Affrontare i diversi aspetti che hanno a che fare con la donna implica anzitutto l’importanza di usare “il plurale”: non esiste “la donna” in quanto tale, come se fosse un’idea astratta o una questione da risolvere, esistono invece le donne, nella diversità dei contesti sociali, culturali ed ecclesiali in cui sono inserite. Occorre rendere oggetto di analisi le situazioni concrete delle donne, all’interno delle diverse società e delle Chiese, sviluppando una capacità di visione trasversale. Dentro questa attenzione alle realtà specifiche, ci si può chiedere meno teoricamente: che rapporto c’è tra donne e società, tra le donne e il potere? Quale modello ecclesiologico perseguiamo? E se la Chiesa non segue un modello democratico cosa significa e quanto è diverso per gli uomini e per le donne? La sinodalità attiene all’organizzazione e alla gestione del potere oppure all’ambito gestionale e valoriale? Sono domande che aprono piste di riflessione per superare modelli patriarcali e rigurgiti clericali, affrontare l’esodo delle donne nei confronti delle Chiese e considerare le donne non più come una “questione”, ma come una risorsa, non senza riferimento alla relazione che Gesù stesso intrattiene con esse.
Le ultime indagini sulla fede cristiana e sulla pratica religiosa segnalano un progressivo allontanamento da parte delle giovani donne; anche se non è facile individuare le cause di tale realtà, certamente una riflessione generale può essere fatta sul ruolo e sullo spazio delle donne nella Chiesa, insieme alla considerazione di come l’universo femminile e i ritmi di vita delle donne nelle nostre società siano notevolmente cambiati. Al contempo, non va sottovalutata la presenza di coloro che invece nella comunità cristiana sono rimaste come parte attiva e ad essa, pur con qualche eventuale disagio e con spirito critico, rimangono affezionate, continuano a offrire la propria esperienza spirituale e il proprio servizio pastorale.
La discussione sul ruolo delle donne nella Chiesa si avvale da tempo di vari contributi benché essi, specialmente in ambito teologico femminista, spesso restringano i vari nodi problematici alla sola questione dell’accesso al ministero ordinato. Fermo restando la legittimità di tale posizione, questa lettura potrebbe anche suggerire a tutta la Comunità cristiana quanto essa si trovi talvolta prigioniera, anche senza volerlo, di una visione clericale, come se per valorizzare le donne occorre per forza che diventino ministri ordinati. Tuttavia, la qualità di presenza e partecipazione nella vita cristiana e in quella comunitaria è data dal Battesimo e non dai ministeri ordinati. Si tratta più di “laicizzare” la Chiesa riscoprendo la specificità battesimale, che non di clericalizzarla.
Lo sguardo di Gesù, che era un maschio inserito nel suo contesto culturale, è innovativo e perciò affascinante. Nonostante le radici culturali e il genere maschile, infatti, Gesù rompe alcune convenzioni sociali, vince le barriere religiose, supera i tabù, e con le donne innesca relazioni di amicizia e di apostolato, che hanno a che fare sia con Lui come persona che con il discepolato per l’annuncio del Regno. Uno sguardo, testimoniato dai vangeli, che può essere di aiuto a tutta la Chiesa.
Come emerge dagli scritti dei primi secoli, la scelta di costituire un apposito «corpus» di donne era strettamente legata alla prassi dell’assistenza battesimale con, e qualche volta senza, la presenza dei presbiteri. Ma, allorché subentrò una più attenta riflessione sul tema, si diffuse la prassi dell’affidamento ai soli presbiteri o ai diaconi di un rito che non richiedeva più la purificazione dell’intero corpo ma soltanto di una parte limitata di esse.
In questo numero contributi a cura di Marinella Perroni, Paola Bignardi, Stella Morra, Giorgio Campanini, Pier Giuseppe Accornero, Alice Bianchi, Giancarlo Galeazzi, Sonia Ristorto