(Schema consegnato dall’autore)

«Fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4,32).
Non grandi alberi, ma “rami grandi” che possano accogliere.

“Accogliere” è un verbo che esprime bene ciò che una comunità di fede, come la parrocchia, è chiamata ad essere: un “raccogliere insieme verso”.
È questo “insieme” che fa della comunità un paniere che “raccoglie”, si fa contenitore della dignità in cui tutti e ciascuno si ritrovano (cf. Gal 3,28).
L’accoglienza ha la forza di mostrare la bellezza umanizzante della fede.

 

1. L’accoglienza, una pagina riconoscibile del Vangelo
È lo stile accogliente uno dei tratti che raccontano la parrocchia quale comunità di cammini di fede. La fede ha necessità del sostegno di Gesù e di quanti, con il loro stile di vita e con la loro azione accogliente, si fanno presenze che restituiscano lo stile accogliente di Gesù: uno stile caratterizzato dall’ascolto; dall’attenzione alla libertà dell’altro; da una empatia di sguardo; da un approccio compassionevole e solidale (cf. Mc 9,24).
Nell’accoglienza c’è il racconto di come al cuore dell’esperienza cristiana c’è una parola accogliente per ciascuno di noi, un luogo dove risuona il primo annuncio: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti»
(EG 164), e su questo annuncio la comunità dei credenti è chiamata a plasmarsi.

 

2. Una stagione della vita da accogliere
In questo impegno, sentiamo che la prima accoglienza da vivere è nei confronti del tempo e dello spazio che ci sono offerti come luoghi in cui Dio opera salvezza(1). Un tempo, il nostro, non facile, ma non meno ricco di salvezza rispetto ad altri.
Proprio qui sta la prima accoglienza che ci è chiesta di vivere: la povertà del nostro tempo.

 

3. L’accoglienza, come “scelta missionaria”
Il tessuto della parrocchia è uno spazio di accoglienza decisiva: incontrare le persone là dove si trovano e per quello che sono.
L’accoglienza a cui le nostre comunità sono chiamate, è parte di quella «conversione pastorale» fortemente declamata nella Evangelii gaudium. Un’accoglienza che papa Francesco raccoglie in un “sogno”, quello della «scelta missionaria».

3.1. L’accoglienza, nella forma del sogno

«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale […]. La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità» (EG 27.28).

C’è un forte invito a essere prossimi delle forme contemporanee di povertà e fragilità, sentendo viva anche per la comunità l’esortazione «ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali». Proprio questa ospitalità è capace di dare bellezza alle nostre comunità:

«Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e
che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città
che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono
in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!» (EG 210).

3.2. L’accoglienza, nel vigore della nudità
Un cambiamento narrato da una metafora dinamica, quella del “dilemma dell’aragosta”(2): o rimaniamo in strutture che ci proteggono divenendo sempre di più “una gabbia”, oppure accettiamo il rischio di una esposizione culturale, accogliendo ciò che avvertiamo possa dare una nuova forma a ciò che siamo chiamati ad essere. Una crisi che può essere una benedizione, in quanto permette di riscoprire ciò che è realmente essenziale alla vita della stessa comunità (3).

 

4. L’accoglienza, come apprendimento

4.1. Accogliere… lasciandoci accogliere in una “terra sacra”
Localizzarsi è per la chiesa una necessità che le deriva dalla sua natura profonda. Essa, infatti, è chiamata a seguire la via dell’incarnazione per servire il radicarsi della novità evangelica dentro il concreto tessuto del vivere umano, grazie al soffio dello Spirito. Si tratta di rendere accessibile la vita secondo lo Spirito negli spazi della quotidianità e secondo la globalità degli aspetti che concorrono a costruire la trama della vita concreta. La parrocchia non coincide con un territorio: è piuttosto la comunità cristiana che vive in quel territorio come attuazione della chiesa locale. Essa, dunque, si trova sollecitata a riconoscersi entro figure più vaste del localizzarsi della chiesa, che le consentano di comprendere e farsi presente entro la trama complessa ed articolata (si pensi alla varietà degli ambienti e degli stili di vita) della vita dei propri membri e degli interlocutori ai quali deve l’annuncio del Vangelo e la cura della fede.

4.2. Accogliere un nuovo compito
La sfida che ci è consegnata è quella di attivare correttamente il soggetto (la comunità cristiana), accogliendo che la figura di parrocchia oggi sia in grado di realizzare la finalità che le è propria.
➢ reinvestire nella qualità dinamica-missionaria della comunità.
➢ Recuperare il primato dell’annuncio come servizio al cammino della fede dentro la cultura.
➢ Celebrare la comunione tramite lo sviluppo della partecipazione (sinodalità) e il riconoscimento-formazione dei ministeri nella loro pluriformità (ministerialità);
➢ Operare nella carità come ricentramento sul carattere di evento del Vangelo in quanto attuazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e come conseguente capacità di farsi prossimi.

 

5. Condizioni di possibilità per rigenerare comunità accoglienti
Il riferimento alla narrazione di Atti 10-11,18 può aiutarci ad indicare alcune tappe nel compito di “rigenerare comunità”, attraverso il dinamismo evangelico dell’accoglienza.

5.1. Lasciarci accogliere nello sconfinamento di Dio

«…un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte detta Italica […]. 3Un giorno, verso le
tre del pomeriggio, vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: “Cornelio!”» (At 10,1.3).

«11vide il cielo aperto e un oggetto che scendeva, simile a una grande tovaglia, calata a terra per i quattro capi. […] “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano”» (At 10,11.15).

5.2. Accoglierci (riconoscerci) in ciò che è umano

«Cornelio gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. 26Ma Pietro lo rialzò,
dicendo: “Àlzati: anche io sono un uomo!”» (At 10,25-26)

5.3. Accogliere i luoghi del Vangelo

«Pietro allora prese la parola e disse: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti» (At 10,34-36).

5.4. Accogliere nel lasciarci accogliere della comunità

«quando Pietro salì a Gerusalemme, i fedeli circoncisi lo rimproveravano […]. All’udire questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio dicendo: “Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!”» (At 11,2.18).

Tutto ciò chiede alle comunità di scommettere sulla possibilità di:
– assumere la missione dell’annuncio rendendolo disponibile a tutti:
– qualificare il luogo della comunità nella forza della prossimità, quale contributo per una umanità inclusiva, più fraterna(4);
– prendersi cura delle narrazioni di fede (At 11,4: «Allora Pietro cominciò a raccontare loro, con ordine […]»);
– nutrire la vita di fede attraverso l’ascolto della Parola;
– vegliare sulla crescita della comunità;
– operare per essere “segno” (LG 1)

 

6. Verso una accoglienza generativa

Recuperare la reciprocità della dimensione accogliente generativa di ogni comunità significa accompagnare i percorsi di fede che si attuano gradualmente, dentro un atto autenticamente generativo e cioè attraverso la qualità della relazione.
Questo avviene tramite:
– lo stile di vita
– la capacità di ascoltare
– lo sguardo amoroso ed elettivo
– il percepire quando nasce la fiducia e saperla alimentare favorendone il racconto
– un amore generativo, che ama quello che c’è, ma anche quello che potrebbe essere in una
persona
– l’avere “cuore per il misero” (misericordia), per la fragilità umana
– il rispetto per la libertà degli altri (“se qualcuno vuole”), dei loro tempi e dei loro cammini
– suscitare il desiderio, cogliere i veri bisogni che una persona porta dentro di sé.

 


1 Tomáš HALIK, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare, Vita e Pensiero, Milano 2021.

2 Stefano DE MATTEIS, Il dilemma dell’Aragosta. La forza della vulnerabilità, Meltemi editore, Milano 2021.

3 Erio CASTELLUCCI, Benedetta crisi! Il contagio della fede nella Chiesa che verrà. Piemme, Milano 2022.

4 Christoph THEOBALD, Un concilio in incognito? Il sinodo, via di riconciliazione e creatività, EDB, Bologna 2024.