Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore

«La gente non vuole armi ma pane»: dalla loggia delle benedizioni papa Francesco rivolge un pensiero alla Terra Santa dilaniata dalla guerra: «Cessino le operazioni militari e si apra agli aiuti». Condanna il commercio delle armi «che muove i fili delle guerre con tutti i soldi pubblici destinati agli armamenti». No alla guerra «viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse». In due lettere – «no» – racchiude la volontà di frenare ogni violenza e ogni voglia di distruzione che dilania il pianeta. Il successore di Pietro prega per la martoriata Siria – in guerra da oltre un decennio – per Yemen, per Ucraina devastata dalla boria e megalomania  dello zar Putin, per Armenia e Azerbaigian, per il Sahel e il Corno d’Africa.

Per la terra di Gesù, bagnata dal sangue di migliaia di vittime, supplica che «cessino le operazioni militari, con il loro spaventoso seguito di vittime civili innocenti, e che si ponga rimedio alla disperata situazione umanitaria aprendo all’arrivo degli aiuti. Non si continui ad alimentare violenza e odio, ma si avvii a soluzione la questione palestinese, attraverso un dialogo sincero e perseverante tra le parti». Considera: «Lo sguardo e il cuore dei cristiani di tutto il mondo sono rivolti a Betlemme dove regnano dolore e silenzio, e il Principe della pace deve difendersi da Erode in azione con le tante stragi di innocenti nel mondo: nel grembo materno, nelle rotte dei disperati in cerca di speranza, nelle vite di tanti bambini la cui infanzia è devastata dalla guerra. I piccoli Gesù». Dire «sì» al Principe della pace significa «dire “no” a ogni guerra, alla logica della guerra, viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse»

«La gente ignora quanti soldi vanno negli armamenti. Se ne parli, se ne scriva, si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono le guerre». Il vescovo di Roma e pastore del mondo abbraccia le comunità cristiane di Gaza e della Terra Santa. È un Natale nel dolore a Betlemme, senza pellegrini, senza luci, senza addobbi, sostituiti da un presepe fatto di macerie. Il cardinale patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, celebra nella chiesa Santa Caterina presso la basilica della Natività: «Siamo precipitati in un mare di odio, ma bisogna andare oltre. Come non c’era posto, più di duemila anni fa per Gesù, Giuseppe e Maria, oggi non c’è posto per il Natale, per la gioia e la pace, per il dolore che colpisce tutti, palestinesi e israeliani. Non c’è posto per gli abitanti di Gaza, non c’è posto per il popolo palestinese, che attende da decenni che la comunità internazionale trovi soluzioni».

Papa Francesco e il card. Pizzaballa ribadiscono con parole accorate e severe la posizione della Chiesa, dei pontefici, dei cristiani in Terra Santa, della Custodia: per sanare il contrasto millenario tra ebrei e islamici, tra israeliti e palestinesi occorrono due Stati per i due popoli: «Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro. Uno forte e l’altro più forte ancora e così si va avanti. La guerra è una sconfitta. Io l’ho sentita come una sconfitta in più. Due popoli che devono vivere insieme. Con quella soluzione saggia: due popoli due Stati, due Stati ben limitati e Gerusalemme con uno status speciale». Si capisce l’attualità di questa proposta solo alla luce della storia.

«L’anno prossimo a Gerusalemme» era l’augurio che gli ebrei della diaspora si scambiarono per quasi duemila anni alla festa di «Pesach, Pasqua». Dalla «Guerra dei sei giorni» (5-10 giugno 1967), l’augurio si è avverato con la conquista di Gerusalemme est. Lo Stato di Israele è proclamato 75 anni fa, grazie al sionismo, l’aspirazione ebraica di tornare a Sion, il colle del Tempio di Gerusalemme. Alla fine dell’Ottocento diventa un movimento politico per la costituzione in Palestina, di uno Stato ebraico. Foraggiato dai banchieri ebrei anglo-tedeschi Rothschild, il sionismo favorisce l’emigrazione ebraica in Palestina per crearvi uno Stato e chiede appoggi e aiuti ai governi. Durante la Grande Guerra (1914-18), la Gran Bretagna appoggia la colonizzazione. Con il crollo dell’Impero ottomano nel 1918, nasce anche l’idea di costituire una comunità binazionale, araba ed ebraica. La comunità ebraica si radica sempre più, anche con la nascita di scuole, istituti scientifici e di università. 

L’Olocausto

Dopo la Seconda guerra mondiale (1939-45) l’Europa, anche per la cattiva coscienza dell’Olocausto, spinge verso la Palestina centinaia di migliaia di ebrei, scampati ai massacri nazisti. All’Onu la «risoluzione 181» ha una vita travagliata, non passa per due volte ed è approvata il 29 novembre 1947 con 33 voti sì, 13 no e 10 astenuti. Sancisce la divisione fra arabi e israeliani, che i palestinesi, sobillati dagli arabi, non hanno mai accettato: e fu un grave errore. Pio XII incoraggia i Paesi cattolici a votare a favore della spartizione della Palestina. Il progetto prevede: allo Stato arabo il 42,8 per cento della superficie con 800 mila arabi e 10 mila ebrei; allo Stato ebraico il 56,4 per cento del territorio con 500 mila ebrei e 400 mila arabi. Il rifiuto palestinese del piano, la nascita il 14-15 maggio 1948 dello Stato di Israele, proclamato da David Ben Gurion e il deterioramento dei rapporti provocano la prima guerra arabo-israeliana (1948-1949). I palestinesi – sostenuti da Egitto, Giordania, Siria, Libano, Iraq e Arabia Saudita – scendono in campo ma hanno la peggio. Una risoluzione Onu riconosce il diritto dei profughi palestinesi a tornare alle loro case.

Due popoli, due Stati

Oltre cento anni fa il nunzio Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, lavorò alla creazione di un «focolare ebraico» in Palestina. Elliot Hershberg, presidente della «Pave the Way Foundation», trovò negli archivi vaticani documenti che dimostrano come Pacelli organizzò nel 1925 un incontro Papa Benedetto XV e Nahum Sokolow, presidente della «Zionist Organization». Eletto Papa 1939, in silenzio Pio XII salva e fa salvare decine di migliaia di ebrei, omosessuali, zingari, oppositori politici dalla furia nazifascista. Fino al 1963 ebrei e storici lo ringraziano ed elogiano. Il 20 febbraio 1963 sera va in scena a Berlino l’immondo «Stallvertreter. Il vicario» di Rolf Hochhuth e nasce la «leggenda nera» di Pio XII «servo» di Hitler.

I papi e la Chiesa concordano con l’Onu: due popoli e due Stati e uno statuto speciale per i Luoghi santi e Gerusalemme, città sacra alle tre religioni monoteiste: Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo. Il problema è posto da Leone XIII («Domini et Salvatoris», 26 dicembre 1887). Pio XII, rivolgendosi nel 1946 a una delegazione araba, dichiara: «Abbiamo diverse volte condannato le persecuzioni che un antisemitismo fanatico ha scatenato contro il popolo ebraico, abbiamo sempre mantenuto questa perfetta imparzialità». Durante la prima guerra arabo-israeliana («In multiplicibus curis», 24 ottobre 1948) indice preghiere per la pacificazione della Palestina: «Sulla terra su cui Gesù versò il suo sangue continua a scorrere il sangue degli uomini»; parla dei Luoghi santi («Redemptoris nostri», 15 aprile 1949): «La Palestina è ancora lontana dalla tranquillità e dall’ordine. Sia stabilito un regime internazionale per Gerusalemme con uno statuto giuridico». Paolo VI va pellegrino (4-6 gennaio 1964) «ove Cristo nacque, visse, morì, risorse è suolo benedetto»; alla vigilia della guerra arabo-israeliana il 5 giugno 1967 chiede di far tacere le armi nella «terra santa per tutti». Giovanni Paolo II («Redemptionis anno», 1984) invoca «pace e riconciliazione per i due popoli». Per Francesco «il dialogo con l’ebraismo è di particolare importanza per noi cristiani, perché abbiamo radici ebraiche. Gesù è nato e vissuto da ebreo; è il primo garante dell’eredità ebraica nel cristianesimo».