Fortunato Ammendolia – informatico e animatore della comunicazione e della cultura del COP, esperto di pastorale digitale, invitato in percorsi universitari.
Francesco il 21 dicembre 2019, nel discorso alla curia romana per gli auguri di Natale, affermava: «Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza. Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. […] L’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento, della parresia e della hypomoné. Il cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più umano, e anche più cristiano. Sarebbe sempre un cambiamento esterno, ma compiuto a partire dal centro stesso dell’uomo, cioè una conversione antropologica». Il 28 febbraio del 2020, nel discorso ai partecipanti alla plenaria della Pontificia accademia per la vita, il papa ha evidenziato che: «potremmo dire che la “galassia digitale”, e in particolare la cosiddetta “intelligenza artificiale”, si trova proprio al cuore del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. L’innovazione digitale, infatti, tocca tutti gli aspetti della vita, sia personali sia sociali […]». Un cambiamento d’epoca mosso dalle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, (ICT), quindi. Il magistero di Francesco è da considerarsi allineato con il Manifesto Onlife, breve documento sul nuovo rapporto tra uomo e tecnologia rilasciato nel 2013 da uno studio interdisciplinare coordinato dal professor Luciano Floridi, voce autorevole della filosofia contemporanea, e alla cui base c’è la convinzione che le ICT vadano considerate oltre il loro essere semplicemente strumenti. Si tratta piuttosto di forze ambientali che agiscono, impattano, su quattro fronti: la nostra «concezione del sé» (chi siamo); le nostre «interazioni reciproche» (come socializziamo); la nostra «concezione della realtà» (la nostra metafisica); la nostra «interazione con la realtà» (agency: il nostro scegliere e agire indipendente). Questo impatto è dovuto ad almeno quattro grandi trasformazioni: la sfumatura della distinzione tra realtà e virtualità; l’erosione della distinzione tra uomo, macchina e natura; l’inversione dalla scarsità di informazioni alla loro abbondanza; il passaggio dal primato delle cose a sé stanti, delle proprietà e delle relazioni binarie, al primato delle interazioni, dei processi e delle reti. Lo scenario evidenziato è quello di un’era iperconnessa, dove internet vede la sua prima e vera evoluzione con l’Internet of Things (Internet delle cose), inglobando «oggetti» rivestiti di tecnologia. L’evidenza principale è quella del venir meno del dualismo offline-online, del confine tra fisico e digitale, e dell’imporsi di un’esistenza onlife.[1] Il mondo d’oggi è avvolto nell’infosfera – la globalità dello spazio delle informazioni –, sfera informazionale nel suo espandersi sempre più digitale, popolata di bit; spazio di vita dove gli uomini non sono entità isolate ma organismi informazionali – inforg –, interconnessi quindi, pure con altri agenti biologici o artificiali. Quello di oggi è un mondo in cui «il dualismo è morto! Lunga vita alle dualità!», un mondo «nell’angolo di Frankenstein e del “Grande Fratello”», un mondo di iper-memorizzabilità, di iper-riproducibilità e di iper-diffusibilità, un mondo dove la storia cede il passo all’iperstoria – le società umane diventano vitalmente dipendenti dai dati quale risorsa fondamentale –. In un mondo iperconnesso occorre ripensare opportunamente i quadri di riferimento che si utilizzano per leggere e interpretare il mondo (concept reengineering).
Oltre ogni distopia: la forza della profezia
Nell’affrontare la questione dell’essere missione in questo cambiamento d’epoca è interessante ritornare al pontificato di Pio XII. La prospettiva è già tutta in apertura della sua lettera enciclica Miranda prorsus (8 settembre 1957). Guardando oltre quei mass media per cui furono pronunciate – radio, cinema, televisione –, il pensiero del «Pastor angelicus» riletto oggi risuona come profezia per la digital society. Pensieri che suonano pure come profezia per l’oggi ci giungono da un passato ancor più remoto, attraverso le nove lettere di Romano Guardini, con cui il teologo ci consegna un proprio percorso di riflessione compiuto nell’arco di tempo che va dalla Pentecoste del 1923 all’autunno del 1925. Lettere che anticipano e inquadrano i tratti essenziali del rapporto uomo-tecnica (paure e speranza). Il teologo nella IX lettera afferma che: «per poter renderci padroni del “nuovo”, dobbiamo in giusto modo penetrarlo. Dobbiamo dominare le forze scatenate onde farle attendere alla elaborazione di un ordine nuovo, che sia riferito all’uomo. Ma, in ultima analisi, questa opera non può compiersi ove si prendano come punto di partenza i problemi tecnici; essa è resa possibile solo partendo dall’uomo vivente. […] Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove, di una capacità di assumere forme nuove e di crearne. La sua costituzione dev’essere tale, che debba trovare il mondo nuovo già nelle fibre del suo essere e nella forma stessa della presa con cui ne afferra le strutture. Per imponente che sia la mole del sapere accumulato, per quanto gigantesco sia l’apparato economico e politico […] non abbiamo bisogno di ridurre la tecnica, ma, al contrario, di accrescerla. O meglio: ciò che ci occorre è una tecnica più forte, più ponderata, più “umana”». Le parole di Guardini, calate nell’oggi, lasciano emergere l’istanza – cui è chiamata anche la Chiesa –, di edificare una Società 5.0[2] dove la vera evoluzione tecnologica metta al primo posto il benessere delle persone. Infatti, l’efficacia della tecnologia e di nuovi modelli economici e politici non può che essere misurata in termini di cambiamenti in positivo nella vita della gente e di creazione di valore condiviso. Occorre, quindi, mettersi in cammino, nella consapevolezza che il fattore generativo di differenza è la capacità di stare insieme.
Pastorale digitale: un’opportuna definizione
Il termine pastorale digitale è indicativo di quell’insieme di processi atti a far interagire in modo adeguato la pastorale e le tecnologie digitali, perché si realizzi un uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare della Chiesa nella prospettiva onlife. Celebrazione, catechesi e carità dovranno quindi compiersi nell’era dell’iperconnessione, considerando pertanto cultura e comunicazione digitale. La pastorale digitale, quindi, non è una pastorale altra (o d’élite) ma una necessaria declinazione della presenza e dell’impegno ecclesiale nel suo complesso. La prassi già in atto rimanda alla comunicazione digitalmente mediata, ovvero a una pastorale digitale connessa con le comunicazioni sociali. Ciò, chiaramente, non esaurisce la definizione di pastorale digitale, che è da intendersi in senso più ampio, considerando tutte le tecnologie digitali, in un dialogo tra teologia, scienze umane e tecnologiche.[3] Essa si colloca – trasversalmente – secondo quella prospettiva di ricerca piuttosto nuova che vede la pastorale interrogarsi sul suo rapporto con la tecnologia, fino a considerare la questione del postumano, ovvero della tecnica come ambiente. [4]
Tratto da Orientamenti Pastorali n.1-2/2024 (tutti i diritti riservati)
[1] Il neologismo «onlife» è stato coniato da Luciano Floridi.
[2] Human technology oriented model.
[3] Cf. Francesco, Veritatis gaudium, 2.
[4] Approfondimenti in F. Ammendolia – R. Petricca, Chiesa e pastorale digitale. In uscita verso una società 5.0, Il Pozzo di Giacobbe, 2023.