Giuseppe Zeppegno – docente di bioetica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione di Torino

La modernità, convenzionalmente fatta coincidere da molti studiosi con la scoperta dell’America, ha segnato la rottura con l’universalismo dogmatico medioevale e ha proposto una nuova visione della condizione umana. L’uomo, infatti, ha cominciato a percepirsi sempre più al centro dell’universo, autonomo signore della propria esistenza, padrone del reale, artefice del progresso e del suo destino, garante della propria salvezza. L’illuminismo, movimento culturale e politico sviluppatosi in Europa nel XVIII secolo, ha portato alle estreme conseguenze questo modo di pensare proponendo la ragione come norma unica del comportamento. A metà Ottocento il positivismo, sorto in Francia e ben presto diffusosi in gran parte del mondo occidentale in un tempo in cui era notevole lo sviluppo delle scienze empiriche, ha contribuito ad alienare ogni riferimento alla trascendenza nella convinzione che il progresso tecno-scientifico poteva da solo diventare normativo per ogni dimensione dell’umano.

Il secolo XX, definito «età degli estremi», caratterizzato da drammi umani e sociali, inquietudini e contraddizioni spesso laceranti, portò al crollo delle grandi sintesi del pensiero moderno e al declino delle facili sicurezze sociali.[1] Si determinò una generale sfiducia[2] e si inaugurò un’epoca caratterizzata da un mutato regime di significazione del reale. Le istanze della modernità sono così venute meno e hanno avuto il sopravvento nuove teorie filosofiche che hanno trovato una fonte di ispirazione soprattutto nel pensiero di Friedrich Wilhelm Nietzsche, Martin Heidegger e Ludwig Josef Johann Wittgenstein.

Nietzsche ha contribuito più di ogni altro ad avviare il processo di disgregazione delle certezze di cui era fiero il razionalismo moderno.[3] Animato dalla volontà di distruggere il vecchio ordine e creare un mondo nuovo senza autorità, orientato unicamente agli interessi mondani, capace di plasmare un nuovo uomo senza storia e regole, ritenne virtuoso tutto ciò che gratifica senza condizionamenti la vita. Immaginò inoltre la possibilità di superarsi (übermensch – superuomo) incarnando la «volontà di potenza» che rende liberi di decidere del proprio destino e di ergersi sul nulla. Pose altresì l’accento sull’opacità di un mondo messo a disposizione dell’uomo grazie al potere della tecnica, ma ancora incomprensibilmente ostile e apparentemente così a-causale da sembrare completamente privo di senso.[4]

La nuova sensibilità culturale, sorta con questi presupposti dalle ceneri della modernità, fu definita «postmoderna» (dal latino post «dopo» e moderna «nuova») da Jean-François Lyotard nell’opera La condition postmoderne (1979)[5]. Il noto filosofo francese intendeva con questo suo lavoro descrivere il nuovo modello sociale che stava emergendo e che si caratterizzava per forme deboli di razionalità, valorizzava principalmente l’affettività e la sensibilità, promuoveva un diversificato e soggettivo approccio al reale e una indiscussa tolleranza verso la pluralità delle opinioni. Questo procedere afinalistico induceva a negare la possibilità di riconoscere una tavola universale di valori oggettivamente fondanti, sosteneva l’incomunicabile pluralismo d’approcci etici e accordava validità a tutto ciò che è singolarmente pensato.

  1. Dalla postmodernità al postumanesimo

 In un tempo di svolta in cui predominano i «post» (post-moderno, post-coloniale, post-industriale, post-femminista, post-raziale, ecc.) perché si vuole lasciare alle spalle quanto ha caratterizzato il passato, si è imposto il «post-umanesimo». Comparve per la prima volta in un articolo di Ibad Hassan pubblicato nel 1977. L’autore indicava con questo termine una nuova fase dell’umanità condizionata dal vertiginoso progresso tecno-scientifico che aveva precipitosamente modificato il vivere comune.[6] Qualche anno dopo, fece scalpore la pubblicazione di una foto sul Time. Questo settimanale statunitense è solito dedicare la prima copertina di ogni annata alla persona che si è distinta per le sue qualità nell’anno precedente. Nel 1983 però non fu segnalata una persona in carne e ossa, ma un computer, premiato per la sua affidabilità, silenziosità e intelligenza.[7] Anche questa scelta – secondo Neil Badmington, docente di letteratura inglese – dava risalto alla crisi dell’uomo, legato anche per le piccole attività alla potenza incontrollabile della tecnica.[8] Il termine trovò successivamente dignità accademica nel campo della critica letteraria. Si distinsero Donna Haraway, filosofa statunitense, capo-scuola della teoria cyborg, e Katherine Hayles, critico letterario, docente di letteratura presso la Duke Universitty di Durham. Nei loro scritti evidenziarono che i progressi delle scienze, dell’enhancement e dell’informatica, offrono la possibilità di ripensare la natura stessa dell’essere umano, non più necessariamente costituito di un corpo fatto di carne e ossa, ma potenziato da supporti artificiali che ne ampliano l’efficienza.[9] Fu però Jeffrey Deitch, famoso gallerista americano, a rendere noto questo nuovo termine al grande pubblico grazie alla mostra che propose nel 1992 presso il museo di arte contemporanea di Losanna e nell’anno successivo al castello di Rivoli in provincia di Torino. L’idea di realizzare le due mostre fu stimolata dalla stupita constatazione del mutamento del modo di fare arte e di interpretare la corporeità umana.[10]

Il nostro è effettivamente un tempo dove l’umanità, posta di fronte agli sviluppi dell’astrofisica, della cosmologia, della fisica quantistica e all’inarrestabile progresso tecno-scientifico (nano-bio-info e cogno-tecnologie), affronta un nuovo modo di considerare il vivere. I sempre nuovi interventi e ausili medici (protesi, pacemaker, chirurgia plastica ricostruttiva, ecc.), destinati a colmare le deficienze patologiche, inducono a guardare a un continuo oltre che fa supporre anche nuovi sviluppi per la dimensione corporale. A titolo di esempio, si può ricordare il progresso nella conoscenza del cervello dovuto agli sviluppi delle neuroscienze. Alcuni scienziati, operanti in questa branca della scienza, interpretando a loro modo le recenti scoperte, asseriscono che il comportamento umano è unicamente frutto di reazioni fisico-chimiche che possono essere modificabili dall’esterno.[11]

  1. Correnti postumane

 Non si può dare del postumanesimo una definizione onnicomprensiva perché dal suo sorgere il movimento si è contraddistinto in molteplici correnti: l’antiumanesimo, le postumanità, la metaumanità; il nuovo materialismo; il postumanesimo culturale, critico e filosofico e il transumanesimo nelle sue diverse accezioni (estropianesimo, transumanesimo liberale e democratico).[12] Queste declinazioni hanno apportato «grande confusione sia in ambito accademico specializzato che nel pubblico generalista».[13] Sono comunque degne di particolare attenzione perché hanno notevole presa tra le élite culturali del nostro tempo e stanno penetrando gradualmente anche nel sentire comune tanto che il postumanesimo è stato definito «la filosofia del nostro tempo»,[14] Alcune correnti, come il nuovo materialismo, sono difficilmente inquadrabili in una comprensione unitaria perché hanno come protagonisti un insieme di filosofi che, con percorsi diversi, si oppongono all’antropocentrismo occidentale e propongono nuove interpretazioni della materia. Altrettanto vaghe sono le idee della postumanità e della metaumanità, accumunate dall’interesse a ipotizzare la creazione di esseri umani con abilità oltrepassanti i limiti naturali.

Un impianto più articolato è invece offerto dall’nntiumanesimo che ha in Michel Foucault il suo più significativo esponente. Rielaborando a suo uso la riflessione nietzschiana, nell’opera Les Mots et les Choses, il filosofo e sociologo francese annuncia la «morte dell’uomo». Accusa le scienze umane di aver perseguito l’obiettivo di studiarlo considerandolo a partire dal suo sé, dal suo linguaggio e dalle sue azioni. A suo avviso, questo metodo di lavoro ha prodotto teorie che hanno condizionato la gestione della corporeità e hanno provocato un «sonno antropologico», cioè la tendenza a considerare l’uomo un essere finito mentre – secondo Foucault – è un prodotto culturale risalente alla fine del XVIII secolo e ancora in costruzione.[15] Partendo dai medesimi presupposti, si muove anche il filosofo francese Gilles Deleuze. Nelle sue numerose opere, scritte spesso in collaborazione con Félix Guattari, esprime il convincimento che sia necessario avviare un processo di superamento dell’attuale condizione umana servendosi del potere della tecnologia. Il suo progetto mira a far passare l’uomo dalla condizione di «essere» (sein) a quella di «con-essere» (mit-sein), cioè di ibrido (uomo, animale, macchina). Si troverebbe così connesso con ambiti che esulano dalla sua natura ontologica e lo pongono in una dimensione di continuo divenire e di incessante provvisorietà.[16]

Seguendo le più disparate strategie, le molteplici teorie si propongono comunque di superare, o almeno di ridefinire, l’impianto culturale umanistico e arrivano, nelle correnti più spinte, a prospettare la creazione di una nuova e superiore specie umana. Si collocano in un tempo di svolta dove – come ricorda la filosofa del postumanesimo Francesca Ferrando – si è imposto l’antropocene, prima era in cui l’uomo non è più spettatore, ma attore degli sconvolgimenti climatici a causa delle sue attività che incidono notevolmente sui processi geologici. Mettono anche «in discussione il biocentrismo, il sensiocentrismo, il vitalismo e il concetto di vita stesso, sfumando i confini tra l’animato e l’inanimato».[17] Hanno in comune – aggiunge l’antropologo Michele Farisco – «una concezione “aperta” della soggettività umana, i cui confini di separazione rispetto all’alterità, sia animale (a livello di ecosistema naturale) sia meccanica (a livello di sistemi “artificiali”), divengono delle vere e proprie “soglie” di reciproco scambio, le quali rendono possibili delle pratiche di coniugazione».[18] Ricavano i loro ascendenti filosofici anche dalla Neue Anthropologie. È una corrente antropologica sorta in Germania nei primi decenni del Novecento, e ha nel fenomenologo Max Scheler uno dei suoi massimi esponenti. Egli, interprete critico di Nietzsche, pur riconoscendo l’importanza dell’apporto delle scienze per la conoscenza dell’uomo, evidenziò che esse non sono in grado di indicarne l’essenza.[19] Arnold Gehlen, attento studioso di Scheler, scostandosi dall’autore studiato, definì l’uomo come un animale non definito e un progetto incompiuto, incapace di una specializzazione strutturale che lo renda particolarmente adatto a un determinato ambiente. È, al contempo, capace di riflettere su di sé e tende a fare della cultura la sua seconda natura, traendo dall’osservazione e dall’esperienza sempre nuove conoscenze da mettere in atto con l’ausilio della tecnica.[20] Da questi pensatori, soprattutto da Gehlen, «emergono alcuni elementi rispetto ai quali la filosofia del postumano si delinea in termini di esplicita presa di distanza, ma anche di implicita continuità».[21]

I postumanisti apprezzano la convinzione secondo cui l’essere umano non è da interpretare in modo statico ma dinamico, non solo perché, come sosteneva Darwin, è caratterizzato da una continua evoluzione, ma perché è in grado di esprimere pienamente sé stesso uscendo da sé e divenendo protagonista della sua co-evoluzione.[22] Questo modo di pensare è condiviso da Roberto Marchesini, studioso di scienze biologiche e di epistemologia, ritenuto il maggiore teorico italiano del postumanesimo evoluzionista. Nel suo volume Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza sostiene, infatti, l’importanza di superare «alcuni pregiudizi culturali, quali l’essenzialismo, il teleologismo, il sostanzialismo, il determinismo, l’istruzionismo assoluto»,[23] nella convinzione che «l’uomo, grazie allo sviluppo culturale e scientifico degli ultimi decenni, può persino mettere le mani nel segreto del fenotipo e reimpostare la vita».[24]

  1. Dal postumanesimo al transumanesimo

 Il postumanesimo culturale e critico ha avuto il suo recente sviluppo nel postumanesimo filosofico. È un approccio «ancora in divenire»[25] e può essere considerato «un postmodernismo di seconda generazione, che porta le decostruzione dell’umano alle sue estreme conseguenze, passando al vaglio della revisione teorica lo specismo, cioè il privilegio di alcune specie rispetto ad altre».[26] Si impone così come critica radicale all’umanesimo e all’antropocentrismo, riflette sulle conseguenze derivate dall’incalzante progresso tecnologico che caratterizza l’Occidente, ma che non ha alcuna incidenza sulle aree più povere del pianeta che continuano a essere sottosviluppate.[27] Denuncia, in aggiunta, le conseguenze negative dell’impatto delle attività umane sull’ecosistema e invita a porvi urgentemente rimedio.

Una riflessione a sé merita il transumanesimo. Anche se è spesso inserito tra le correnti postumane, ha obiettivi solo parzialmente accostabili al postumanesimo. Ha, anzitutto, una base culturale differente. Individua, infatti, le proprie origini nell’illuminismo. È un approccio radicalmente nuovo alla futurologia che va ben al di là dell’osservazione del cambiamento in atto. Esige un sempre più ampio apporto della tecnica per aumentare le capacità intellettuali, psicofisiche, e abolire le malattie e l’invecchiamento. Queste idee lo pongono in conflitto con la maggior parte degli altri movimenti postumanisti. Rosi Braidotti, docente di studi di genere presso l’Università di Utrecht, femminista ed esponente di spicco della filosofia postumanista, ad esempio si dissocia energicamente dal transumanesimo, arrivando a definirlo un «delirio».[28]

Il termine fu utilizzato per la prima volta da Dante Alighieri nel Paradiso (I,70-73): «Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba». Spiega il teologo Maurizio P. Faggioni: «Nei versi di Dante il “trasumanare” è la meta ultima dell’uomo e rappresenta l’esperienza, ineffabile a parole, di essere elevati per grazia oltre l’umano, verso il nostro compimento trascendente in Dio».[29] Ai nostri tempi è tornato alla ribalta grazie alla pubblicazione nel 1957 di New Bottles for New Wine. L’autore, Julian Huxley, evidenziò che le recenti scoperte scientifiche hanno ridefinito la responsabilità e il destino dell’uomo invitandolo a essere il protagonista indiscusso dell’evoluzione. Circondato, infatti, da enormi e inesplorate potenzialità, non può più tollerare un livello di salute e uno standard di vita al di sotto delle effettive possibilità che la scienza offre. È anche necessario creare un ambiente sociale più favorevole e bello, meno affollato da una crescita demografica senza controllo, più idoneo a favorire percorsi interiori profondi anche per le generazioni future. Tutto questo sarà possibile solo se l’uomo trascenderà sé stesso realizzando tutte le nuove potenzialità che la tecnica gli concede.[30] Arrivano a immaginare la formazione di creature in parte organiche e in parte meccaniche, la creazione di replicanti e, nelle proposte estreme, la cancellazione dell’attuale condizione umana. Contano molto sulle possibilità offerte dall’intelligenza artificiale dimentichi che è insostenibile – come dichiara il filosofo e teologo Ignazio Iacone – l’ipotesi dei «delegare alla macchina ciò che solo un uomo può compiere utilizzando la sua fantasia, le sue intuizioni, la sua passione, la sua creatività e la sua empatia».[31] Con questa prospettiva, «si passa, quindi, dal superamento dell’umano per virtù della grazia, nel Sommo Poeta, al superamento dell’umano per virtù di tecnologia, nell’utopia dei contemporanei».[32]

Un incentivo per lo sviluppo del movimento transumanista fu il libro pubblicato nel 1989 dal filosofo Fereidoun M. Esfandiary: Are You a Transhuman? L’autore, morto di tumore al pancreas nel 2000, si fece chiamare FM-2030, nella convinzione di poter celebrare nel 2030 il suo centesimo compleanno. Propose di sbarazzarsi delle credenze religiose e dei valori tradizionali e di servirsi della tecnica per promuovere un transumano più evoluto e idoneo ad abitare il mondo complesso che i progressi della tecnica proponeva. Altrettanto importante è stato il contributo di Nick Bostrom, filosofo svedese esperto in intelligenza artificiale. Nel testo Intensive Seminar on Transhumanism ha presentato il transumanesimo come un movimento culturale e scientifico che ha il dovere morale di migliorare le capacità fisiche e cognitive della specie umana. Nel 1998 ha fondato con Davide Pearce la World Transhumanist Association (WTA), successivamente rinominata Humanity Plus, che si è sviluppata soprattutto attraverso internet. Non tutti i transumanisti si riconoscono in questa associazione. Nel decennio precedente, peraltro, Max More aveva già fondato l’Extropy Institute che ha avuto però meno successo della WTA perché ha chiuso la sua attività nel 2006.

I transumanisti hanno coinvolto anche l’opinione pubblica grazie a romanzi, film, cartoni animati, videogiochi e riproduzioni artistiche che presentano, con sfumature diverse, l’homo novus, tecnologicamente evoluto, tendente alla perfezione e capace di esercitare un controllo totale sulla propria evoluzione e sul mondo che lo circonda. Sono attualmente presenti in ambiente anglosassone, ma hanno acquistato notorietà anche in Italia grazie all’Associazione italiana transumanisti (AIT), fondata informalmente il 29 dicembre 2004, registrata, come agenzia italiana della World Transhumanist Association il 10 gennaio 2005 e formalizzata con atto notarile il 6 dicembre 2006. L’associazione si avvale di un curato sito (www.transumanisti.it). Riccardo Campa ne è il promotore e il maggior ideologo. Ha ricoperto la carica di presidente dalla fondazione al 4 maggio 2015, quando è stato sostituito da Giulio Prisco. Ora ha assunto la carica di presidente onorario. Tra i suoi intenti c’è quello di ottenere aspettative di vita superiori ai 500 anni, capacità cognitive maggiori, controllo degli input sensoriali e modellamento del corpo secondo i desideri soggettivi con l’ausilio di molteplici possibilità offerte dalla scienza: procreazione artificiale, manipolazione del genoma, chirurgia ricostruttiva (protesica e plastica), farmacologia (composti atti a controllare il benessere emozionale e a migliorare i tratti della personalità), ingegneria robotica e informatica.[33]

Il transumanesimo ha anche aperture di carattere «religioso». Raymond Kurzweil, informatico e saggista americano, rifiuta il Deus revelatus delle religioni monoteistiche, ma arriva a proporre un Deus absconditus, un dio esistente solo a livello ideale nelle menti umane che sarà manifesto quando si userà la tecnologia per risuscitare i morti e rifare l’universo. Le convinzioni di Kurzweil sono portate avanti dalla Turing Church da lui fondata e che conta già un migliaio di aderenti, affascinati dall’idea di realizzare un «paradiso terrestre» dove la vita si ripete senza fine grazie alla tecnologia che costantemente ripara gli elementi di finitudine corporale che si presenteranno nel tempo. È ancor più stupefacente apprendere l’esistenza di una Association Mormon Transhumanist e di una Christian Transhumanist Association. Quest’ultima ha anche formulato un suo «credo»: «Crediamo che la missione di Dio implichi la trasformazione e il rinnovo della creazione inclusa l’umanità. Crediamo che gli uomini sono stati chiamati da Cristo a partecipare a questa missione, lottando contro le malattie, la fame, l’oppressione, l’ingiustizia e la morte. Crediamo che l’obiettivo dei cristiani transumanisti è il perseguimento della crescita del progresso, sia spirituale che fisico, sia individuale che collettivo. Crediamo che la scienza e la tecnologia sono espressioni tangibili dell’impulso dato da Dio a esplorare e scoprire. Crediamo che la tecnologia insieme alla fede cristiana renderà più umani e più vicini a essere creature a immagine e somiglianza di Dio».[34]

 Conclusione

 Se il postumanesimo si limita a compiacersi del fatto che «la tecnica abbia portato l’uomo alle soglie di un passaggio epocale che lo condurrà, nel breve volgere di qualche decade, a veder radicalmente mutate le coordinate tipiche del proprio stare al mondo»,[35] la prospettiva transumanista è molto più pervasiva, perché non si limita a prendere atto di un nuovo problematico sentire culturale ma, disconoscendo la dignità della corporeità, il valore intrinseco della persona umana e non accogliendo la promessa d’eternità che il cristianesimo può dare, inaugura una nuova gnosi, autoproclamandosi capace di avviare la trasformazione dell’umano fino a postulare una parvenza di eternità nell’assemblaggio della coscienza in un «io» virtuale per quei pochi «eletti» che avranno le possibilità di ottemperare i costi di quest’insana operazione.[36] Impressiona anche la loro volontà di inaugurare una «religione» della tecnica e di sostenere che questa determinazione non stride con il cristianesimo, tanto da poter essere, per assurdo, «transumanisti cristiani». Come può un cristiano, creato a immagine e somiglianza di Dio, voler trasformare sé stesso dimenticando la «dignità ontologica che compete alla persona in quanto tale per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio»?[37]

 

[1] F. Garelli, Forza della religione e debolezza della fede, Mulino, Bologna 1996, p. 9.

[2] I. Sanna (a cura di), L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Queriniana, Brescia 22002, p. 149.

[3] S. Rose, Nihilism: The Root of the Revolution of the Modern Age, St. Herman of Alaska Brotherhood, Platina 1994; trad. it., Il nichilismo. Le radici della rivoluzione dell’età moderna, Servitium, Sotto il Monte 1998, pp. 75-109.

[4] F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra. Ein Buch für Alle und Keinen [1883-1885]; trad. it. Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Mondolibri, Milano 2000.

[5] J.F. Lyotard, La condition postmoderne, Les Editions de Minuit, Paris 1979; trad. it., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981.

[6] I. Hassan, «Prometheus as performer: Toward a postmodern culture?», in Georgia Review, 31(1977), pp. 830-850.

[7] O. Friedrich O., «The Computer Moves», in Time, 1(1983), p. 3.

[8] N. Badmington, Posthumanism (Readers in Cultural Criticism), Palgrave Macmillan, New York 2000.

[9] Cf. D. Haraway, Primate Visions: Gender, Race, and Nature in the World of Modern Science, Routledge, London 1989; Id., Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, London 1991; K. Hayles., How We Became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature and Informatics, University Chicago Press, Chicago 1999.

[10] Confronta l’introduzione al catalogo della mostra. Chiara Oliveri Bertola scrisse: https://www.castellodirivoli.org/ mostra/post-human/ [18.04.2024].

[11] P. Benanti, The cyborg: corpo e corporeità nell’epoca del post-umano, Cittadella, Assisi 2012, pp. 81-128; M.G. Ruberto – C. Barbieri, Il futuro tra noi, Franco Angeli, Milano 2011.

[12] F. Ferrando, Il postumanesimo filosofico e le sue alterità, ETS, Pisa 2016, p. 15.

[13] Ivi, p. 30.

[14] Ivi, p. 15.

[15] M. Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966; trad. it., Le parole e le cose, BUR, Milano 2016.

[16] G. Deleuze – F. Guattari, L’Anti-Œdipe [1972]; trad. it., L’anti Edipo, Einaudi, Torino 1975; Id., Mille plateaux [1980]; trad. it., Mille piani, Castelvecchi, Roma 2006.

[17] F. Ferrando, Il Postumanesimo Filosofico…, p. 20. Cf. M. Witting, The Straight Mind: And Other Essays, Beacon Press, Boston 1992; J. Butler., Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, London 2006.

[18] M. Farisco, Ancora uomo, Natura umana e postumanesimo, Vita & Pensiero, Milano 2011, p. 3.

[19] M. Scheler, Die Stellung des Menschen im kosmos [1928]; trad. it., La posizione dell’uomo nel cosmo, Armando, Roma 2006.

[20] A. Gahlen, Der Mensch, seine Natur und seine Stellung in der Welt [1962]; trad. it. L’uomo nell’era della tecnica. Problemi socio-psicolo della civiltà industriale, Sugar, Milano 1984.

[21] Farisco, Ancora uomo…, pp. 45-46.

[22] Ivi, p. 47.

[23] R. Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 93.

[24] Ivi, p. 415.

[25] Ferrando, Il postumanesimo filosofico…, pp. 16.24.

[26] Ivi, p. 17.

[27] Ivi, pp. 23-24.

[28] R. Braidotti, The Posthuman [2013]; trad. it. Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma 2014, p. 206.

[29] M.P. Faggioni, «La natura fluida. Le sfide dell’ibridazione, della transgenesi, del transumanesimo», in Studia Moralia, 2(2009), pp. 387-436: p. 415.

[30] J. Huxley, New Bottles for New Wine, Chatto & Winds, London 1957.

[31] I. Iacone, L’uomo che verrà. Transumanesimo e postumanesimo. Metafisiche di un’evoluzione?, Giuffrè, Milano 2022, p. 269.

[32] Ivi, p. 416.

[33] Ha scritto numerose opere. Rappresenta meglio il suo pensiero Mutare o perire. Le sfide del transumanesimo, Sestante, Bergamo 2010.

[34] https://www.christiantranshumanism.org/ [19.04.2024]. La traduzione è nostra.

[35] L. Grion, Chi ha paura del post-umano, Mimesis, Milano 2021, p. 48.

[36] Iacone, L’uomo che verrà…, pp. 118-123.

[37] Dicastero per la dottrina della fede, Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana, LEV 2024, n. 7.