Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
«La guerra sempre è una sconfitta in cui chi guadagna di più sono i fabbricatori di armi» non si stanca di dire Papa Francesco. E l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace (Sipri) di Stoccolma, il più autorevole e indipendente, per il 2023 constata sconfortato: «Non c’è regione del mondo dove la situazione sia migliorata». Quanto si spende in Europa non è una sorpresa: con due guerre nell’area mediterranea-europea che coinvolgono indirettamente i Grandi con forniture miliardarie a Israele e all’Ucraina da parte degli Stati Uniti e all’Ucraina dai Paesi europei, il 2023 è l’anno dell’aumento record della spesa militare.
L’incremento più alto degli ultimi 15 anni
Nel 2023 si sono spesi in armamenti 2.443 miliardi di dollari (2.293 miliardi di euro), il 2,3% del Prodotto interno globale, con un incremento del 6,8% in tutto il Pianeta: «Non c’è zona in cui le cose siano migliorate». Di conflitti – in quella che il Papa Bergoglio definisce «la Terza guerra mondiale a pezzi» – se ne contano parecchi ma dal 2022 sono scesi sul campo di battaglia gli Stati che hanno l’arma nucleare come Russia e Israele. La Russia di Putin è supportata dalla Corea del Nord, anch’essa dotata di armi nucleari, e dall’Iran che lavora all’atomica. Per sostenere l’Ucraina la Nato chiede di destinare alla difesa almeno il 2% del pil. Il Congresso americano ha appena varato un pacchetto di aiuti: 29 miliardi di dollari vanno all’industria bellica statunitense per la produzione di armi.
Spendono di più Stati Uniti, Cina, Russia, India e Arabia Saudita
Gli Stati Uniti con 860 miliardi di euro (+2,3%), coprono il 37% della spesa. La Cina spende un terzo degli Usa: 278 miliardi di euro (+6%), il 12% della spesa. Segue la Russa con 102 miliardi di euro (+24%) e il 4,5% della spesa. L’Arabia Saudita (+9 per cento); poi Israele (+24%); l’Ucraina è l’ottavo investitore con il 33% del pil, 60 miliardi di euro (+51%). Ha ricevuto aiuti militari per 32 miliardi; il Giappone, ex neutrale e pacifista, è il sesto importatore di armi; aumenta la spesa di Taiwan; il Canada è al sedicesimo posto. La spesa complessiva dei 31membri della Nato è di 1.260 miliardi di euro (55% della spesa mondiale): tra questi spicca la Polonia con un incremento del 75%; in forte aumento anche la Spagna. In America Latina primeggia il Brasile, diciottesimo con 21,5 miliardi di euro.
Record per le spese militari e mondo sempre più armato
Il Sipri sottolinea aumenti significativi per Europa, Asia, Oceania e Medio Oriente. Maurizio Simoncelli, vicedirettore di Archivio Disarmo: «Operare per arrivare a una de-escalation nei conflitti e risolvere i problemi internazionali con la forza è una pura illusione». La guerra è ormai il più redditizio mercato. Per il nono anno consecutivo la spesa per armamenti rincara. Dal 2009 gli investimenti militari aumentano in tutte e cinque le regioni geografiche mondiali: «La guerra in Ucraina ha stravolto radicalmente le prospettive degli Stati europei». Con quasi 32 miliardi di aiuti ricevuti, Kiev riduce notevolmente il divario con Mosca. In America Latina a far lievitare la spesa è la lotta alla criminalità organizzata. Simonelli nota che il massiccio rincaro è scattato «dopo l’occupazione russa della Crimea. È ripresa in pieno la guerra fredda». Per l’esperto «il tentativo da fare è puntare soprattutto sull’avvio dei negoziati».
Allarmante il «Rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo» di Amnesty
«Nel 2023 il mondo è sfrecciato all’indietro rispetto alla promessa dei diritti umani universali del 1948, nonostante si proietti sempre più velocemente in un futuro dominato dalla tecnologia senza regole. I passi indietro sul fronte dei diritti umani non sono avvenuti nel silenzio. Il devastante conflitto Israele-Palestina ha avuto ramificazioni in tutta la regione. Gli israeliani a Gaza uccidono migliaia di persone, in maggioranza civili; «Hamas ha ucciso civili in Israele, trattenuto ostaggi e prigionieri. Le radici profonde del conflitto risiedono nello sfollamento forzato e spossessamento dei palestinesi messo in atto da Israele dal 1948, nell’occupazione militare di Gaza e della Cisgiordania dal 1967, nel sistema di segregazione praticato da Israele». I perduranti conflitti in Iraq, Libia, Siria e Yemen affliggono milioni di persone: sfollati interni, rifugiati e migranti, minoranze etniche: molti sono privati dei diritti elementari: cibo, all’acqua, alloggio, assistenza medica, sicurezza. Gli attacchi indiscriminati, la distruzione delle infrastrutture, lo sfollamento forzato e la gestione violenta del territorio delle forze di sicurezza, delle milizie e dei gruppi armati sono impuniti. I governi non forniscono risposte adeguate all’aumento esponenziale del costo della vita, alle crisi economiche e ai disastri naturali che colpiscono i diritti umani di centinaia di milioni di persone. Coloro che protestano vanno incontro a misure punitive per mettere a tacere il dissenso. Le autorità detengono, torturano e perseguono dissidenti e voci critiche con condanne durissime, inclusa la pena di morte, divieti di viaggio, minacce e altre forme di vessazione. Le persone finite nel mirino sono giornalisti, commentatori, difensori dei diritti umani, sostenitori delle campagne per i diritti delle donne e degli omosessuali.
Amnesty denuncia che ai palestinesi sono negati tutti i diritti
Israele risponde: è propaganda antisemita. Amnesty parla di «crudele sistema di dominazione e oppressione e di crimine contro l’umanità». Per Israele si tratta di «riciclaggio di bugie di un’organizzazione radicale». Le accuse sono circostanziate: Israele tratta i palestinesi come «un gruppo razziale inferiore al quale sono sistematicamente negati i diritti, sia che viva in Israele, sia nei territori occupati, i rifugiati sfollati in altri Paesi. Israele considera i palestinesi una minaccia demografica».