Giancarlo Tettamanti – Socio Fondatore AGeSC
Il 7 gennaio c’è stata una parziale apertura delle scuole. Una ripresa, però, difficile, con molte contraddizioni e non da tutti condivisa: la pandemia sembra essere ancora fortemente presente e in agguato. L’occasione però di questa ipotetica riapertura delle scuole, si riaffaccia anche il problema della collegialità educativa della scuola, con la partecipazione dei genitori e delle famiglie al processo di crescita culturale e umana degli alunni/studenti.
Ciò pone tutti noi a considerare come accanto alla responsabilità della famiglia e dei genitori – responsabilità che tuttavia andrebbe meglio identificata – vada evidenziata anche la responsabilità della scuola e di coloro che la personalizzano.
Nonostante tutte le conclamate affermazioni diffuse sulla scuola e sulla sua funzione, essa non sembra essere ambito privilegiato di formazione integrale. Non lo è perché è comunque finalizzata al conseguimento di determinati e preordinati scopi: non lo è perché, nonostante certi accorgimenti introdotti, resta uno strumento di manipolazione del consenso.
Si è tentato un correttivo con l’introduzione della gestione sociale, correttivo che non ha causato alcun sostanziale cambiamento se non il meccanico inserimento nella scuola dei genitori, i quali si sono trovati di fronte a una articolazione che non ha cancellato, ma ha riproposto il discorso di delega – con la nomina dei rappresentanti che spesso agiscono a titolo personale, e non in conformità alle attese delle famiglie – che concepisce il discorso di “comunità” come espressione culturale escludente le ipotesi di realtà di base frutto di esperienze educative e di presenze reali certamente qualificanti: da qui la tenuta a debita distanza dei genitori, spesso coinvolti soltanto per l’organizzazione delle feste scolastiche.
L’inserimento dei genitori è stato, ed è ancora, assolutamente sbagliato, perché i genitori non sono chiamati a partecipare attorno a una ipotesi educativa, ipotesi che non può escludere il confronto della responsabilità della scuola con la responsabilità dei genitori e delle famiglie. Da qui il dubbio che il loro inserimento nella scuola non sia stato, e ancora non è, frutto di maturazione culturale, bensì un ripiego per una scuola divenuta struttura insostenibile e ingovernabile.
Così la scuola denuncia ancora una volta la sua incapacità di comunicare un significato che dia gusto e interesse allo studio, al lavoro e alla vita; una incapacità quindi di formulare una ipotesi educativa, un progetto educativo intenzionalmente rivolto alla promozione integrale della persona.
Ciò è da individuarsi nella confusione, reale o artificiosa – di fatto i genitori vanno tenuti fuori dalla porta della scuola – in ordine al riconoscimento della responsabilità educativa ai genitori e alle famiglie; nella manipolazione del ruolo della scuola nella educazione, un ruolo complementare e integrativo a quello familiare e non autonomo (non va dimenticato che spesso viene escluso questo compito dalla scuola); nella individuazione del corretto significato del “fare cultura”, che esige l’idea di una scuola in cui ci si possa concretamente esprimere e liberamente servire secondo quella dimensione specifica che è alla base del “fare cultura”.
Nonostante le affermazioni di certa parte interessata a distruggere il concetto di famiglia, e nonostante la tendenza a mutuare da altri certe impostazioni, la responsabilità primaria dell’educazione è e resta dei genitori: i genitori e le famiglie chiedono perciò alla scuola un aiuto all’assolvimento del loro diritto-dovere di educare e di istruire, e – in quanto genitori e famiglie cristiane – chiedono alla scuola di essere concretamente dalla parte dell’uomo non prestandosi a quelle operazioni riduttive nei confronti di visioni parziali e settarie della persona.
Le ragioni di una educazione veramente liberante, di tipo critico, creativo e partecipativo, quale ha diritto di chiedere alla scuola ogni persona, non possono che risiedere in una prospettiva integrale dell’uomo considerato come fine unico dell’educazione. In quest’ottica la cultura familiare, di cui lo studente è portatore, non può essere trascurata.
Ciò si verifica solo se la scuola configura un itinerario di lavoro e di impegno secondo un progetto educativo condiviso che si legittima in una visione integrale della persona e per la particolarità della sua riflessione sul significato della presenza umana nella storia. Una scuola “presunta neutra”, cioè solo istruttiva, non è scuola di formazione!
Una scuola che rispetto alla famiglia assuma un ruolo di complementarità nel processo di crescita degli alunni/studenti dalla famiglia affidatele, non può e non deve sostituirsi alla famiglia; può e deve coinvolgerla affinché il processo educativo sia realmente integrativo. Da qui il senso della “corresponsabilità” della famiglia nella scuola in ordine alla realizzazione personale del figlio/studente.
Una scuola, quindi, realmente concepita come espressione di una realtà viva di persone che in una unità di intenti sempre ricercata vivono un complesso di valori attorno ai quali viene costituito il motivo fondamentale di ogni educazione e pertanto della stessa scuola in quanto “momento” di educazione. Solo ad una scuola veramente rispondente a queste prerogative si può dare la qualifica di “comunità educante”, frutto cioè di una aggregazione, di una scelta libera, attorno a valori autentici da scoprire, sperimentare e proporre insieme. E se vi sono valori “comuni” – come libertà, uguaglianza, democrazia, progresso, pluralismo, ecc…. – vi sono anche significati diversi che le varie culture danno a questi stessi valori secondo le diverse concezioni dell’uomo e dei suoi destini. Da qui il diritto di “autonomia di ciascuna scuola”, come suggello del fatto culturale e come espressione di autentico pluralismo istituzionale.
Se uno degli aspetti del fare cultura è rappresentato dal modo di porsi e dal modo di essere – modi evidentemente diversi secondo le diverse concezioni dell’uomo e della vita – la “comunità educante” diviene ambito di elaborazione e di espressione, in cui, attraverso una libera scelta, le persone – insegnanti, alunni e genitori – mettono insieme conoscenze, esperienze, ideali, ipotesi di impegno e di lavoro, e scelgono mezzi, tempi e fini intermedi, per conseguire insieme una visione coerente dell’uomo e della storia, un insieme di valori riconosciuti e sperimentati, e un insieme di comportamenti personali e sociali ad essi conformi.
Con il richiamo a una “corresponsabilità educativa” dei genitori e delle famiglie, si verrebbe a realizzare quella “sussidiarietà”, insieme realizzata, tra scuola e famiglia a sostegno l’una dell’altra, con ciò rispettando concretamente – e non mortificando – il pluralismo culturale e sociale, cioè quel pluralismo che è garanzia di quella libertà e di quella democrazia le cui temperature si misurano proprio analizzando se vi è o non vi è libertà di educazione.
Solo così si attuerebbe un concreto passaggio alla “scuola della comunità”, non a una comunità astratta, ma a una comunità reale, dove i genitori e le famiglie verrebbero portati a partecipare perché responsabili e coinvolti nella formulazione e nell’attuazione di un progetto educativo.
Il tutto in una unità dichiarata di intenti in cui gli insegnanti non dovrebbero mortificare la loro espressione anche nell’esercizio della specifica professione perché inseriti in una realtà viva e in continua crescita; la famiglia verrebbe concretamente aiutata a stabilire una sostanziale continuità educativa e a preoccuparsi non soltanto dei propri figli ma anche delle altre famiglie e dell’intesa società; gli alunni sarebbero completamente messi nella condizione di crescere e di esprimersi liberamente secondo una dimensione congeniale e non finalizzata.
La scuola diverrebbe, così, autenticamente “momento” di educazione e luogo di esperienza personale e comunitaria, nonché ambito culturale teso a far scoprire il proprio ruolo, la propria identità e la propria vocazione. E si sconfiggerebbe così il vuoto oggi esistente nella scuola e il nulla attorno al quale troppo spesso si è chiamati a partecipare; si promuoverebbe invece una autentica partecipazione, capace di ridare sapore e significato all’impegno richiesto di “corresponsabilità”: cioè una partecipazione consapevole e non semplice premessa del fatto educativo.
Se non si vuole, infatti, cadere in una convivenza illusoriamente “neutrale” sotto il profilo della visione del mondo che la ispira o addirittura in una convivenza ideologicamente coartata, altra soluzione non esiste se non quella della libertà di tutti; il confronto – il dialogo è strutturale in una società pluralista – avverrà così nel pieno rispetto dei diritti della persona, e non sarà né individualismo, dove la libertà è priva di fondamento assoluto, né coercizione, dove lo Stato – e la cultura dominante – è l’unica norma e l’unica fonte di valori.