Continuando l’impegno di Orientamenti pastorali sulle tematiche della sinodalità, nell’imminenza della ripresa delle convocazioni del Sinodo mondiale sulla sinodalità, vogliamo tentare di fare alcune ulteriori considerazioni.
Il cammino sinodale può essere teologicamente ricondotto a quella «forma» di Chiesa tratteggiata, incoraggiata e auspicata dal concilio Vaticano II. Due fuochi, allora, sembrano essere fondamentali e occorre evitare separarli e considerarli come indipendenti l’uno dall’altro: le relazioni ad intra e la relazione con il mondo. Nella prima questione rientra la comunione ecclesiale con tutto ciò che riguarda l’esercizio della ministerialità e dei carismi, l’organizzazione delle strutture e della vita pastorale, così come la gestione delle responsabilità e della leadership; nella seconda, invece, oltre la semplice e neutrale declinazione del dialogo con il mondo, rientra l’interrogativo su come possiamo e vogliamo essere una minoranza nel contesto culturale odierno, e quali sono le vie per diventare cercatori di vangelo, in atteggiamento di ascolto permanente e pronti a cogliere i semi e i segni del Verbo nella realtà che ci circonda. Queste due dimensioni, intrecciate tra di loro, implicano una riflessione su alcune «conversioni pastorali» urgenti, che ci aiutino meglio a camminare nella Chiesa e con il mondo.
Il concilio Vaticano II ha aperto a nuovi paradigmi relazionali della Chiesa con il «mondo» e al suo interno, improntati al dialogo e alla reciprocità. I cammini sinodali attivati in questi anni a diversi livelli riprendono questi orientamenti conciliari e si propongono di svilupparne la recezione, sotto alcuni aspetti ancora incompiuta. In un quadro di «crisi dei numeri» a livello ecclesiale, diventa necessario esplicitare i modelli e le forme di Chiesa più idonee per essere missionari nella società plurale di oggi, alla ricerca dei segni della presenza del vangelo nel mondo. Convertirsi a modelli ecclesiali più sinodali comporta riscoprirsi «compagni di viaggio» di tutta l’umanità in una relazione di reciproco aiuto (GS 40-44) e attivare forme di ministerialità e partecipazione ecclesiale dei laici e delle laiche realmente inclusivi, perché tutti i battezzati siano corresponsabili del «viaggio» comune per l’annuncio del vangelo.
Il Concilio ha inoltre delineato un volto di Chiesa radicato nel mistero del Dio-comunione, declinando sia relazioni ad intra (in Lumen gentium) che il rapporto con il mondo (in Gaudium et Spes) in una forma dialogica, incoraggiando un atteggiamento interiore di mutua fiducia e un cammino segnato dal reciproco ascolto. La sinodalità può essere allora considerata uno dei frutti del Concilio, ma anche una realtà che si è resa necessaria, lungo i decenni successivi a quell’evento, per calibrare meglio quelle intuizioni, superarne alcuni limiti, rileggerle nella situazione attuale e dinanzi a nuove sfide epocali, andando oltre la dicotomia tra le relazioni intraecclesiali e quelle con il contesto culturale.
La relazione tra fede e cultura, lungi dal limitarsi a un dialogo di cortesia o di inasprirsi nella dialettica di una reciproca diffidenza, ha bisogno di trovare nell’incarnazione di Dio un suo perno fondamentale: il Dio appassionato dell’uomo e del mondo è presente nella realtà, prima e oltre le esplicite confessioni e appartenenze religiose, e, perciò, il seme del regno è sparso, diffuso, spesso presente sotto mentite spoglie nelle realtà umane e nelle situazioni esistenziali. In una società plurale come la nostra abbiamo bisogno di un cristianesimo che ci renda capaci di intercettare il vangelo già presente e all’opera intorno a noi, anche laddove non ce lo aspettiamo: un cristianesimo che non crea barriere, non ha paura del diverso, non si impone e si mette realmente in ascolto del mondo e della storia.
Una Chiesa sinodale è un popolo di credenti che, specialmente nell’oggi di una storia in cui si moltiplicano le scoperte, gli approcci e i significati, non pretende di avere un pensiero e una parola chiara e luminosa su tutto. Essere in ascolto implica anche l’umiltà di ascoltare e apprendere quanto ci proviene incessantemente dallo sviluppo delle scienze, camminando insieme alla ricerca di modelli e linguaggi antropologici ed esistenziali capaci di intercettare le domande e le sfide dell’uomo di oggi.
Uscire verso chi vive condizioni e orientamenti particolari di vita o verso chi è ai margini per essere stato ferito o per il fatto di subire lo stigma della discriminazione, è parte fondamentale della missione cristiana ed ecclesiale. Tuttavia, andando verso coloro che crediamo «lontani», spesso siamo noi a restare evangelizzati, cogliendo sfumature e fessure della stessa fede che, dalle nostre angolature, non avevamo considerato. Così, ogni «ministero per» diventa anche un messaggio di Dio alla Chiesa e annuncio evangelico per i pastori e per gli operatori pastorali.
In questo dossier, introdotto da Francesco Cosentino, contributi di Francesco Zaccaria, Giuseppe Tanzella-Nitti, Pino Piva, Giuseppe Savagnone, Luciano Manicardi, Erio Castellucci