Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore
«Povertà in aumento, inverno demografico, divari fra territori, transizione ecologica e crisi energetica, difesa dei posti di lavoro, migranti, lungaggini burocratiche, riforme dello Stato e della legge elettorale» richiedono dai politici e da tutti «risposte certe e non provvisorie, scelte coraggiose e non opportunismi». «Quella del post-pandemia e del “cammino sinodale” si configura come Chiesa missionaria; si misura con le domande esistenziali: senso della morte, perché il dolore innocente, valore della vita dall’inizio alla fine, gratuità e fragilità».
Si muove tra due baricentri, uno politico-sociale, uno ecclesiale-religioso, la Chiesa italiana interpretata dal cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi nella prolusione alla sessione primaverile del Consiglio permanente CEI con un doveroso ringraziamento a Papa Francesco nel decennale dell’elezione (2013-13 marzo-2023): «Le sue parole e i suoi gesti sono per noi un programma; offrono un linguaggio che avvicina tanti ed è comprensibile a tutti; sono una preziosa indicazione e spingono a intraprendere e continuare il cammino; incidono nella vita delle comunità». Lo dimostrano, fra i tanti, due gesti simbolici: la preghiera del 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta e sferzata dalla pioggia durante la pandemia e il bacio ai piedi dei capi del Sud Sudan chiedendo la pacificazione del Paese. Poi l’impegno per la pace in Ucraina e nei tanti focolai accesi; la denuncia della «globalizzazione dell’indifferenza»; l’attenzione ai disperati costretti a migrare.
«Nessuno si illude che il “cammino sinodale” sia la soluzione a ogni difficoltà»; sarà il tema dell’assemblea Cei di maggio che passerà dalla fase dell’ascolto a quella del discernimento. Il «cammino sinodale educa tutti a uno stile spirituale e pastorale nuovo»; si è data voce a una pluralità di soggetti, che hanno mostrato il valore della fede vissuta come esperienza domestica: «Non bisogna perdere lo slancio». Nella tragedia di Cutro tanti si sono prodigati e «la Chiesa di Crotone ha mostrato un volto di madre». La pandemia è stata la stagione dei «santi della porta accanto». «Non corriamo dietro alla ricerca illusoria e ipocrita di comunità perfette, ma riconosciamo la nostra fragilità e contraddizione». La pandemia – della quale più nessuno parla – «ha toccato nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze; ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine, in particolare dei deboli e dei poveri».
«Siamo vicini a una nuova primavera della Chiesa», nonostante le difficoltà
Per intraprendere e proseguire in questa direzione di marcia «occorre passione, visione profetica, libertà e intelligenza evangelica, generosa responsabilità e gratuità nel servizio». Nonostante «alcune resistenze interne», nel cammino sinodale della Chiesa in Italia «predomina la volontà di dialogo». È il bilancio che ne fa mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario della Cei. «La Chiesa non deve limitarsi a parlare di mondo ma deve ascoltare e far parlare tutti». Il bilancio è positivo, per esempio dal mondo delle carceri – ed è comprensibile – che ha visto «cantieri di dialogo e iniziative di persone che hanno qualcosa da dire alla Chiesa». In tutto si sono espresse oltre 500 mila persone, cifra non eccessiva, se si pensa che l’Italia ha circa 60 milioni di abitanti, di cui l’80-85 per cento si dicono cattolici. E gli echi – è stato chiesto – del Sinodo tedesco, che discute di benedizione delle coppie omosessuali e di abolizione del celibato sacerdotale? Baturi risponde secco: «Non sono temi dominanti». Ora si passa dall’ascolto al discernimento.
La collaborazione della Chiesa nelle migrazioni
I vescovi sono «disponibili a collaborare per allargare gli spazi dei canali legali che permettono di salvaguardare le vite e di togliere ossigeno alle organizzazioni malavitose». La Cei rammenta la tragedia di Cutro, «una ferita aperta: si tratta di persone morte sulle nostre coste. Auspichiamo la concertazione tra gli Stati europei nella gestione di un fenomeno globale che va affrontato in modo concertato». È la chiave di interpretazione (del governo di destra) che è sbagliata: si gestisce l’immigrazione in modo emergenziale e invece è un fenomeno strutturale. La Cei contesta «una politica fatta solo di controllo, ordine pubblico, restrizioni e respingimenti» perché «non coglie il problema la salvezza delle persone. Bisogna soccorrerle, salvarle, integrarle. Una politica globale e lungimirante persegue la libertà di andare o di restare ma in condizioni dignitose».
Sempre più necessari i corridoi umanitari
Limitarsi «a chiudere, controllare e respingere non offre soluzioni di ampio respiro e alimenta irregolarità e illegalità. Servono invece politiche lungimiranti, nazionali ed europee, capaci di governare i flussi attraverso canali legali», cioè vie sicure che evitino i viaggi in mare alla mercè delle onde e degli scafisti e che sottraggano quanti sono costretti a lasciare la propria terra a causa della fame, delle guerre e delle violenze alla disumanità e alla vergogna dei centri di detenzione, veri e propri campi di concentramento in Libia. I corridoi umanitari rappresentano «un meccanismo di solidarietà internazionale e un potente strumento di politica migratoria. Il diritto alla vita va sempre tutelato e il salvataggio in mare costituisce un obbligo per ogni Stato».
Maternità surrogata e figli di coppie omosessuali
«Di cose delicate, che riguardano la vita delle persone, la politica fa motivo di propaganda. Bisogna adottare strumenti per dare dignità alle persone. Se invece si vuole imporre una visione, si rischia di dimenticare la concretezza». Il riconoscimento dei figli di coppie omosessuali non è sovrapponibile alla pratica della maternità surrogata «perché gran parte delle pratiche riguardano coppie eterosessuali». L’«utero in affitto è una pratica inaccettabile perché si mercificano le donne, specie povere, e si trasformano i figli in oggetti di contratto».