Pier Giuseppe Accornero, sacerdote, giornalista, scrittore

Da venerdì 24 luglio 2020 si chiama «Ayasofya-i Kebir Cami-i Serifi, Santa moschea della grande Santa Sofia». Dopo 86 anni, «Hagya Sophya», ex basilica cristiana di Istanbul ed ex museo, è ritornata moschea dei musulmani sunniti, presenti le massime autorità statali, tra cui il sultano-dittatore Recep Tayyip Erdogan, che dichiara di aver realizzato il suo «grande sogno» riconvertendo in moschea quella che per secoli era la chiesa più grande e famosa e per quasi 90 anni un museo. La data non è scelta a caso. Il 24 luglio 1923 con il «trattato di Losanna», le potenze vincitrici mettono fine all’Impero Ottomano, che aveva già perso la Grande Guerra 1914-18.

Per il mondo ortodosso «è un giorno di lutto, sofferenze e preghiere»: nelle chiese, nei monasteri e negli eremi ortodossi, dall’Australia agli Stati Uniti e alla Grecia, veglie e liturgie, campane a morto e il canto dell’inno «Akathistos» (V secolo), dedicato alla Vergine «Theotokos, Madre di Dio». L’arcivescovo Elpidophoros, massima autorità greco-ortodossa negli Stati Uniti, illustra le preoccupazioni degli ortodossi. A Creta e a Patrasso le campane suonano a morto per dieci minuti. In Australia il presidente della Conferenza episcopale cattolica mons. Mark Coleridge e l’arcivescovo Makarios, primate della Chiesa greco-ortodossa, chiedono che la decisione venga annullata e che «Hagya Sophya» torni emblema di pace. Erdogan aveva invitato Papa Francesco alla riapertura – provocazione o distensione? – ma è difficile immaginare una partecipazione di Francesco.

Da chiesa a moschea, a museo

La più importante chiesa del mondo bizantino è dedicata non a una santa ma alla Divina Sapienza («Hagya Sophya»). L’imperatore Costantino, sconfitto Licinio, vuole fare di Costantinopoli «la nuova Roma» e nel 330 la inaugura come capitale dell’Impero e getta le fondamenta della chiesa. L’imperatore Giustiniano ne fa lo splendore d’Oriente, dove sono incoronati gli imperatori nella «nuova Roma». Dal 537 al 1453 è Cattedrale greco-cattolica e poi ortodossa e sede del Patriarcato di Costantinopoli. Durante la quarta Crociata (1202-04), la chiesa è saccheggiata e depredata delle reliquie: anche la Sindone prende la via della Francia e poi di Torino. Durante l’occupazione latina (1204-61) diventa cattedrale cattolica. Poi cade in rovina a causa di saccheggi e terremoti. Nel 1453 il sultano Maometto II assedia Costantinopoli, distrugge edifici e chiese: gli uomini diventano schiavi, le donne sono stuprate e il venerdì si svolge la preghiera islamica «come per appropriarsi dell’anima della città» scrive lo storico Andrea Riccardi. Convertita in moschea, dove c’è l’altare sorge il «miḥrāb», orientato verso la Mecca. Al restauro del 1847-49, con il sultano Abdul Mejid I, lavorano 800 operai, diretti dai ticinesi Gaspare (architetto) e Giuseppe (ingegnere) Fossati. Mustafa Kemal Atatürk, eroe e padre della nazione, fondatore della Repubblica e primo presidente, con un decreto del 1934 la trasforma in un museo.

Il patriarcato di Costantinopoli

L’antica Bisanzio e il suo patriarcato risalgono ad Andrea, fratello di Simon Pietro. La metropoli deve nome e prestigio a Costantino il Grande. Il concilio Costantinopolitano I (381) attribuisce al Patriarca il secondo posto dopo il Vescovo di Roma. La morte di Teodosio I (395) sancisce la divisione fra Occidente e Oriente. Il concilio di Calcedonia (451) riconosce la parità tra le due sedi. Nel luglio 1054 si consuma il grande scisma. Il patriarca è «primus inter pares» tra Chiese «autocefale» e indipendenti e per secoli ha sede accanto a Santa Sofia: con la fine dell’Impero bizantino, si trasferisce in diversi quartieri e dal 1601 nel quartiere del Fanar. La Turchia non riconosce nessuna Chiesa né il titolo di Patriarca: le Chiese non hanno personalità giuridica.

L’ecumenismo di Roncalli

Con la ventennale immersione nel mondo ortodosso come delegato apostolico a Sofia in Bulgaria (1924-34) e poi a Istanbul per Turchia e Grecia (1934-44) Angelo Giuseppe Roncalli si convince dell’assoluta necessità del dialogo ecumenico. Gli storici Mario Benigni e Goffredo Zanchi riferiscono: «Quando era delegato apostolico a Istanbul decise un atto clamoroso: l’uso nella Cattedrale del Santo Spirito della lingua turca in parti della liturgia». Roncalli racconta: «Quando si recitò “Tanre Mubarek olsun, Dio sia benedetto”, molti abbandonarono la chiesa scontenti». Ma non desiste: «La Chiesa rispetta chiunque. Il delegato apostolico è un vescovo per tutti e cerca di essere fedele al Vangelo che non riconosce alcun monopolio di nazione, che non è fossilizzato e che guarda al futuro». Paolo VI il 5 gennaio 1964 a Gerusalemme abbraccia il patriarca Atenagoras mettendo fine a nove secoli di lotte, incomprensioni e scomuniche. Il 7 dicembre 1965 in Concilio e al Fanar è letta la «dichiarazione comune» di Paolo VI e Atenagoras, che cancella e «toglie dalla memoria e nel mezzo della Chiesa le scomuniche». Il 25-26 luglio 1967 Paolo VI visita Costantinopoli e il 14 dicembre 1974 nella Cappella Sistina bacia i piedi a Melitone, metropolita di Calcedonia. Nell’aprile 2004 il Patriarca Bartolomeo concede ai cattolici «il perdono» 800 anni dopo il «sacco» di Costantinopoli. La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa «Dignitatis humanae» (7 dicembre 1965) sancisce un cambio nell’atteggiamento della Chiesa: dalla tolleranza al riconoscimento della libertà religiosa come diritto umano, come dice Paolo VI ai musulmani in Uganda nel 1969: «Noi siamo sicuri di essere in comunione con voi, quando imploriamo l’Altissimo, di suscitare nel cuore di tutti i credenti dell’Africa il desiderio della riconciliazione e del perdono, così spesso raccomandato nel Vangelo e nel Corano». Paolo VI in Turchia (1967), a Santa Sofia si inginocchia a pregare per qualche istante.

Paolo VI: una moschea a Roma? Perché no?

Nel 1973 Paolo VI replica: «La Chiesa non si abbassa a questi livelli» a chi vuole vincolare il via libera alla costruzione della moschea di Roma a una sorta di reciprocità, chiedendo che anche in Arabia Saudita si possano costruire chiese. È un episodio sconosciuto. Né il Governo italiano né il Comune di Roma sono tenuti a chiedere l’assenso del pontefice per concedere il terreno per la più grande moschea d’Occidente nella capitale del cattolicesimo. È una forma di rispetto istituzionale. Quanti si oppongono al progetto cercano nel Pontefice un alleato per bloccare la costruzione. Giulio Andreotti ricorda: «Quando si cercò di tirarlo in mezzo per ostacolare la creazione della moschea, la sua risposta fu opposta: arricchirà il carattere di civiltà universale di Roma dove tutti devono avere la possibilità di parlare e di esprimersi». La realizzazione ai Parioli è molto lenta. Progettata dall’architetto Paolo Portoghesi, la deliberazione sul terreno è del 1974; la prima pietra dieci anni dopo, nel 1984; l’inaugurazione dopo altri dieci anni, 21 giugno 1995. Giovanni Paolo II è accolto gelidamente a Istanbul (28-30 novembre 1979) ed è il primo Papa a entrare nella moschea di Damasco (2001). Benedetto XVI (28-30 novembre 2006), nella «Moschea Blu» accetta l’invito del muftì a raccogliersi davanti al «miḥrāb»: non prega ma sosta in silenzioso raccoglimento. Cosa che fa anche papa Francesco (28-30 novembre 2014).

Nel marzo 2019 Erdogan annuncia la volontà di trasformare l’edificio in una moschea: «È stato un errore molto grande trasformarla in un museo». È la fine del sogno di Atatürk e il ritorno a uno Stato teocratico, come Israele e Iran. La decisione del Consiglio di Stato turco, dominato da Erdogan, è del 15 luglio 2020. Per il patriarca ecumenico Bartolomeo «Agya Sophya non deve diventare di nuovo motivo di contrapposizione e di scontro: è luogo simbolo dell’incontro, del dialogo, della reciproca comprensione tra cristiani e islamici. Riportarla a moschea trasformerebbe uno spazio cultuale in un trofeo, simbolo di conquista». Per il patriarcato di Mosca, «per milioni di cristiani è un simbolo dell’ortodossia».

«Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato»

Domenica 12 luglio 2020 Bergoglio interviene sulla questione. In virtù del legame e della fraterna amicizia con Bartolomeo, affronta il tema con poche e lapidarie parole a braccio pronunciate con la fronte aggrottata all’Angelus. «Il mare mi porta un po’ lontano col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato». Il pesante silenzio sceso su piazza San Pietro rende ancora più solenne il biasimo. Papa molto stringato anche perché obiettivamente il mondo cattolico ha poco a che fare con Santa Sofia, che rappresenta un «faro» per il mondo ortodossia. La decisione rinsalda le file del nazionalismo islamico; offende la storia ed evidenzia il regime antidemocratico di una nazione che rinnega le regole della democrazia e che ha smesso di chiedere di entrare in Europa. Erdogan ha bisogno di ricompattare la base, anche distogliendo l’attenzione da problemi ben più cruciali, come la difficile situazione economica resa drammatica dalla pandemia.