Relazione consegnata dall’autore.
Intendo – dal titolo assegnatomi – la città come luogo dove ciascuno – non tutti per la verità – trova un tetto, un riparo, scuola o lavoro, affetti, momenti di vita, relazioni, hobby, opportunità (La Pira). Città come luogo-emblema della convivenza segnata però – soprattutto per i grandi agglomerati metropolitani – da generaleanonimato. (diverso parlare di piccoli paesi, dove la memoria collettiva e le trame delle relazioni hanno ancora un valore identitario).
Ci riferiamo peraltro alla città riconoscendo di essere sempre meno radicati in un luogo fisico (la città appunto). Tra pendolarismo per studio o lavoro, delocalizzazioni, mobilità e viaggi, internet e social media, tra reale e virtuale… diventiamo sempre più RESIDENTI NON ABITANTI di infiniti non-luoghi. I nonluoghi descritti da Marc Augè (antropologo francese, I nonluoghi, 2024), spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli (treni e metropolitane, supermercati, parcheggi, stadi).
Le piazze oggi sono virtuali, gli incontri avvengono spesso on line e sui social, le chiacchiere uozzappate… Siamo al contempo, qui e altrove grazie al digitale. Siamo vicini – in metropolitana – eppure distanti. Così gli spazi fisici tendono a perdere o dilatare i confini: pensiamo solo al profilo della parrocchia, che non a caso è stata definita “liquida”.
Per capire davvero le città, per capire dalla città, occorre “perdersi” nella città. Viverla intensamente. Necessario uscire da casa (uscire dalla chiesa, andare oltre il sagrato). Charles Dickens, cantore della Londra vittoriana, racconta di essersi smarrito da piccolo nella City londinese: così comincia ad apprezzare e amare la città. Il Renzo dei Promessi sposi apprende grandi lezioni di vita dopo essersi immerso, fra tante peripezie, nella Milano della peste, per lui città “straniera”.
La stessa Milano è oggi segnata, sul piano urbanistico, da nuovi quartieri pensati e costruiti per essere frequentati solo alcune ore al giorno (quartieri degli orari “feriali”), per il resto svuotati di gente, di vita. Diventando periferie silenziose, “a tempo”, “di lusso”.
Peraltro dentro la città ritroviamo – se non siamo totalmente distratti – biografie, anziani e giovani, famiglie italiane e d’origine straniera, povertà e poveri… Consumi e ricchezze. Storie, volti, ciascuno diverso dall’altro, ABITANTI DI CITTÀ DIVERSE DENTRO LA MEDESIMA CITTÀ.
In questa direzione si comprende anche che la città – la convivenza forzosa – può generare sospetto, persino paura (si invocano – magari sollecitati da chi vuol trarre vantaggio dai timori diffusi – maggior sicurezza, forze dell’ordine, telecamere). È quello che Alessandro Zaccuri, trattando della città, ha definito “il rischio dell’altro” (con la minuscola). Il senso della socialità.
Due sottolineature:
– oggi attraversa i comportamenti sociali il definire chi fa parte – e chi è escluso a prescindere – dalla comunità, dalla città (stranieri, poveri, anziani… e domani chi altri?)
– considerare la città come l’insieme di minoranze frammentate, la città delle tribù (dualismi: centro/periferia; cittadini/stranieri; giovani/vecchi; destra/sinistra….). Città – coi loro ritmi serrati [il fattore tempo], le nuove cattedrali del consumismo, gli spazi dell’anonimato [mobilità, sradicamento] rappresentano anche il progressivo affermarsi del secolarismo, “l’ipotesi di un modello di esistenza e di convivenza tessuto a prescindere da Dio” [Caimi, Dio vive nella città, p. 82]
Ecco dunque che emerge – provando a imparare dalla città – una triplice
esigenza, più forte oggi che in passato:
– riqualificare spazi, che siano anche simboli di identità (Bressan)
– rigenerare vite e relazioni nel segno della prossimità
– rimodulare e rafforzare (ricostruire) le comunità
La vera sfida è quella di RICOSTRUIRE IL SENSO DI COMUNITA’. Qui verifichiamo la necessità di compiere passi nella direzione comunitaria che chiamano in causa una pluralità di soggetti e di attività e di linguaggi: la famiglia, la scuola, le imprese e il lavoro, la politica, le comunità di fede, l’associazionismo, la cultura, l’arte, lo sport.
Andare incontro alla città (e a coloro che vi vivono) è anche l’insegnamento che, con sottolineature differenti, attraversa parte del magistero degli Arcivescovi di Milano. Card. Martini: “Alzati e va a Ninive”, “Benedetta e maledetta città” (cattedra dei non credenti 1995); “Dare un’anima alla città”; riflessioni sul passaggio dal contagio al meticciato del card. Scola; Mons. Delpini, “Tocca a noi tutti insieme” (discorso alla città) e le Sette lettere dopo la visita pastorale al capoluogo ambrosiano (La città dei flussi, quella delle ferite, la città della
ricchezza e quella della disperazione, la città della solidarietà e quella della solitudine, fino a quella del pensiero) PER I CRISTIANI – Sul piano del “metodo” un insegnamento viene dalla
A Diogneto, dove si legge che i cristiani “non abitano mai città loro proprie. […] Sono sparpagliati nelle città greche e barbare. […] Nella loro maniera di vivere manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale”. “Ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono del mondo”, cioè nella concreta trama della vita sociale e civile;
ossia della città. Il senso della testimonianza cristiana: il vangelo per le strade delle città.
Per rigenerare città e ridare vita a quartieri e periferie, per ripartire dalle
città sembrano dunque dischiudersi nuove sfide e opportunità: sociali, culturali, ma anche spirituali e pastorali:
– l’impegno a interpretare il “cambiamento d’epoca” che spesso si manifesta con anticipo nelle città (osservare le città di altri Paesi, che anticipano i nostri prossimi cambiamenti); per interpretare occorre prendere sul serio la forza oggi rivoluzionaria del pensare (conoscere, dialogare, discernere e decidere di conseguenza)
– la fatica di tessere le relazioni; si tratta di “unire le differenze” per realizzare una città inclusiva e pacifica
– la vocazione a coltivare forme generose ed esemplari di solidarietà (l’evangelico “farsi prossimo”)
– la capacità di immaginare un orizzonte e dunque un progetto comune tra le diverse “anime” che abitano la città (il compito degli studiosi, dei media, della politica); la ricerca paziente e generativa di soluzioni concrete, mediate e condivise
– per i credenti: mettere in campo una immaginazione creativa per intravvedere e poi contribuire a edificare la città dell’uomo a misura d’uomo, secondo il disegno di Dio. [oasi di spiritualità, oasi di pensiero – proposta di fede al di fuori dei tradizionali spazi del sacro; missione nel quotidiano; via crucis in Gae Aulenti; Adoro il Lunedì al Fatebenefratelli].
A partire da quel necessario passaggio, da tutti invocato, dall’IO al NOI, che richiede però, e dapprima, di RICONOSCERE IL TU della persona che sta davanti a me, la sua singolare dignità, i suoi diritti, pari ai miei.
È il tentativo, generoso e umile, di contrastare l’INDIVIDUALISMO, che è il vero peccato originale, causa dei mali che riscontriamo all’interno delle famiglie, delle realtà sociali, della POLIS Così si può provare a dare volto e voce a quel “Fratelli tutti” – nelle relazioni brevi di una città, negli spazi senza confini dell’universalismo evangelico – cui ci richiama Papa Francesco.
Papa Francesco, Dio nella città:
«Dio vive nella città e la Chiesa vive nella città. La missione non si oppone al dover imparare dalla città – dalle sue culture e dai suoi cambiamenti – proprio mentre usciamo a predicarle il Vangelo. Questo è anzi frutto del Vangelo stesso, che interagisce con il campo in cui cade come semente. Non è solo la città moderna ad essere una sfida, ma lo sono state, lo sono e lo saranno ogni città, ogni cultura, ogni mentalità e ogni cuore umano».