Giancarlo Tettamanti, socio-fondatore AGESC
La legge n° 62 del 10 marzo 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 67 del 21 marzo 2000, ebbe a dettare le «Norme per la parità scolastica e le disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione». Quest’anno ricorre il suo ventesimo anniversario e, come di consueto in simili circostanze, si riaccende il dibattito sulla libertà di educazione e di proposta educativa, con particolare riguardo alla parità scolastica e al sostegno economico delle scuole paritarie. Si parla molto della suddetta legge «paritaria», ma si tratta di un attributo errato, poichè tale legge non è affatto «paritaria», bensì una legge sul diritto allo studio e all’istruzione che forza indebitamente l’assimilazione della scuola non statale cosiddetta paritaria al modello culturale ed organizzativo definito per la scuola statale. Tale sfondo giuridico nei fatti ha svolto, e svolge ancora, una pesante azione di riplasmazione della lettura – anche intraecclesiale – della natura e del ruolo della scuola non statale cosiddetta paritaria, cattolica e laica.
I perché di un «libero insegnamento»
Il pieno sviluppo della persona umana è il compito principale della Repubblica: all’art. 2 della nostra Costituzione, si evince che «la Repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; e all’art. 3 «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, ….. è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…». Risulta, quindi, inderogabile il riconoscimento che lo Stato – che non è la Repubblica, ma un suo organo preposto a favorire e sostenere lo sviluppo integrale del cittadino – è istituzione al servizio della persona e ad essa sussidiario.
Il primato della persona è il principio base su cui fare riferimento da parte della società e di coloro che la governano. Solo rispettando tale principio, la famiglia, la cultura, l’educazione, la scuola, la libertà di educazione e di proposta formativa, la responsabilità personale e collettiva, il pluralismo culturale e istituzionale, perdono ogni connotazione equivoca e tornano ad essere gravi di senso e di valore. La Costituzione italiana, con la dichiarazione di cui all’art.2, «implicitamente ha riconosciuto l’anteriorità della persona umana e dei suoi fini rispetto alla società e allo Stato, integrando il riconoscimento filosofico con la considerazione sociologica che la persona umana stessa si sviluppa e si perfeziona attraverso l’appartenenza organica a successive comunità sociali» (Giorgio La Pira).
Parità vs. pari dignità
I termini «parità» e «pari dignità» vengono spesso richiamati e formulati come se avessero identico valore. Ma non è così: «parità» significa mettere tutti i soggetti sullo stesso piano, quasi fossero la moltiplicazione di una conformazione unica, uguale ed equivalente; «pari dignità», invece, significa riconoscere il valore di ciascun soggetto nel rispetto della diversità di ognuno. Significa riconoscere, cioè, il diritto alla diseguaglianza. Da qui la necessità di una maggiore chiarezza e consapevolezza circa termini e contenuti che all’atto pratico non sempre – o quasi mai – vengono recepiti e articolati.
Va riconosciuta la pluralità individuale, esistenziale, culturale, istituzionale. Che c’è di più lontano rispetto ai principi che stanno alla base della nostra Costituzione? Ciascuna persona – in virtù della sua diversità – ha diritto «di continuare ad essere perfettamente coerente nei confronti dei propri principi religiosi, dei propri principi culturali, della propria formazione, di ciò che è stata la tradizione della propria famiglia, della propria storia, della propria terra» (Enrico La Loggia, in «L’educazione e l’istruzione nel XXI secolo» – Liberal documenti, 2002).
Da qui la necessità di riconoscere al cittadino il potere decisionale in ordine al proprio destino. Ne consegue l’urgenza «di configurare una organizzazione dello Stato che sia “leggera”, quanto più rispettosa della capacità, della volontà, del diritto a realizzare al massimo la propria persona all’interno del contesto sociale. E qui subentra l’istruzione, l’educazione e la scuola» (Id.). Quindi uno Stato che riconosca il suo essere «sussidiario», al quale deriva tutto il suo valore, la sua autorità e i suoi limiti, nell’operare per il bene della persona, cioè nel sostenere gli sforzi di ciascun essere umano nella realizzazione del personale processo di auto-realizzazione.
Scuola libera
La piena libertà, che comunque va garantita a qualsivoglia istituzione scolastica – statale e non statale – non può essere concepita o intesa come un qualcosa di diverso e di astratto rispetto ad una concreta libertà ideologica, strutturale, gestionale, organizzativa, e perciò in un quadro di totale indipendenza dalla burocrazia statale. Quindi non soltanto una ipotetica libertà, ma una libertà che coinvolge interamente e compiutamente l’identità della scuola, i suoi programmi che, seppur in un’ottica di responsabilità comune, devono potersi conformare al quadro di riferimento costituito dal «progetto educativo» che caratterizza la scuola, la sua struttura gestionale ed organizzativa che comprende anche orario e cattedra, e la sua collocazione in un ordinamento proprio ed autonomo. Ciò coinvolge direttamente la pedagogia e la filosofia dell’educazione, perché le strutture educative e i programmi di insegnamento presuppongono principi pedagogici e i principi filosofici.
La libertà di educazione e la libertà di insegnamento esigono queste impostazioni di fondo, ed esigono anche, non un appiattimento riduttivo ed inutile della scuola non statale in un quadro di omogeneità alla scuola statale, ma una sua valorizzazione proprio in quanto struttura educativa diversa da quella dello Stato. Per «piena libertà» si deve intendere, perciò la capacità e la possibilità – sia per la scuola non statale che per quella di Stato, entrambe come «istituzioni libere» – di proporsi liberamente per poter essere liberamente scelte da studenti e famiglie secondo i loro principi filosofici e religiosi, e la loro concezione dell’uomo e della storia.
«Lo Stato è la società organizzata politicamente; esso non sopprime, non annulla, non crea diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della classe, della religione; soltanto li riconosce, li tutela, li coordina nei limiti della propria funzione politica. Per noi lo Stato non è il primo etico, non crea l’etica: la traduce e le dà forza sociale. Per noi lo Stato non è la libertà, non è al di sopra della libertà: la riconosce e ne coordina l’uso». E ancora: «Lo Stato è per i cittadini e non i cittadini per lo Stato; i limiti fondamentali dell’azione dello Stato sono dati dalla persona umana, la quale è al fondamento di ogni etica politica» (Luigi Sturzo, in «Statalismo e confusione di idee»).
Diritti e doveri della famiglia
La famiglia è e resta l’istituzione maggiormente dimenticata e penalizzata nell’esercizio delle sue responsabilità nei riguardi dei figli. Eticamente combattuta, politicamente trascurata, culturalmente emarginata, la famiglia resta comunque nucleo educativo e formativo principale. È la famiglia a chiedere di poter esercitare quei diritti/doveri dettatigli dalla Costituzione: gli art. 29 e 30 stanno a dimostrare l’entità delle loro responsabilità. In questo contesto, sono proprio le famiglie a chiedere di poter esercitare liberamente il loro dovere di educare e istruire i figli, e ciò mediante una concreta, e non mortificata, libertà di scelta dei luoghi e delle persone a cui e con cui affidare i figli nel conseguimento della loro maturazione culturale, umana e sociale. Non va dimenticato che la famiglia sta al centro di tutti i problemi e di tutti i compiti: da qui l’imperativa esigenza di una rinuncia alla delega in qualsivoglia campo, in primis per quanto riguarda la scuola. Da qui il compito «sussidiario dello Stato» che deve interpretare e compiere il proprio aiuto e il proprio sostegno morale ed economico: oggi è la famiglia ad essere sussidiaria allo Stato!
La questione del finanziamento diventa, quindi, questione fondamentale: infatti sembra che nessuno contesti il diritto alla libertà di educazione e di insegnamento, né il diritto di fondare scuole. Tuttavia, se la «pari dignità tra le diverse scuole» è fatto importante, resta da chiedersi come possa esserci riconoscimento dignitoso senza il contemporaneo riconoscimento dei mezzi economici per conseguire appieno questa «pari dignità». Ecco perché «pari dignità» e «equipollenza economica» vanno di pari passo: è una questione di libertà e di democrazia.
Tuttavia l’ottusità politica – sostenuta dal paradosso costituzionale dell’art. 33 della Costituzione – stenta a riconoscere i diritti della famiglia, a considerare il valore di una scuola libera in un contesto nazionale de-burocratizzato, insiste a discriminare economicamente i cittadini e a giudicare ipocritamente le loro scelte, in nome di una paradossale allocuzione costituzionale che a distanza di oltre settant’anni non ha più senso e che continua ingiustamente e ingiustificatamente a caratterizzare mentalità, atteggiamenti e strategia socio-politica.
La «sussidiarietà»
Va pure detto che una sollecitazione in direzione di una applicazione della sussidiarietà, nei riguardi dell’educazione e dell’istruzione, è venuta: sia in senso verticale, dalla valorizzazione di tale principio, con la modifica del Titolo V della Costituzione, assunto in relazione ai rapporti tra enti territoriali di governo (art. 118 Cost., e prima ancora, art. 4, comma 3, lettera a, della legge 59/1997, nonché a livello comunitario, art. 5 Trattato C.E. nella versione consolidata), sia in senso orizzontale, nei rapporti tra gruppi sociali e in quello tra pubblico e privato, prestandosi a spiegare il fenomeno della presenza dello Stato su una linea di confine che segna un ambito al di là del quale si collocano i fenomeni espressivi dell’esigenza del pluralismo nei servizi sociali, e nei corpi intermedi tra cui, appunto, famiglia e scuola.
Di tutto ciò è chiara espressione l’ultimo comma dell’art. 118 che richiama le varie entità costitutive della Repubblica (Stato, Regioni, Comuni, Province) a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Quel processo che riguarda anche «promozione e scelta di istituzioni scolastiche», sancito dallo stesso decreto del Presidente della Repubblica l’8 marzo 1999, Decreto n° 275 di regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Si continua a negare il principio sussidiario per quanto riguarda l’istruzione, e, ancora, a ribadirne il diniego per le «paritarie». Sarebbe opportuno ricordare che le scuole, tutte le scuole, operano in modo sussidiario alle famiglie. Pertanto, le istituzioni scolastiche, se di fatto, non hanno diritti, poiché i diritti sono tutti delle famiglie e dei loro figli, restano strumento di sostegno all’inalienabile diritto costituzionale della persona umana, diritto del cittadino italiano che egli ha per il fatto stesso di essere nato, e non per il fatto di frequentare o meno la scuola di Stato.
Il sostegno economico concesso alle scuole avverrebbe comunque in nome e per conto delle famiglie e dei loro figli. È vero: «le paritarie non possono pretendere finanziamenti», ma lo possono i genitori! «Il finanziamento dallo Stato non è escluso», ma di fatto è negato! Negare il sostegno economico al cittadino studente – soggetto principale e prioritario del diritto all’istruzione e all’educazione – e alla sua famiglia, è atto discriminatorio, lesivo del diritto costituzionale della persona umana, e dell’obbligo dello stesso Stato, che denota inadempienza nell’esercizio dei suoi compiti.
«Libertà» e «pluralismo»
«Pluralismo» non significa «separatismo», ma soltanto presenza di «diversi» che, pur restando diversi e riconoscendosi e rispettandosi come diversi, lealmente e collaborativamente operano al conseguimento del bene comune «istruzione e educazione». Perciò il pluralismo di scuole non significa un sistema di scuole «separate», ognuna delle quali forma un «ghetto» (come ebbe a dire Alessandro Natta: «una sorta di libanesizzazione»), ma significa un sistema di scuole – «diverse» e tutte «libere» – che si riconoscono tutte facenti parte della comunità nazionale e che si rispettano le une e le altre, non in spirito di opposizione, ma in spirito di sana e corretta convivenza.
Ciò comporta la possibilità di ciascun cittadino di avere, per sé e per i propri figli, la scuola che corrisponde al tipo di formazione umana che si intende dare ai propri figli in base al progetto educativo che essa propone. Ora è chiaro che la scuola «unica» di Stato, sia che abbia una sua ideologia, sia che pretenda di essere «neutra» e «non ideologica», non può soddisfare l’arco necessariamente ampio delle scienze educative che sono presenti in una società pluralistica. Una scuola unica, anche se di Stato, non può essere una scuola «per tutti». Il pluralismo ideologico e sociale esige dunque una pluralità di scuole, tra le quali sia possibile operare una libera scelta. Non va dimenticato che il cittadino versa allo Stato imposte tese a sostenere l’istruzione nazionale; da qui il dovere della messa a disposizione delle famiglie – di tutte le famiglie, nessuna esclusa – del finanziamento pubblico – frutto del denaro dei contribuenti – dell’intero sistema di istruzione. È illegittimo limitare la libertà mantenendo in essere ragioni di disparità economica, mortificando il pluralismo ideologico e sociale
Passaggi possibili ed efficaci per un corretto pluralismo culturale ed istituzionale
Tali considerazioni stanno ad indicare che ciascuna scuola – qualunque essa sia: statale e non statale – deve essere considerata per ciò che è, cioè una istituzione diversa perché diversamente gestita e organizzata, con progetti educativi e formativi non necessariamente assimilati agli ordinamenti dello Stato; scuola direttamente responsabile del proprio percorso educativo-formativo, e della valutazione dei conseguenti esiti: in questo senso «autonoma», cioè libera di scegliere, di operare e di discernere.
Consapevoli di ciò, da dei genitori una doverosa ipotesi di «scuola», i cui passaggi possibili ed efficaci implicano un corretto pluralismo culturale ed istituzionale:
- equiparazione di tutte le scuole operanti sul territorio;
- concretizzazione dell’autonomia;
- qualificazione e professionalizzazione dei docenti, e quindi il libero accesso all’insegnamento;
- implementazione della valutazione interna (ed esterna) delle singole scuole;
- consolidazione della libertà di educazione e di scelta delle famiglie;
- predisposizione di una equa modalità di finanziamento di tutte le scuole, pur diversamente gestite;
- abolizione del valore legale dei titoli di studio;
- modificazione dell’art. 33 della Costituzione.
Conclusione
«Il principio della libertà di insegnamento e di educazione ha il suo fondamento nella natura e nella dignità della persona umana. Poiché questa è una realtà anteriore ad ogni organizzazione sociale, ha il diritto all’autodeterminazione del proprio sviluppo ed ai mezzi necessari, senza che questa capacità di autodeterminazione sia limitata da imposizioni arbitrarie dall’esterno» (Giovanni Paolo II). Ne consegue che «considerare lo Stato come fine, a cui ogni cosa dovrebbe essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità della nazione. E ciò avviene, sia che tale dominio illimitato venga attribuito allo Stato, quale mandatario della nazione, sia che venga preteso dallo Stato, quale padrone assoluto, indipendente da qualsiasi mandato» (Pio XII – «Summi Pontificatur», n° 22).
Si tratta di rimettere in gioco la stessa concezione di scuola e il rapporto tra lo Stato/cultura. Si tratta di un aspetto che la «politica» deve assumere come modalità di riflessione e di attuazione, nella consapevolezza che solo attraverso l’educazione si costruisce la società, e pertanto diviene oltremodo oltraggioso mantenere un monolitico sistema scolastico, svilendo diritti e doveri delle famiglie, e quanti – con capacità, dedizione e autorevolezza – si pongono al servizio della comunità nell’espletamento di un compito di grande valore e importanza.
Va corretta infine la strana ed incomprensibile situazione che caratterizza il nostro Paese, così come va attivato un sistema teso verso la realizzazione di una scuola di tutti e di ciascuno, nella quale si concretizzi libertà di insegnamento e di educazione. Si chiede pertanto un atto di coerenza politica nell’applicazione e nel rispetto della gerarchia di valori: persona, famiglia, scuola, Stato.
Il permanere dell’impronta burocratico/statalista in questi fattori educativi/formativi, di cui è ricca la storia, e la sempre crescente invadenza dello Stato nelle prerogative altrui, disturbano e non sono più accettabili.