Nella 73a Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale si è fatto spazio ad un momento serale che ha inteso invitare i partecipanti ai lavori e a riflettere sul cambiamento d’epoca, di fatto dovuto all’impatto delle ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione). La tavola rotonda è stata moderata da Fortunato Ammendolia (esperto del COP in Pastorale digitale, Intelligenza artificiale ed etica, invitato presso istituzioni accademiche). Ammendolia richiamando un’istanza presente negli interventi della Settimana, ovvero quella di cambiare lo sguardo, la prospettiva, per essere autenticamente Chiesa sinodale e missionaria ha invitato a familiarizzare con il termine “onlife”, ovvero questo essere dell’uomo nella dimensione fisica e al contempo in quella digitale. «La questione della pastorale – ha detto – è proprio quella promuovere processi per una Chiesa che intende ripensarsi nella dimensione onlife. Come Ammendolia ha scritto nel suo recente libro “Chiesa e pastorale digitale. In uscita verso una società 5.0”, l’azione della pastorale nella sua tradizionale forma Celebrazione-Catechesi-Vita deve opportunamente armonizzarsi con la cultura digitale, che non si riduce ad essere comunicazione digitalmente mediata, ma considera a tutto tondo la questione del postumano, ovvero della tecnica come ambiente». Ammendolia ha così fatto emergere che le tecnologie digitali sono forze ambientali (in particolar modo lo è l’Intelligenza artificiale) o danno forma ad ambienti: entità, quindi, che vanno ben oltre quella visione comune che li chiama “strumenti”. Dallo strumento all’ambiente (o forza ambientale), Stefano Femminis, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della diocesi di Milano ha aiutato a comprendere l’importanza di un sito web e dei canali social di una diocesi. «La lettura del dato “numero di accessi” non vuol essere un’indagine di marketing, quanto un evidenziare l’opportunità di collocarsi dentro questi spazi per comunicare appuntamenti di carattere diocesano e per far giungere la voce del vescovo e narrazioni importanti in modo più capillare, » A carattere diocesano, sul fronte della vita diocesana occorre poi elaborare un’esigenza che può definirsi glocal, dal locale (chiesa particolare o canale social di una parrocchia o di un presbitero) al globale della diocesi, specie quando la diocesi include una postmetropoli». Dalla notizia al farsi presenza “reale” nei social media per accogliere, accompagnare è stata introdotta la figura del “missionario digitale”, unitamente a quella modalità di ascolto che è stata l’esperienza del sinodo digitale, con il progetto “La Chiesa ti ascolta” (https://www.sinododigital.com/it).  A parlarne, anzitutto Rosy Russo, figura laicale impegnata nel mondo della comunicazione, nota per aver – insieme a tanti altri esperti – fatto focus sulle parole ostili in rete (e conseguentemente nella vita), con il progetto “Parole ostili”, progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole che ha registrato un numero alto di riscontri in svariati ambiti, specie formativi (https://www.paroleostili.it). Russo ha evidenziato che «ascoltare attivamente storie è il primo passo per processi di conversione, non meramente per chi racconta, ma anche per chi ascolta. Si attiva una reciprocità che cambia». La parola è passata a don Alberto Ravagnani della diocesi di Milano, noto per essere emerso come prete influencer in tempo di pandemia: l’esperienza attivata per accompagnare i ragazzi e i giovani dell’oratorio della parrocchia ha avuto ricadute anche a distanza: finiti i lookdown, infatti, la proposta di esperienza di adorazione eucaristica per la realtà oratoriale da lui animata, ha visto pure la presenza fisica di un gran numero giovani. «Si realizza così quella ricaduta “onlife”, che permette alle relazioni che prendono forma in rete di riempirsi di senso». Ravagnani ha pure toccato la questione (imprescindibile) della formazione per abitare i social, dove «occorre stare sul pezzo perché si è maggiormente esposti».  Dalla comunicazione digitalmente mediata, la definizione di pastorale digitale non meramente ridotta al digitalmente mediato (che Ammendolia ha proposto nella sua pubblicazione), ha trovato conferma nell’intervento di Luca Peyron, presbitero torinese, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria della diocesi di Torino, promotore dell’esperienza dell’Apostolato Digitale (apostolatodigitale.it), il cui motto la dice tutta: “Condividere codici di salvezza”. L’esperienza, infatti, è «atta ad implementare un abitare il mondo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT), dove la Chiesa non è assente, anzi è “presenza” che dà fermento. In quest’ottica si colloca anche l’interesse per l’Intelligenza Artificiale, e soprattutto la promozione di figure professionali che permettano alla norma di essere scritta nella tecnologia». “Antronomo” è il neologismo coniato da Peyron per indicare quelle figure che permettano di portare la “norma dell’umano” nella tecnologia: proprio in vista di una società 5.0, dove la tecnologia è centrata sull’uomo. Luca Caci è figlio di questa esperienza: nella sua testimonianza di organizzatore di eventi per TEDx è emersa la passione di portare “silentemente” la norma del Vangelo in una realtà formativa del secolo. «Proprio in quella prospettiva voluta da Romano Guardini – ha evidenziato Ammendolia – che chiede di accrescere la tecnologia per il bene dell’umano». A concludere la serata la presentazione da parte di Ammendolia di un lavoro che ha preso forma nei suoi corsi in Urbaniana: un avatar catechista “collaborativo” realizzato con l’IA. La domanda resta aperta: “Quali ricadute?”.