Giuseppe Savagnone – responsabile del sito “Tuttavia” dell’Ufficio per la Pastorale della cultura dell’Arcidiocesi di Palermo
È un dato di fatto – che può rallegrare o rattristare, ma sta sotto gli occhi di tutti – il sempre più evidente riemergere, in Europa e in Italia, di umori, idee, atteggiamenti, che, negli anni venti e trenta del secolo scorso, erano sfociati, in alcuni paesi, nell’affermazione di partiti di estrema destra e nella loro ascesa al potere. Anche ora questo clima culturale ha delle evidenti ripercussioni a livello politico. L’esempio più inquietante è la travolgente avanzata, in Germania, di Alternative für Deutschland (AfD), una formazione che ormai è il secondo partito nazionale e che non cerca neppure di nascondere i punti di contatto col nazismo, tanto da essere stata perfino esclusa dal gruppo parlamentare europeo più estremista, quello dei Patrioti di Le Pen e Salvini.
Senza che per questo si sia fermata la sua corsa, come dimostra, il fatto che, nelle elezioni regionali dello scorso settembre, per la prima volta AfD abbia avuto la maggioranza in un Land, la Turingia, e si sia affermata come secondo partito in un altro, la Sassonia. Ma non è l’unico caso. Ormai l’estrema destra è al governo in ben sette paesi dell’UE – oltre all’Italia, i Paesi Bassi, la Svezia, la Finlandia, la Croazia, la Slovacchia e l’Ungheria – , ha un ruolo decisivo in Francia, dove Ressemblement National, pur non essendo al governo, ha vinto le ultime elezioni politiche – e anche nelle elezioni europee del 6-9 giugno ha confermato i suoi progressi. Il risultato immediato è uno spostamento a destra dell’asse politico europeo, evidente già nel mutato atteggiamento verso il fenomeno migratorio da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von del Leyen, confermato dall’andamento del Consiglio europeo del 17 ottobre scorso, dove la scelta del governo italiano di istituire degli “hub” in Albania per lo smistamento dei migranti, in vista del loro rimpatrio, ha suscitato ampio consenso. Anche le forze politiche moderate devono aprire alle istanze nazionaliste e sovraniste della destra più estrema, nel duplice intento di “normalizzarla”, da un lato, e di sottrarle consensi, intercettando gli umori xenofobi di molti elettori.
Come dicevo all’inizio, questi sviluppi politici sono comunque il riflesso di un ritorno al clima culturale che, proprio cento anni fa, si è tradotto nella nascita di regimi totalitari in alcuni paesi europei. Non è detto, naturalmente, che ciò accada anche oggi. Raramente la storia si ripete. Ma i fatti dicono che anche questa volta il passaggio dal livello della cultura a quello della politica è inevitabile e, anche se con modalità inedite, diverse da quelle del passato, si sta già verificando. Ipnotizzata dall’aspetto più vistoso, che è quello politico, la grande maggioranza delle persone tende oggi a chiudere gli occhi su quello culturale che invece sta alla radice. Qui vorrei provare a introdurlo – senza alcuna pretesa di esaustività – in riferimento alla realtà italiana.
Il falso problema del ritorno del fascismo
A dire il vero, non si può dire che, nel nostro paese, siano mancate le grida di allarme. Esse, però, si sono concentrate sul pericolo di un possibile ritorno del fascismo. A lungo la battaglia è stata sulle parole. Si sono esaminati al microscopio i discorsi dei leader della destra al governo, a cominciare da quelle della premier, per vedere se e quante volte veniva usato il termine “fascismo”. Si sono attese al varco le mancate esplicite condanne del famigerato ventennio nelle manifestazioni ufficiali. Per scoprire, alla fine, che da un fenomeno storicamente situato nel passato si possono abbastanza facilmente prendere le distanze, senza per questo rinunziare all’ottica di fondo che lo ha ispirato, anche se declinandola in modalità diverse. Perché è chiaro che se oggi la “filosofia” del fascismo dovesse risorgere dalle ceneri della sua sconfitta storica, non sarebbe certamente nelle forme che essa ha assunto nella prima metà del Novecento. E se oggi, in Italia, ci sono dei sintomi allarmanti di un deterioramento della vita democratica e della garanzia dei diritti umani, essi non si manifestano nella ripetizione materiale degli slogan e dei comportamenti che hanno caratterizzato il famigerato ventennio, ma in altri fenomeni, a prima vista assai meno allarmanti, ma che sono in realtà le nuove forme che lo stesso grande buio di allora oggi assume, prima di tutto nelle teste e nei cuori. Se vogliamo evidenziarle e denunciarle, è perciò necessario chiamarle con dei nuovi nomi, invece di continuare a parlare di fascismo e antifascismo. Proviamo a dirne qualcuno.
I primi due nomi del buio
Il primo nome da dare a questo clima culturale è “smemoratezza” e riguarda la perdita della memoria. Perché una nuova forma di totalitarismo si imponga non sono necessarie forme vistose di violenza, peraltro impensabili nel nostro solido assetto costituzionale. Basta che la gente dimentichi quello che ha avuto sotto gli occhi qualche anno, se non addirittura qualche mese o qualche giorno prima. Un piccolo esempio. Al processo Open Arms contro Salvini, l’avvocato Giulia Bongiorno (lei stessa senatrice della Lega) ha costruito tutta la sua arringa per dimostrare, come poi ha sintetizzato ai giornalisti a fine udienza, che «questo è un processo politico sotto un preciso punto di vista: poiché più volte è stato offerto a Open Arms la possibilità di una via di fuga, di fare scendere i migranti, e la ONG si è rifiutata; ci siamo chiesti perché e la risposta ci è stata data da Oscar Camps che, in un video, alla fine ha detto che erano felici, ma non per lo sbarco, ma perché era caduto il ministro Salvini. Quindi per loro era una battaglia contro Salvini». Insomma, la vera posta in gioco non era la salvezza dei migranti ma la caduta del ministro, che alla fine si è verificata. Gli italiani hanno ascoltato senza battere ciglio questa ricostruzione, ispirata chiaramente a quella logica del “complottismo” che è diventata ormai un leit motiv della destra. Ma chi ha presente l’effettivo svolgersi dei fatti, dovrebbe ricordare che il ministro Salvini non affatto «caduto» – tanto meno fatto cadere – per la sua linea sui migranti, che anzi è stata alla base del vertiginoso aumento dei suoi consensi, ma si è improvvisamente dimesso, facendo cadere il primo governo Conte, con l’esplicito di sostituirlo con uno nuovo, da lui guidato, per cui già chiedeva agli italiani «pieni poteri». Giulia Bongiorno tutto questo, evidentemente, lo sa benissimo, ma contava sulla smemoratezza degli italiani, e ha avuto ragione, perché ben pochi hanno protestato contro questa palese falsificazione di un passato peraltro recentissimo.
Il secondo nome
Un secondo nome che oggi potrebbe definire l’attuale clima attuale è “indifferenza” – fino al disprezzo – nei confronti di chi è diverso. Sempre nel contesto della polemica sui migranti, il vice premier Salvini ha dichiarato: «I confini sono sacri, non si capisce perché, secondo qualche giudice, possono arrivare in Italia cani e porci». Il pensiero va alle immagini drammatiche di tanti poveracci, uomini, donne, ma spesso anche bambini – distesi sulle nostre spiagge, senza vita, inclusi in questa sprezzante definizione. Questa volta qualche reazione indignata c’è stata. Ma la maggioranza degli italiani non si è ribellata. Non lo ha fatto neppure quando, commentando l’uccisione di un ragazzo di 26 anni del Mali che aveva aggredito un poliziotto, il leader della Lega ha detto: «Con tutto il rispetto, non ci mancherà». Anche stavolta ci sono state voci di protesta. Ma nessuno degli altri membri del governo ha manifestato disagio e dissenso, né da parte della stampa e del corpo elettorale di destra si sono chieste le dimissioni di una persona che, come vice-premier, rappresenta l’Italia. Anzi, si è avuta la sensazione di un tacito consenso. «Salvini ha detto solo ciò che pensano tutti», ha scritto Vittorio Feltri sul «Giornale». Eppure, nell’art. 2 della nostra, Costituzione – proprio in reazione ai totalitarismi che, negli anni immediatamente precedenti, avevano schiacciato le persone – sta scritto: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Non si parla di “cittadino”, ma di “uomo”, di qualunque paese, di qualunque cultura, in qualunque situazione giuridica sia. Sono uomini e donne anche gli immigrati. E la morte di ognuno di loro, come quella di ogni italiano, ci diminuisce.
Il terzo nome
Un terzo nome da dare alla cultura che si sta facendo strada – sia essa o no collegabile al fascismo (ho già osservato che non è questo il problema) – è “potere”, inteso come pretesa di disporre senza limiti, in nome del popolo, delle sorti della comunità civile. Anche nella nostra Costituzione si parla di “poteri”, ma l’uso stesso del plurale indica che nessuno di essi è assoluto, perché si limitano a vicenda. Di questo stentano a rendersi conto sia il nostro governo, sia i suoi sostenitori, invocando a ogni pie’ sospinto l’investitura popolare ottenuta nelle ultime elezioni politiche. Polemizzando con la decisione del Tribunale di Roma sul caso Albania, il ministro della Giustizia Nordio ha dichiarato: «Se la magistratura esonda dai suoi poteri, come in questo caso (…) allora deve intervenire la politica perché la politica esprime la volontà popolare. Noi rispondiamo al popolo: se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo andiamo a casa». In una Repubblica parlamentare e fondata sulla divisione dei poteri, le elezioni non servono a designare il potere assoluto di un capo. Chiunque venga scelto per governare, deve farlo secondo certe regole e in certi limiti. «Noi rispondiamo al popolo» è da sempre lo slogan di tutte le dittature che, pretendendo di incarnare la “volontà generale” di Rousseau, non ammettono questi limiti.
È dai tempi di Berlusconi che domina, in Italia, una diffusa tendenza della politica a considerare ogni intralcio alla propria azione un sabotaggio ai danni dell’Italia. Ma il governo non è l’Italia. Ed è per il bene comune degli italiani che è stata prevista la possibilità di un intervento, da parte degli altri due organi costituzionali, che ne contrasti le decisioni ed eventualmente le blocchi. Qualcuno dovrebbe spiegarlo ai membri dell’attuale governo, ai giornalisti che scrivono sui quotidiani di destra, agli stessi italiani, che ascoltano senza battere ciglio affermazioni come quelle del ministro Nordio.
È questo sonno delle menti e dei cuori, non la mancata condanna esplicita del fascismo, il nostro problema, oggi. Perché da esso, come una volta ha detto Goya, possono nascere (e forse stanno già nascendo) dei mostri, diversi da quelli del passato, ma non meno spaventosi. È questa minaccia è più pericolosa di qualunque repressione esterna, perché è dentro di noi.
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