Cara parrocchia,

ci vogliamo rivolgere proprio a te che in questi mesi sei stata quasi messa a riposo, anche se sei in una città in cui va a messa la domenica lo 0,5 % di quelli che vi vivono, lavorano, girano, passano ogni giorno. Ti hanno tolto il tuo parroco prima che andasse in pensione e te ne hanno dato un altro che ha fatto 6 altri ingressi come nella tua parrocchia nelle altre tue consorelle che sicuramente vedranno il nuovo parroco qualche volta non al giorno, speriamo almeno al mese. Capisco come ti senti e ti voglio aiutare a farti coraggio, a non mollare, a non sentirti pensionata. Nascono troppo pochi bambini, ma non siamo sterilizzati. Una novità grande che ti viene regalata e che sarà la tua nuova vita è il dono della accoglienza. Questo dono non è uno spazio, è uno stile caratterizzato dall’ascolto, dall’attenzione alla libertà dell’altro, da una empatia di sguardo, da un approccio compassionevole e solidale. È il racconto di come al cuore dell’esperienza cristiana c’è una parola accogliente per ciascuno di noi, un luogo dove risuona una notizia bella insuperabile per ciascuno e per tutti. È far provare che «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». Il tessuto della parrocchia è uno spazio di accoglienza decisiva: incontrare le persone là dove si trovano e per quello che sono. L’accoglienza a cui le nostre comunità sono chiamate, è parte di quella «conversione pastorale» Un’accoglienza che papa Francesco raccoglie in un “sogno”, quello della «scelta missionaria».

Proprio qui sta la prima accoglienza che ci è chiesta di vivere: la povertà del nostro tempo. Accogliere la povertà delle nostre chiese vuote. Siamo invitati  a essere prossimi a tutte le nuove forme di povertà e fragilità, sentendo viva anche per la tua piccola o grande comunità l’esortazione «ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità della tua vecchia parrocchia sia capace di creare nuove  ospitalità  per dare bellezza alle nostre comunità. Possiamo diventare maghi della accoglienza col nostro stile di vita, la capacità di ascoltare, lo sguardo amoroso e voluto da noi, percepire quando nasce la fiducia, cogliere i veri bisogni che una persona porta dentro di sé. Con questo dono che ci viene regalato dal Signore se glielo chiediamo con la preghiera, possiamo anche condividere la povertà e sostenere la fragilità del nostro tempo, dove potremo essere una fiaccola per ogni persona.

 

Noi, che non smettiamo di osareL