Giacomo Ruggeri – pastoralista

Il parroco italiano, da tempo, si sta chiedendo: che ne sarà dei sette sacramenti? La demotivazione con la quale le persone li vivono, e alcuni non li vivono più, sta contagiando anche me parroco. Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza, Unzione degli infermi, Ordine, Matrimonio. Nella stratificazione delle quattro generazioni (nonni, genitori, figli, nipoti) si assiste ad una loro graduale estinzione.

Nonni. La maggioranza dei nonni sono cresciuti a pane e Messa: o si andava a Messa o si stava a casa (Bersani docet!). Questi hanno vissuto i sacramenti nel loro significato letterale: come qualcosa di sacro. Per i nonni l’Eucaristia (la Messa) veniva prima di tutto, apriva la giornata all’alba (specie in campagna) e poi iniziava il lavoro. Il Battesimo, per i nonni, assolveva un duplice rito: il primo, era la nuova generazione che arrivava alla quale dare sovente il nome dei trisavoli e, nel contempo, l’avvio dei figli alle buone pratiche della fede cristiana. Successivamente i figli o si sposavano, o entrano in seminario-convento-monastero. La realtà del single era, ancora, un puntino piccolo.

Genitori. La generazione dei genitori, soprattutto quelli delle giovani coppie, trovandosi sul convoglio a binario unico hanno iniziato a sganciare i vagoni e ad attivare gli scambiatori dei binari. Sono la generazione dove la sacralità è invertita: è data al lavoro, all’acquistare casa, alle vacanze d’obbligo, al benessere come sinonimo di non farsi mancare nulla. Era l’inizio della fine dell’automatismo a tutto tondo. Il giovane figlio/a sposato/o cercava indipendenza innanzitutto culturale. Un voler “mettere su casa” non solo quella di mattoni, ma nel modo di concepire la vita, Dio, la famiglia, ecc. E i segnali non tardarono ad arrivare: stop con la Messa alla domenica, scegliendo in forma strettamente personale – semmai – il tempo, il dove, con chi. La fine di un automatismo ha dato inizio, ovviamente, alla nascita di tensioni, disaccordi, scontri, prese di posizioni.

Figli. Anche se una giovane coppia di genitori prende parte alla Messa della domenica ecco arrivare il figlio e la figlia adolescenti che gli domandano senza giri di parole: “perché devo venire a fare qualcosa in cui non credo?”. Reazioni successive: i nonni dicono apriti cielo; i genitori non sanno cosa dire e qualsiasi cosa proferiscono sembra rimbalzare. Sono la generazione sul vagone che si è sganciato dalla tradizione di determinate ritualità (non tutte) e che procede sul binario parallelo alle generazioni passate. Vede i nonni – sempre che vi sia qualcuno che glielo racconti – come quelli che sono passati nella grande sofferenza (specie la guerra), dove c’era poco da mangiare e le famiglie avevano tanti figli e vi era da mangiare per tutti; dove la parola sacrificio era pronunciata come una riverenza sacrale con le lacrime agli occhi. Questi giovani genitori, non sempre è così perché è in crescendo il motto “stiamo bene così”, hanno figli che già sono un vagone alieno alla cultura sia dei loro nonni, sia dei genitori stessi. Riguardo ai sacramenti portano i figli in chiesa come portano l’auto per la revisione: c’è il timbro, così non li fanno sentire diversi dai loro coetanei. Eucaristia (nel gergo della giovane coppia la Prima Comunione) e Cresima sono dei falò che si attizzano e si spengono nella stessa giornata. Giudizio impietoso, qualcuno si chiederà? Parlate con i parroci e forse ne sentirete… in aggiunta.

Nipoti. Provo ad immaginare la generazione dei nipoti che si accostano ai sacramenti, soprattutto la Confessione, la Prima Comunione, con la domanda che si fa don Abbondio nei I Promessi Sposi, «Carneade, chi è costui?». Che cosa sto facendo? Che cosa sto ricevendo? Quali gesti sto compiendo? Solo alcune delle domande che, mi domando: sono spezzettate dai catechisti ai ragazzi? Dai genitori ai figli? Mai dare nulla per scontato. Se la generazione dei nonni si poneva davanti ai sacramenti – soprattutto la Messa-Eucaristia – come un mysterion, ovvero stare davanti a qualcosa di grande che si compie (il pane in corpo, il vino in sangue), di fronte al quale fatico a parlare e mi limito a balbettare, la generazione dei nipoti IA, invece, è di fronte al pensiero già pensato da altri (chatGpt docet), al pensare criticamente come scelta che delegano all’IA. C’è un grande lavoro formativo-educativo che riparte dall’abc del concetto di persona, prima ancora di Dio. Senza una solida antropologia capace di intercettare le metamorfosi attuali e di rilanciarle con criteri di pensiero e di riflessione comune,