Domenico Sigalini – presidente del COP
Siamo contenti, anche se con qualche ritardo nella tempistica, che la nostra rivista possa ancora raggiungervi e vivere nonostante le «sofferenze» di questi due anni. Le grosse difficoltà dell’EDB, la collocazione ne “Il portico” di Bologna, la gratuità con cui direttore, redattori, persone (professori autori di articoli), lavorano alla preparazione dei vari numeri sono segni di una passione per le riflessioni teologico-pastorali con cui Orientamenti Pastorali vuole servire da non pochi anni la comunità cristiane d’Italia. Ci teniamo a questo unicum che siamo, un minimo di originalità che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che tentiamo di far crescere e rinnovare. E siamo contenti di lavorarci spesso a denti stretti per rispettare tempi e approfondire competenze.
Qualifica l’editoriale di questi nostri due primi numeri la bella introduzione del nostro presidente della CEI il card. Zuppi fatta verso la fine di gennaio. Ne riportiamo alcuni tratti su problemi pastorali che ci stanno impegnando e urgendo nelle parrocchie di città e nei piccoli centri. Abbiamo pure chiesto di approfondire assieme, ciascuno con la propria responsabilità, l’attenzione alle parrocchie delle aree interne, come detto nel numero 11 del 2023 che riporta gli Atti del convegno di quest’estate a Lucca.
Bisogno di pace
«Ognuno deve essere operatore di pace, artigiano di pace. Dobbiamo trasformare la sofferenza causata dalla guerra nella nostra sofferenza. Chiedere la pace vuol dire fare nostre le lacrime di tutti i fratelli e le sorelle che soffrono e che vengono privati del loro futuro; vuol dire coinvolgersi personalmente perché solo da cuori pacificati può sgorgare il desiderio di pace; vuol dire – come ha chiesto il Papa all’Angelus di domenica 21 gennaio – sentire “la responsabilità di pregare e di costruire la pace” per i bambini, per i più piccoli, per i più deboli. L’ansia della pace è un grido che diventa preghiera. Non dobbiamo stancarci di invocare il dono della pace, di educarci alla pace, a partire dalle nostre case, dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità. Le nostre Chiese devono abolire il linguaggio della discordia e della divisione, devono avere parole di pace, chiamando i fedeli a nutrire pensieri e sentimenti di pace».
«Non lasciamo solo il Santo Padre nel ministero di pace. La sua profezia è un valore unico per l’umanità. E, ancora di più, non possiamo e non vogliamo lasciarlo solo noi, Vescovi italiani, che abbiamo con lui un rapporto non solo di prossimità geografica, ma di speciale vicinanza storica e spirituale. Il Papa e la Chiesa di Roma hanno sempre segnato in profondità il cristianesimo italiano. Tanto che l’art. 4, § 2 dello Statuto della nostra Conferenza ricorda “il particolare legame che unisce la Chiesa in Italia al Papa, Vescovo di Roma e Primate d’Italia…”. Questo “qualifica in maniera peculiare la comunione della Conferenza con il Romano Pontefice».
Battezzati: fratelli e sorelle nel Signore
«In questa prospettiva, tra le sfide dell’annuncio, abbiamo accolto la Dichiarazione del dicastero della Dottrina della Fede, Fiducia supplicans. Un documento che si pone nell’orizzonte della misericordia, dello sguardo amorevole della Chiesa su tutti i figli di Dio, senza tuttavia derogare dagli insegnamenti del Magistero. Come viene chiarito nella Presentazione, infatti, non vi è alcuna messa in discussione del significato del Sacramento del matrimonio: “Resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione”».
Riportiamo anche il commento del cardinale Betori, da teologo e antropologo finissimo e chiaro, citato dallo stesso cardinale Zuppi: «Non si tratta di un ampliamento del concetto di matrimonio ma di un’applicazione concreta della convinzione di fede che l’amore di Dio non ha confini e proprio il suo operare è alla base del superamento delle situazioni difficili in cui versa l’uomo. Le benedizioni… sono “una risorsa pastorale piuttosto che un rischio o un problema”, un gesto che “non pretende di sancire né di legittimare nulla”, in cui “le persone possono sperimentare la vicinanza del Padre”». E ancora: «Pensare in questi termini la verità e il suo annuncio non toglie nulla alla sua integrità, ma rende consapevoli dello stretto nesso tra volontà salvifica di Dio e condizione storica dell’uomo». È il valore pastorale della verità cristiana, che è sempre finalizzata alla salvezza. Dio vuole che tutti siano salvi (1Ts 2,4): è quindi compito della Chiesa interessarsi di tutti e di ciascuno. Non possiamo dimenticare che tutti i battezzati godono della piena dignità dei “figli di Dio” e, come tali, sono nostri fratelli e nostre sorelle».
Alcune nostre considerazioni personali
Aggiungo io alcuni pensieri di vita. I vescovi e i preti della mia età vengono tutti da famiglie numerose con molti fratelli e sorelle che poi si sono sposati, hanno quasi tutti figli e figlie che hanno fatto famiglie e moltissimi nipoti, pronipoti, cugini primi e secondi con le loro famiglie e tutti abbiamo in casa casi impossibili se guardati con la nostra morale e i veri comportamenti del cristiano. Ci stanno separati e risposati, figli e figlie omosessuali, famiglie con figli nati fuori dal matrimonio e non parliamo della loro vita di fede, perché non tutti vanno alla messa domenicale, spesso sono pure stati in carcere, altri traditi o traditori; abbiamo in casa il mondo. Che dobbiamo fare? Togliere a qualcuno il saluto? cancellarli dai nostri piccoli e grandi sostegni? dai possibili incontri chiarificatori e pacificatori familiari? Non accompagnarli nelle malattie e nei calvari che precedono la morte?… Se una benedizione volesse dire anche solo questa ricchezza di rapporti umani e cristiani!? che fede abbiamo in comune? che prospettiva di salvezza condividiamo? Che prossimità di missione possiamo tenere viva? Questo ci domanda sempre la nostra fede al di là dei giudizi trancianti e definitivi di salvezza o dannazione. O dobbiamo anche noi diventare ostacolo al vangelo e allo stesso Gesù, che si è perfino immedesimato con un samaritano, il nemico irriducibile e reietto della comunità ebraica del tempio, quando, a dispetto del levita e del sacerdote del tempio, pendolari del sacro, si è fermato a soccorrere il malcapitato lungo la strada che si allontanava da Gerusalemme, non soltanto geograficamente?!
La nostra pastorale non è la somma delle verità e delle deduzioni logiche, ma una scienza che sempre deve riformularsi nell’ascolto della Parola e delle vite degli uomini e delle donne di oggi, sotto la guida e con docilità al nostro pastore supremo in tutte le vite umane di oggi e di domani.
Modestamente la nostra rivista sta su questo piano pastorale e teologico.