Domenico Sigalini, presidente del COP
Tre sono le parole che vanno coniugate a riguardo della sessualità: sesso, erotismo e amore. Chiamiamo sesso tutto ciò che nella vita dell’uomo è impiantato per la riproduzione della specie, non è un prodotto culturale, ma naturale. Ha sue regole, la sua energia, la sua disponibilità molto superiore a quanto è necessario per la riproduzione. La natura non può correre rischi e non essere prodiga rispetto a questo compito. L’erotismo è il piacere collegato alla esperienza della riproduzione, e la natura ha spinto l’ingegno umano a inventarlo; dà all’atto sessuale un valore aggiunto, al di là e al di fuori della sua funzione riproduttiva. È collegato strettamente alla funzione riproduttiva, che è condizione indispensabile per il suo esistere, ma se ne distingue. L’amore è la scelta di dono e di significato, di comprensione e di trasformazione, di vocazione e di motivazione che governa e il sesso e l’erotismo. È una sorta di sovrastruttura emotiva e intellettuale, che investe il sesso di numerosi nuovi significati. La storia del sesso è l’eterna lotta tra queste tre realtà, che tendono a prevalere o a scomparire a seconda della cultura, del potere, delle filosofie.
Oggi la novità senza precedenti è che l’erotismo reclama la sua assoluta indipendenza dal sesso e dall’amore, dalla funzione riproduttiva e dal significato della decisione in cui si colloca. È unica e sufficiente ragione e scopo di sé stesso. La libertà di cercare il piacere sessuale fine a sé stesso, senza condizioni, senza legami o briglie, libero di contrarre e sciogliere qualsiasi rapporto di convenienza, è assurta a livello di norma culturale. A questo punto, interviene il livello commerciale a fare la sua parte, ma lo scardinamento è avvenuto prima. Non è sufficiente scagliarsi contro l’uso commerciale dell’erotismo. Esso ha fatto e fa fortuna perché ha sfruttato senza scrupoli risorse già disponibili. È nella cultura dei significati e della loro unità dove dovrà essere riportata la corretta composizione della sfera sessuale della vita.
Conseguenza per il mondo giovanile: si passa dal modello di uomo che è stato quello di sana costituzione a quello di uomo sempre in «forma fisica». Il primo aveva una sua stabilità, il secondo crea continuamente ansia. Si deve motivare che significa essere antropologicamente maschio e femmina, omosessualità ed eterosessualità, nasce una necessità di comporre in sintesi nuove di significato la vita concreta delle relazioni… «L’aspetto sessuale dell’identità non è dato una volta per tutte, ma deve essere scelto e può essere scartato quando è ritenuto insoddisfacente. È un aspetto indeterminato, incompleto, suscettibile di cambiamento e quindi fonte inesauribile di ansie e di paure che il potenziale piacere del corpo non sia stato spremuto fino all’ultima goccia».[1]
Diventa obbligatorio pensare che ogni esperienza affettiva deve essere assolutamente legata alla sua espressione genitale, non solo sessuale. La prima preoccupazione di un legame affettivo soprattutto nella mentalità dell’adulto è quella della conclusione, del punto di arrivo. La conclusione non può essere che materiale, genitale, corporea, tanto che non permette nemmeno ai sentimenti di vivere la loro lenta ma necessaria evoluzione, pena il creare l’infelicità. Di fronte a tutto questo, i giovani hanno una ribellione evidente; infatti, oggi si rendono conto che tutta la felicità promessa nella vita sessuale precoce è solo una sofferenza che scatta a orologeria e ha messo in atto una forma di difesa che è fatta dal ritorno a sentimenti tenui, al guardarsi negli occhi, a una sorta di manifesto controcorrente. Nel campo della affettività i giovani oggi vivono una sessualità senza tabù, ma con molte paure.
Il giovane spera ancora che nei suoi comportamenti sessuali, che a noi sembrano senza regola, si possa trovare risposta alla solitudine, alla voglia di amare, alla sete di compagnia, di dialogo. Si assiste oggi a uno spostamento dal genitale all’affettivo. È la necessità di affetto, di sentirsi di qualcuno, di avere una compagnia per affrontare la vita, di sentirsi accolto, coccolato, amato.
L’adolescenza e l’inizio delle complicazioni e delle paure
Nel tempo dell’adolescenza cominciano le paure e le complicazioni, perché la virtualità non aiuta a costruire relazioni positive. La simulazione è un nuovo modo di provare a esserci, è provare con le immagini, con il virtuale, con la musica, i suoni, con l’interazione tra le fiction inventate ciò che vorresti fosse la realtà; metti quasi alla prova virtualmente le tue emozioni, le tue capacità, le tue paure, i tuoi progetti, i tuoi desideri, le tue idee. Queste prove di tipo virtuale sostituiscono o allentano la percezione che è necessario un tirocinio di preparazione, una personalizzazione concreta e una interiorizzazione dei dati in termini vitali e non immaginari. Se devo iniziare una esperienza di impegno anche di carattere affettivo, la prima preoccupazione non è di buttarsi nella mischia e rischiare, ma di farne le prove virtuali. Questo rischia di sostituire l’allenamento dei sentimenti e dei comportamenti, che non sono virtuali; appanna l’importanza del confronto a tu per tu con l’altro, che non è oggetto delle tue manipolazioni. Provo le mie capacità, i miei sentimenti con una Playstation o con una pagina web di intelligenza artificiale, con una canzone, con una e-mail o con una relazione viva con l’altro? Mille telefonate e messaggi WhatsApp non valgono una stretta di mano, uno sguardo in diretta, una carezza, un bacio. Hanno bisogno di occasioni per mettere in scena le loro situazioni, hanno bisogno di qualcuno che simpatizzi col loro bisogno d’amore e interpreti l’amore frustrato, il loro bisogno di essere accettato e la loro paura di rischiare il rifiuto.
Se questa è la percezione di sé che hanno gli adolescenti e dei rapporti che vivono, hanno soprattutto il bisogno di vincere la disperazione a cui sono destinati senza la considerazione, il rispetto e l’amore che li dovrebbe circondare, piuttosto che di enunciazioni astratte e intellettuali. Da qui entra immancabilmente una percezione positiva di sé, una fiducia nella vita e tutti quei valori che stanno alla base della costruzione di una propria identità positiva. Con i genitori hanno un rapporto spesso insignificante e talora impossibilitato a svilupparsi, anche perché tende a diventare una sorta di sequestro biologico o di assenza completa. La comunità cristiana al riguardo può offrire, ad esempio con la vita associativa, con tessuti di relazione custoditi e aiutati a crescere, con tirocini di generosità e di apertura al mondo degli altri, alcuni ponti indispensabili: un ponte tra l’affettività e l’amore, tra il virtuale e il reale, tra l’innamoramento e l’amore. In questo tempo, i rapporti tra ragazzi e ragazze non si possono più dire di sola amicizia, ma non ancora di scelta di coppia più o meno fissa o orientata da un progetto di crescita. È una fase delicata perché molto spontanea, libera, in continua trasformazione e scoperta di nuove capacità di relazione. L’adolescente oscilla tra la compagnia degli amici o delle amiche e momenti di isolamento con la sua ragazza/o; talvolta è amore fino all’infatuazione, talaltra è solo una prova di superiorità nei confronti degli amici e delle amiche. Si direbbe che si impari ad amare per tentativi e prove. È il periodo dei sogni, degli approcci impacciati o grossolani, che tradiscono ugualmente la difficoltà di relazione. È il tempo delle grandi narrazioni sui diari, delle lettere, dei bigliettini, delle spedizioni al cavalcavia per scrivere in caratteri cubitali l’amore eterno. È il periodo in cui la fine di una amicizia di questo tipo risuona come alto tradimento, delusione, sfiducia nella vita, crisi esistenziale «da prendere di corsa la finestra». Nessuno si sogna di chiamare vita di coppia o fidanzamento tutto questo, ma non si può nemmeno pensare che siano cose che passano, che non lasciano traccia, che non comincino a scrivere la meravigliosa storia di un dono o purtroppo di una vita autocentrata. Non si può vivere una deresponsabilizzazione nei confronti di sé, della chiesa, della società per cui si vive in una situazione intermedia a svantaggio sia dell’amicizia che della vita di coppia se diventa stabile. Non può essere lasciata in balia del caso, della mentalità permissiva o edonista.
Che cosa può fare la famiglia in queste situazioni? Deve limitarsi a controllare, a distrarre, a dire: «ti passerà»? Che cosa mette a disposizione la comunità cristiana nei suoi progetti educativi per questi giovani, perché non si trovino di fronte a scelte obbligate che non hanno mai voluto o in situazioni definitive della vita senza averle valutate e scelte? Come può veramente crescere l’amore vero entro questo cumulo di alti e bassi, di esperienze purissime e talvolta non troppo ortodosse? È possibile aiutare i giovani a vedere un progetto di vita, una vocazione che lentamente si dipana? offrire loro punti di appoggio, guide, percorsi formativi che li aiutino a vivere con gioia questa stagione, a valutare la castità come tirocinio di crescita nella capacità di dono?
[1] Z. Bauman, La società individualizzata, il Mulino, Bologna 2002 p. 289.