionale. Tale processo, ancora non del tutto compiuto, ha già prodotto ulteriori esiti fino all’attualissima e quanto mai problematica ideologia del gender, che ha rimesso in discussione la questione dell’identità, dunque della differenza nella complementarietà tra il maschile e il femminile e della reciprocità uomo-donna nel nostro tempo. Appare necessario, allora, saper ridire e additare ai nostri contemporanei cosa significhi e cosa comporti l’essere eguali a pari titolo, perché dotati di eguale dignità, evitando ogni tentativo di piatta omologazione, come anche di tendenza a cambiare identità, permettendosi esperienze inedite. Senza differenza, complementarità e reciprocità, infatti, non si può costruire correttamente quel rapporto sponsale di coppia che è posto alla base della formazione della famiglia, che assicura, e non solo biologicamente, il ricambio generazionale, in maniera naturale nell’alveo di un ambiente generalmente accogliente e caldo, assicurando, in tal modo, la crescita serena dei figli. Di fatto ancora oggi la famiglia viene considerata la più antica e sempre la più efficiente scuola e palestra di relazioni interpersonali e intergenerazionali. Non deve meravigliare il fatto che ci sia stato un femminismo di matrice cristiana che ha portato avanti a volte un dibattito acceso, intra-ecclesiale, tra componente maschile, soprattutto clericale, e componente femminile. Evidentemente le fondamenta di tale movimento si sono fondate principalmente sulla Parola della Scrittura e sulla predicazione e sui comportamenti di Gesù nei confronti delle donne, narrati dai quattro evangelisti e, infine, sul modello della Chiesa primitiva, osservabile negli Atti degli Apostoli e nelle lettere apostoliche, come pure sulla letteratura patristica dei primi secoli dell’era cristiana. È interessante rilevare come il femminismo nato e maturato nell’alveo della fede cattolica si sia allargato al confronto e al dialogo con gli uomini e con le donne cristiane di altre confessioni, specialmente quelle di matrice evangelica, come anche abbia aperto una via di comunicazione su alcuni temi comuni con le donne di altre religioni. È proprio la mondialità del fenomeno che ha conferito valore e autorevolezza alla lotta delle donne per conquistare, non certo per moda, nuovi spazi per contribuire al progresso in tutti gli ambiti, specie in ordine a temi come la famiglia, il divorzio, l’aborto, l’educazione dei giovani, la pace, la questione ecologica, la gestione del potere politico, etc. Non ci si può illudere che basti un’immissione sempre più numerosa di donne nel mondo della cultura e nel mondo del lavoro, persino nel mondo della politica, tradizionalmente quasi del tutto preclusa al genere femminile, per realizzare una società più capace di recepire i carismi dell’universo femminile. Non si tratta di un problema principalmente numerico, ma, piuttosto, soprattutto di un ingresso e di un inserimento qualitativamente sempre più efficace, nell’assunzione di nuovi ruoli e compiti da gestire. C’è da sperimentare e osservare la fruizione femminile del potere in tutte le sue forme nei luoghi dove si elaborano le decisioni che contano, inaugurando stili di presenza e di partecipazione di certo molto diversi dalle modalità maschili, che sono sotto gli occhi di tutti. Il «genio femminile», come amava definirlo papa Giovanni Paolo II, nel 2017 ha ancora molto da donare nei diversi contesti dove si trova a vivere e operare.
2.Rivoluzione culturale e rivoluzione sessuale
Il femminismo ha suscitato una vera e propria rivoluzione culturale che ha portato con sé, nel tempo, valori da riaffermare e ricomporre, lasciando alle spalle e abbandonando detriti di modelli desueti e logori. Era impensabile, comunque, che una tale crisi avrebbe provocato e richiesto un cambiamento di mentalità da parte solo degli uomini. Inevitabilmente, infatti, se è vero che tale mutamento interpellava primariamente il mondo maschile, risulta pur chiaro che avrebbe coinvolto anche quello femminile, nell’avvincente ricerca di forme nuove di convivenza e di stili di vita più adeguati e più corrispondenti all’acquisita parità con l’universo maschile. E ciò non solo come rivendicazione di diritti politici a livello individuale, ma anche come impegno corale riguardo a nuovi equilibri di coppia, di famiglia, di società. In altre parole, quel movimento, creato dalle donne per e con le donne di ogni razza e cultura, ha dovuto lasciarsi alle spalle un modo di pensare e di vivere secondo una mentalità e una modalità esclusivamente androcentriche ormai definitivamente superate. La rivoluzione sessuale appare come una delle conquiste, e al tempo stesso derive più vistose e per certi versi più comprensibili. A partire dal ‘68 essa si manifesta in maniera sempre più spregiudicata: da parte delle donne ha significato il riappropriarsi del proprio corpo, superando tabù secolari e ipocrisie, ritenendo che di ciò che si trova nel proprio corpo – per esempio l’embrione – è solo la donna a deciderne la sorte. È il tempo della maturazione politica, delle nuove leggi sul diritto di famiglia, in particolare sul divorzio e sull’aborto, recepiti nella legislazione italiana a seguito di due referendum. Oggi si assiste a un reale mutamento del modo di pensare finalmente uomini e donne insieme, nel ridisegnare e ridefinire modelli e stili di comportamento più elastici, meno rigidi, ma non necessariamente intercambiabili. Si tratta di non ricadere nella tentazione di ripetere un copione ormai superato, piuttosto di lasciare uno spazio di creatività nello sperimentare modi nuovi di relazionarsi tra uomini e donne, in tutti gli ambiti, a partire dalla famiglia, e per noi credenti della comunità ecclesiale, visto che, come afferma l’apostolo, «in Cristo Gesù non c’è più né uomo né donna» (Gal 3,28). Vale la pena ricordare che Giovanni XXIII, nella sua enciclica Pacem in terris, riconobbe nel movimento femminista un segno dei tempi, mentre da molti cristiani era stato guardato con sospetto. Un contributo magisteriale di notevole peso è stato offerto da papa Giovanni Paolo II con la pubblicazione della Mulieris dignitatem, primo e unico documento papale avente per oggetto la donna nella sua dignità e nel suo prezioso valore per ogni società e cultura. La storia della salvezza viene letta con gli occhi della seconda Eva, Maria la madre di Dio. Va segnalata inoltre la lunga serie di Catechesi del mercoledì di papa Giovanni Paolo II sull’amore umano con il commento molto aggiornato esegeticamente dei capitoli 1-3 di Genesi. In continuità con tale insegnamento, si è posto papa Francesco con la sua esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, dove si registra un enorme recupero della tematica e del valore della sessualità umana. Si è trattato di un periodo di transizione molto complesso e delicato dalla modernità alla post-modernità e dalla post-modernità in poi: ora si va verso un’inedita stagione nella quale sarà necessario ripartire da altri fondamenti, specie di carattere antropologico, per rifondare un «umanesimo» in armonia con Cristo, l’Uomo perfetto. Ciascuno, donna o uomo che sia, e, a maggior ragione, uomo e donna insieme, deve prendere coscienza di non essere solo passivi spettatori ma di essere chiamati per vivere da protagonisti di un cambiamento all’insegna di una rinnovata alleanza, in una inedita forma di partenariato, capace di recepire gli elementi più fruttuosi in ordine alla costruzione di una società più giusta e più accogliente delle differenze.
3.Dal maschilismo alla crisi del maschio
Uno degli esiti più prevedibili del movimento femminista è stato, certamente, il passaggio, a volte repentino, a volte più lento e perciò con radici più profonde, da un mondo a dimensione di maschio, con punte di maschilismo talora superbo e autoritario pieno di pregiudizi e di giudizi sul mondo femminile, a un tipo di maschio fragile, ansioso e insicuro rispetto all’universo femminile e alla relazione in genere. Man mano che le donne acquisiscono coscienza del loro spazio sociale e della loro autonomia nel campo del lavoro, non solo economica ma anche di pensiero e di azione, esse acquistano diritti in campo politico, sia passivi che attivi. Gradualmente la componente maschile ha reagito con forme di violenza (vedi per esempio in questi ultimi anni il numero crescente di femminicidi), oppure ritirandosi in uno spazio più ristretto, cadendo in una forte crisi di identità che sovente finisce con il tradursi in una inedita struttura di fragilità, su tanti fronti, ma specialmente nella relazione con le donne. Dal punto di vista psicologico tale fragilità prende la forma di depressione oggi molto diffusa e/o di problemi nella sfera sessuale indotti per lo più da una paura della donna, diventata nel tempo decisa, combattiva, piena di iniziative, colta, ormai certa di non dovere né volere delegare altri rappresentanti dell’altro sesso a rappresentarla in nessun caso. Nella coppia si fa fatica a ridefinire i ruoli, i quali a volte, per necessità, appaiono intercambiabili ma non eliminabili. L’ingresso della donna nel mondo del lavoro, con tutto ciò che questo significa, crea frequentemente nel partner uno stato di incertezza e di ansia che si riflette sia sul rapporto a due, sia, soprattutto, nell’ambito della genitorialità. Uno dei possibili esiti, ma non l’unico né il più grave, è stata la crisi del matrimonio, sia nel senso della celebrazione del sacramento, sia anche dei matrimoni civili, a favore di convivenze estemporanee, come anche convivenze più strutturate in forma di prova temporanea in vista di un possibile matrimonio.
4.L’ecclissi della figura paterna
In quest’ultimo ventennio abbiamo assistito a una tanto graduale quanto inesorabile ecclissi della figura paterna. L’allarme è arrivato dal vuoto educativo dentro le mura domestiche, alla assenza e alla mancanza di autorevolezza del padre registrato nell’ambito della scuola, come anche dalla sempre più diffusa domanda, al pubblico come al privato, di un sostegno psicologico per reimparare il ruolo di padre, senza scadere in inutili forme di cameratismo o, peggio, di autoritarismo ingiustificato, con esiti a volte drammatici nella formazione dei figli. Sono tutti campanelli d’allarme che dicono da un lato il senso di inadeguatezza dei padri sia biologici che effettivi, o di quelli solo biologici in forza di una fecondazione artificiale e, perché no, anche di quelli acquisiti nelle complesse situazioni di famiglie cosiddette «ricomposte». Fatto sta che con l’eclissi della figura paterna viene meno la capacità del padre di dettare regole di vita e norme morali nella gradualità della crescita dei figli, come anche i diversi modi nei diversi tempi di un ingresso maturo e sereno dei giovani negli ambienti extrafamiliari come la scuola, gli amici, il tempo libero, la vita culturale, lo sport ecc. Sono compiti che vengono ignorati o mal vissuti da padri insicuri, che rendono a loro volta insicuri i figli, nei confronti dei quali a volte si reagisce con l’indifferenza o con un autoritarismo privo di fondamento e inefficace sul piano dialogico-educativo, oppure con forme di cameratismo fuori posto anzi nocive. Si tratta di un modo facile per scaricare gli esiti della propria fragilità sulle generazioni più giovani, alle quali spesso viene ingiustamente attribuita ogni incapacità e ogni genere di insicurezza. Appare sempre più urgente un servizio di consulenza gratuito messo a disposizione dalle istituzioni per accompagnare i genitori, specialmente sulla figura del padre, perché si riapproprino del loro ruolo educativo, con canoni e principi proposti in termini appropriati al nostro tempo, con linguaggi e forme di nuova comunicazione, per aprirsi un varco anche nell’universo virtuale nel quale i nostri figli sono immersi già dalla prima infanzia. Ma in questa situazione di assenza del padre non è consigliabile alle madri di sommare i due ruoli nella sua sola persona. In altre parole, la donna non è chiamata a supplire il partner nel suo ruolo di padre. Tutt’al più alla donna deve stare a cuore che il partner riacquisti sicurezza, e assicuri in tal modo un futuro più stabile, sia nella vita coniugale, sia in relazione ai figli. Anche la Chiesa può e deve fornire un aiuto specifico per ricreare rapporti significativi con i giovani a livello di guide spirituali paterne, benevole, ma anche esigenti. Alla comunità ecclesiale è chiesto di offrire percorsi formativi per genitori non occasionali ma permanenti. A tal proposito scrive papa Francesco al n. 55 di Amoris laetitia: «L’uomo riveste un ruolo decisivo nella vita della famiglia […]. L’assenza del padre segna gravemente la vita familiare, l’educazione dei figli e il loro inserimento nella società. La sua assenza può essere fisica, affettiva, cognitiva e spirituale. Questa carenza priva i figli di un modello adeguato del comportamento paterno». Prendere consapevolezza di questo problema, non riferendosi a casi singoli, ma assumendolo come problema psico-sociologico a largo raggio, significa potenziare il servizio di far prendere sempre più coscienza del dovere acquisire, nel concreto quotidiano, competenze relazionali nella reciprocità uomo-donna, per potere agire in solido come genitori e offrire ai figli itinerari formativi più continuativi e più fruttuosi.