Giuseppe Savagnone – responsabile del sito www.tuttavia.eu dell’Ufficio della Pastorale per la Cultura, l’Educazione e la Comunicazione della Diocesi di Palermo
La decisione del Consiglio dei ministri di introdurre delle valutazioni psico-attitudinali per coloro che aspirano a diventare magistrati continua ad essere al centro di un acceso dibattito. «Misura sacrosanta», titola il «Giornale». Invece, secondo il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, esse servono solo «a creare una suggestione, che i magistrati hanno bisogno di un controllo psichico o psichiatrico». Cosa pensare di questo scontro frontale e delle opposte valutazioni che lo determinano? La prima cosa da fare è ascoltare gli argomenti che le giustificano. Cominciamo da quelli dei difensori delle nuove misure adottate.
Le ragioni del governo…
Secondo il direttore del «Giornale,» Sallusti, i test psico-attitudinali sono necessari «per verificare se il livello di equilibrio e serenità è compatibile con una professione che maneggia una merce unica e importante qual è la libertà degli uomini, cosa che già avviene senza alcun problema per categorie altrettanto sensibili, tipo forze dell’ordine e piloti di aerei». Argomentazioni che riprendono, peraltro, quelle autorevolmente espresse dal ministro della Giustizia Nordio, a cui si deve la proposta appena approvata: «L’esame psico-attitudinale» – ha ricordato – «è previsto per tutte le funzioni più importanti del Paese, ma soprattutto è previsto per le forze dell’ordine. Il pubblico ministero è il capo della polizia giudiziaria che è sottoposta al test. Se sottoponiamo ai test chi obbedisce al comandante, è possibile non sottoporre a test chi ha la direzione della polizia giudiziaria?». In ogni caso, egli ha sottolineato, l’esame psico-attitudinale non riguarderà i giudici attualmente in servizio, ma solo coloro che faranno il concorso per diventare magistrati. E «non è affatto invasione di campo da parte del governo nei confronti della magistratura», per il semplice fatto che «tutta la procedura di questi test è affidata al Csm (Consiglio superiore della magistratura)», che è per due terzi composto da magistrati (membri “togati”) e solo per un terzo da membri eletti dal Parlamento (membri “laici”).
Per ogni concorso, il CSM nominerà alcuni docenti universitari in materie psicologiche, che avranno il compito di preparare i test scritti a cui seguirà un colloquio. Tutto ciò riguarderà solo i candidati che avranno superato le prove scritte del concorso, come una precondizione per essere ammessi all’orale. E a dare la valutazione finale sarà comunque la commissione, salvaguardando così il principio, stabilito dall’art. 106 della Costituzione, secondo cui «le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso» (motivo per cui, ha spiegato il ministro, i testi non potevano essere previsti prima delle prove scritte).
… e quelle degli oppositori
Ma perché, allora, le veementi contestazioni di cui la nuova normativa è oggetto in questi giorni? Può aiutare a comprenderle la storia travagliata del rapporto fra la destra oggi al governo e la magistratura.
L’introduzione dei test psico-attitudinali si inserisce inevitabilmente in questa storia, in particolare nell’atteggiamento di fondo dell’uomo politico che ha avuto in essa un ruolo determinante, Silvio Berlusconi. È noto che il “cavaliere” si è sempre sentito perseguitato dai magistrati, attribuendo le motivazioni delle sue innumerevoli vicende giudiziarie, volta a volta, al loro essere “comunisti” o a disturbi mentali. E non si riferiva solo ad alcuni di loro, ma all’intera categoria: «Questi giudici», affermava nel 2003, quando era presidente del Consiglio, «sono doppiamente matti. Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana». Da qui, sempre nel 2003, il tentativo – non portato a termine – fatto dall’allora ministro della Giustizia, il leghista Castelli, di introdurre già allora i test per valutare la salute mentale dei magistrati. La decisione dell’attuale Consiglio dei ministri corona, dunque, un sogno tradizionale della destra, maturato in un clima di esplicita ostilità nei confronti dell’ordine giudiziario.
Al di là di questo contesto che potremmo definire “politico”, i critici sottolineano che lo stesso statuto scientifico della psicologia esclude – tranne, ovviamente casi chiaramente patologici – che essa possa essere utilizzata per valutare la personalità del magistrato in modo da prevederne la capacità di esercitare correttamente le proprie funzioni. Lo diceva un documento, firmato, sempre nel 2003, da 134 soci della “Società Psicoanalitica Italiana” e da 35 psichiatri e psicologi della “Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica”. «Nessun tecnico, anche soltanto minimamente competente in materia» – si legge in esso – «saprebbe in coscienza avallare una forma di valutazione predittiva psicologico-psichiatrica del futuro magistrato. E questo non per un’attuale insufficienza dei nostri strumenti di indagine, ma in ragione di più cogenti criteri metodologici, che impediscono la costruzione di griglie riduttive attendibili, atte a testare funzioni così complesse, che coinvolgono ideali, motivazioni, passioni, interessi, come se si trattasse di mere capacità oggettivamente standardizzabili».
Il punto è che il giudice non è un meccanico esecutore delle norme scritte. Ormai l’ermeneutica giuridica ha ampiamente dimostrato il ruolo decisivo che ha nel diritto l’interpretazione. Ogni applicazione della legge – come quella che avviene nel processo – implica che se dia una certa lettura, indispensabile per collegare l’astratta norma dei codici alla situazione concreta che bisogna valutare. E l’interpretazione coinvolge sempre «ideali, motivazioni, passioni, interessi» di chi la fa. Impossibile ingabbiare questa ricchezza di fattori personali dentro standard precostituiti, puramente “oggettivi”, come quelli che si traducono poi nella somministrazione di test.
Di conseguenza, continua il documento degli psicologi «gli “esperti” esaminatori, non avendo alcun vero ancoraggio scientifico per validare i propri giudizi, si troverebbero, nella migliore delle ipotesi, in balia di suggestioni intuitive ed empatiche», o, nella peggiore, sarebbero tentati «da un ‘disciplinato’ affidamento (…) all’ordinamento politico del momento». Questo non significa, naturalmente, che il giudice possa procedere arbitrariamente. Ma, a garantire la sua capacità di svolgere il proprio ruolo non può essere una problematica previsione a priori di ordine pseudo-scientifico, bensì un controllo costante sul suo modo effettivo di essere e di operare nello svolgimento delle sue funzioni. E questo controllo già esiste. In una lettera firmata da tutti e venti i membri togati del Consiglio superiore della magistratura e dai due laici eletti in Parlamento dalle opposizioni (non da quelli eletti dai partiti della destra) si fa notare «come il governo autonomo della magistratura conosca già reiterate e continue verifiche sull’equilibrio del magistrato che viene sottoposto a valutazione dal momento del suo tirocinio e, successivamente, con intervalli regolari ogni quattro anni». E si denuncia il fatto che le nuova normativa è stata introdotta dal Consiglio dei ministri senza prima averla neppure fatta conoscere, per un parere, al CSM, che è l’organo costituzionalmente preposto a garantire l’autonomia della magistratura.
Il problema costituzionale
È difficile negare la forza di queste motivazioni critiche. Ma, ad essere decisivi per un giudizio negativo, paradossalmente non sono tanto gli argomenti degli oppositori, quanto quelli dei suoi sostenitori. Essi, come abbiamo visto, insistono molto sul fatto che già il test psico-attitudinale «è previsto per le forze dell’ordine», in particolare per la polizia giudiziaria (Nordio) e per altre categorie sensibili, come «i piloti d’aereo» (Sallusti).
Ciò che sembra sfuggire, a chi fa questo paragone, è che la magistratura è un organo costituzionale il quale – nella logica della separazione dei poteri, su cui si regge lo Stato italiano – si pone sullo stesso piano e ha diritto alla stessa indipendenza del Parlamento e del governo. L’autonomia della funzione giudiziaria, di quella legislativa e di quella esecutiva è fondamentale per la nostra democrazia. Per questo la Costituzione dice, all’art. 101: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge». I membri delle forze dell’ordine, come i piloti di aereo, no. Hanno dei superiori a cui devono obbedire, delle particolari regole professionali, dei modelli di comportamento precostituiti, entro cui devono conformarsi. Si può essere ottimi cittadini ed essere scartati da una selezione per diventare poliziotto se all’esame fisico risultano dei problemi di vista o, a quello psicologico, scarsa capacità di adattamento alla severa disciplina richiesta da questo lavoro.
Questo non vale per chi deve intraprendere la carriera di magistrato. E il ragionamento del ministro, secondo cui è assurdo che la polizia giudiziaria sia sottoposta a test e non lo sia il giudice che ne è a capo, rivela una radicale incapacità – scoraggiante in un membro del governo – di capire la differenza abissale tra un funzionario dipendente e il rappresentante di un organo costituzionale.
Quanto all’argomento, anch’esso spesso ripetuto, che il test «è previsto per tutte le funzioni più importanti del Paese» (sempre Nordio), esso apre la strada alla provocazione del giudice Gratteri, il quale ha fatto notare che allora dovrebbe essere adottato anche per valutare l’idoneità a ricoprire la carica di parlamentare o di presidente del Consiglio, di ministro e di sottosegretario, la cui funzione non è certo meno decisiva di quella dei giudici
Che forse non sarebbe male, se è vero che il deputato Pozzolo, amico personale del sottosegretario alla Giustizia Delmastro, è andato a una festa di Capodanno armato di pistola, ferendo a una gamba un agente della corta. Questo non sembra che nessun magistrato l’abbia mai fatto.
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