Paolo Selvadagi – vescovo ausiliare diocesi di Roma
Solo recentemente il tema della sinodalità è passato a indicare uno stile di vita ecclesiale, trasversale a ogni livello della comunità cristiana. È uscito così dalla strettoia, in cui è stato ridotto, rappresentata dalla questione teologica specifica del rapporto tra primato petrino e collegialità episcopale, quindi circoscritta al livello del vertice della Chiesa; per quanto a questo livello il tema rimanga fondamentale e decisivo in ordine alla comunione ecclesiale (cf. Lumen gentium, nn. 22-23). Il cambio di prospettiva è notevole. Mentre, da una parte, si ribadisce che la sinodalità ha la sua prima ragione teologica e pastorale nella communio effettiva e affectiva all’interno del collegio dei vescovi, erede del collegio degli apostoli con a capo il vescovo di Roma, successore di Pietro, dall’altra parte, infatti, si indica che tale virtuosa relazione non è nient’altro che espressione della natura stessa dell’essere comunità cristiana; ne è la sua più alta e centrale manifestazione. Non ne è, tuttavia, l’esclusiva attuazione, perché ogni forma ecclesiale è per sua natura «sinodale». La forma della collegialità, in base alla quale «l’episcopato ha la potestà suprema, ma l’ha con il papa e mai senza il papa», non è altro che il segno e la prova esemplare di ciò che dovrebbe avvenire in chiave sinodale a ogni livello della struttura istituzionale della Chiesa.
Papa Francesco della sinodalità indica almeno quattro caratteristiche. Innanzitutto, egli richiama lo spirito del servizio, come una prospettiva ineliminabile nella prassi e nella interpretazione dottrinale della comunità ecclesiale. Infatti, con l’uso dell’immagine della «piramide capovolta» il papa descrive, in forma iconica e in parte insolita, le relazioni fondamentali tra pastori e gregge all’interno della Chiesa. In tale immagine la gerarchia (il collegio dei vescovi) è posta sempre al vertice della piramide, ma in basso rispetto a tutto il popolo di Dio. Secondo papa Francesco, lo spirito del servizio dà respiro alla sinodalità ecclesiale. L’atteggiamento proattivo del servizio all’interno della Chiesa qualifica i ruoli e i compiti, convalida i doni spirituali (i carismi). Per questo motivo afferma ancora: «Nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli. […] L’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce». In ogni forma di vita ecclesiale l’autorità è correttamente esercitata, se è sentita e praticata come funzione di servizio e non di potere. Senza una tale condizione la sinodalità risulta fittizia, formale e inautentica.
La seconda caratteristica è lo stile del camminare insieme, come la sua connotazione concreta e la sua applicazione ordinaria della comunione ecclesiale. Papa Francesco riprende l’incisiva affermazione di san Giovanni Crisostomo, uno dei più grandi padri della Chiesa d’Oriente, patriarca di Costantinopoli: «Chiesa e sinodo sono sinonimi», che è come dire che la Chiesa (fedeli laici, pastori, vescovo di Roma) è un camminare insieme a tutti i livelli della vita ecclesiale. La prerogativa del primato petrino del vescovo di Roma è eccezionale e unica, perché giustificata dalla ragione che, per volontà del Signore, il papa è: «il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità tanto dei vescovi quanto della moltitudine dei fedeli» (LG, n. 23).
La terza caratteristica è la disponibilità e l’abitudine all’ascolto reciproco. Non è soltanto un ascolto unilaterale, quale può essere l’acquisizione di informazioni, di dati e di analisi accurate della realtà da parte di chi ha il ruolo della responsabilità ultima, ma si intende come un insieme di occasioni di dialogo, di confronto, di scambio su convinzioni e su pareri, anche diversi. Chi non desidera l’ascolto o, addirittura, non lo vuol praticare, cade in una duplice forma di presunzione. In primo luogo, pretende di conoscere la realtà delle cose di cui si parla nella sua totalità; atteggiamento quantomeno discutibile. In secondo luogo, esclude a priori, pregiudizialmente, che altri possano avere ragioni e argomenti interessanti e ulteriori da portare per la conoscenza di quanto è oggetto del discorso. Se non si riconosce preliminarmente a chi dialoga con noi la sincerità e l’onestà d’intenzione nel contribuire al dialogo, non c’è vero ascolto dell’altro.
La quarta caratteristica è la franchezza nel parlare (parresia), come atteggiamento di coraggiosa presentazione delle proprie convinzioni, esposte con sincerità, senza reticenze. Come attitudine alla schietta e coraggiosa dichiarazione delle proprie convinzioni, è molto lontano da ogni forma di arroganza, di presunzione e di impertinenza. Infatti, l’apostolo Pietro raccomanda che: «questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza», leggiamo nella 1Pt 3,16. a buona qualità dello stile sinodale è data dal giusto equilibrio tra la sincerità della parresia e la disponibilità all’ascolto, come ha chiesto papa Francesco ai padri sinodali in occasione del sinodo del 2014. Si potrebbe dire che esistono due moduli per realizzare la sinodalità: uno «specifico», la collegialità episcopale, l’altro «comune», ovvero la partecipazione responsabile e attiva di tutti i fedeli alla vita della Chiesa.
Il primo modulo è sintetizzabile nel binomio collegialità episcopale e primato petrino, che trova la sua massima espressione nel concilio Ecumenico e la parziale attuazione nella attuale forma del sinodo dei vescovi. Il secondo modulo si definisce per una partecipazione e una condivisione all’interno della Chiesa, che assume ovviamente funzioni differenti a seconda del livello di vita ecclesiale: Chiesa universale, conferenze episcopali, diocesi, parrocchie, comunità ecclesiali, ecc.. C’è evidentemente una differenza di prospettiva tra i due moduli nella descrizione della natura «comunionale» e sinodale della Chiesa. La differenza è da attribuire alla diversa posizione, che in essi viene attribuita al popolo di Dio, cioè a tutta la Chiesa. Nel primo caso, il popolo di Dio potrebbe essere riduttivamente inteso come una controparte, passiva e subalterna, delle decisioni dell’autorità dei vescovi. Nel secondo caso, rispecchiando più esattamente la visione della Chiesa del Vaticano II, il popolo di Dio è considerato il soggetto protagonista della comunione ecclesiale, comprendendo al proprio interno pastori e fedeli. Grazie alla sinodalità più che di opposizione, di contrasto, di lotta per il potere tra la componente di direzione, di guida e la componente globale della comunità si attivano procedimenti di integrazione, complementarità e interazione, che contribuiscono con efficacia allo sviluppo complessivo della comunità cristiana e non soltanto al migliore funzionamento organizzativo e giuridico-amministrativo degli assetti di partecipazione e di corresponsabilità. Lo stile sinodale costituisce un tratto della identità della Chiesa, segnato dalla relazione, dal confronto, dalla condivisione nella prassi ordinaria della vita ecclesiale.
La via sinodale comporta il rispetto di alcuni requisiti perché venga attuata in forma reale e autentica. Seguendo l’insegnamento di papa Francesco sulla «sinodalità» ne indico alcuni: lo spirito di servizio, il camminare insieme come comunità, l’ascolto reciproco, la franchezza nel parlare.
Lo spirito di servizio. Ogni responsabilità di guida, di presidenza, di coordinamento e di animazione delle comunità cristiane viene attuata con correttezza, se è realizzata con spirito di servizio e non come esercizio dispotico di potere.
Il camminare insieme, come comunità. Nel contesto sinodale ogni compito, svolto più che un appannaggio e un privilegio che si autogiustificano, è un incarico («servizio») svolto a nome della comunità e come espressione della comunità e per far crescere la comunità nella direzione della evangelizzazione.
L’ascolto reciproco. Non basta limitarsi ad ascoltare benevolmente e paternalisticamente chi in qualche modo potrebbe essere interessato alla questione in esame e, poi, decidere in modo autonomo. Invece, occorrerebbe coltivare la logica del dibattito, del confronto delle opinioni e delle idee; non per raggiungere un compromesso «politico», ma piuttosto per scoprire insieme «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7).
La franchezza nel parlare (parresia). La sincera presentazione del proprio pensiero sia nelle relazioni personali che nelle circostanze comunitarie appartiene a un tratto essenziale del credente in Cristo, intimamente convinto di essere stato salvato gratuitamente da Cristo. È un parlare aperto tra fratelli di fede nel Signore Gesù, che insieme si sostengono nell’impegno di fedeltà al vangelo. A questo atteggiamento risultano estranei, contrari e sicuramente da deplorare modi di fare, quali: l’ipocrisia, la simulazione dei sentimenti e delle intenzioni, l’ambiguità, il conformismo.
Osservazione conclusiva
Al termine di queste considerazioni mi pare inevitabile domandarsi: che cosa cambia nella vita ecclesiale con l’assunzione a tutto campo della prospettiva della Chiesa tutta sinodale? Cambia la condizione regolatrice delle dinamiche interne alla vita delle comunità cristiane (parrocchie, diocesi, ecc.). Si passa dall’azione unidirezionale discendente del vertice verso la comunità, con qualche integrazione secondaria di carattere partecipativo dei fedeli laici (il gregge), alla circolarità di interazione bidirezionale, volta alla «edificazione della comunità» con la partecipazione e il coinvolgimento, per quanto possibile di tutti, per articolare la vita ecclesiale in maniera condivisa e partecipata. Gli stessi organismi di partecipazione, comunione, corresponsabilità saranno autentici strumenti al servizio della sinodalità nella misura in cui: «rimangano connessi col “basso” e partano dalla gente, dai problemi di ogni giorno» (Francesco, Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi).