La pandemia aveva appena esaurito la sua stagione più aggressiva ed erano ancora molto pesanti le sue conseguenze emotive, relazionali ed economiche, quando, l’11 febbraio 2022, il Papa scrive a Mons. Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, la lettera che annuncia il tema del giubileo ordinario del 2025. Il motto indicato, pellegrini di speranza, evoca pratiche giubilari tipiche (il pellegrinaggio) e insieme anticipa anche il tema dell’anno santo. Si possono facilmente intuire le ragioni che hanno portato alla scelta della speranza come dimensione alla quale dedicarsi: dopo l’anno della fede celebrato da Benedetto XVI (2012/2013) ed il giubileo della misericordia (2015/2016) su iniziativa di un appena eletto Francesco, per completare la terna delle virtù teologali, restava la speranza. Evidentemente, però, più che per volontà sistematica, si tratta qui di un’urgenza percepita e condivisa.

La pandemia: una lezione inutile?

«Un moscerino ha bloccato la macchina del mondo. Non quindi una bomba atomica, come si sarebbe potuto temere qualche decennio fa (e si potrebbe temere d’altronde anche ora). Eppure, gli effetti sono paragonabili»: così in una meditazione straordinaria e lirica, il teologo e poeta francese François Cassingena-Trévedy ha descritto la pandemia. Si ferma tutto, o quasi. La produzione industriale, la socialità, la scuola, le liturgie religiose, gli spettacoli e lo sport. Anche quando si riprende, si devono osservare innaturali e rigide regole di distanziamento sociale: il contatto è proibito, radunarsi è pericoloso. In termini sociologici si sostiene che questo traumatico evento mondiale abbia fatto da acceleratore del fenomeno già in atto della secolarizzazione. Se qualcosa è rimasto, come indica la lettera del papa, è la percezione che l’uomo è essere fragile, che sa reagire al male in forma solidale se lo vuole, ma che può anche potentemente cadere vittima dello scoraggiamento. Di qui, forse, la decisione di porre al centro la speranza.

Vivere è sperare

«Tutti sperano», scrive Francesco all’inizio della Bolla Spes non confundit (SNC). Tutti sperano, ma i cristiani e l’umanità in generale sembrano in debito proprio di ragioni per sperare, tentati da scetticismo e pessimismo, cioè dal pensare che nulla potrà offrirci felicità. Il papa indica allora il giubileo come un’occasione opportuna proprio perché la speranza, che è desiderio e attesa del bene, non si dà solo quando tutto va bene. L’annuncio di salvezza consiste nel confermare questa originarietà della speranza e nel far risuonare la Parola: «la speranza non delude» (Rm 5,5)! Il fondamento dello sperare cristiano, infatti, è nell’azione di Dio che non ha posto condizioni alla nostra salvezza e la rinnova: la speranza si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità (SNC 5).

Accelerazione o pazienza? Il Dio che insegna il riposo

Sperare si manifesta subito come atto di resistenza al male, che Francesco legge nella forma delicata della virtù di pazienza. Si tratta di una forma di speranza particolare rispetto al nostro contesto sociologico. Il mondo dei consumi, infatti, vive 24/7 e accelera il suo tempo, vorrebbe tradurre ogni atto nelle categorie del tutto e subito, vive in fretta e mette in fuga la calma, ricevendo in cambio nervosismo, violenza gratuita, insoddisfazione e chiusura.

La speranza esiste solo come azione

Immaginare il Giubileo come una pratica di speranza che sottragga gli individui alla sfiducia si concretizza per il papa nei seguenti segni di speranza:

  1. Il sogno della pace
  2. Il desiderio di fecondità
  3. La volontà di reinserire chi si è perso,
  4. Il risvegliare gratitudine con una cultura di prossimità agli ammalati.
  5. L’aiutare l’entusiasmo dei ragazzi,
  6. Il permesso di un futuro migliore aperto a esuli, profughi e rifugiati.
  7. I sogni degli anziani
  8. Le enormi risorse del mondo ridistribuite per dar speranza ai miliardi di poveri,

La chiesa è chiamata a un atto di fede molto esplicito e non è tratta fuori dal mondo ma profondamente inserita nella storia degli uomini.

La sfida pastorale

Perché la pastorale nell’anno giubilare non si risolva nel preparare e organizzare pellegrinaggi a Roma, occorre entrare solidamente nella sfida. Indicherei almeno quattro dimensioni che mi sembrano utili:

  • Procurare e curare occasioni di catechesi tematica.
  • Discernere alcune opere giubilari concrete, a partire dagli otto segni di speranza indicati da SNC
  • Tentare un rinnovamento delle pratiche rituali.
  • Coraggiosamente vivere la preparazione, lo svolgimento e la cura del pellegrinaggio a Roma.

Predicare la speranza

La bolla di indizione del giubileo indica chiaramente la Lettera ai Romani come testo sorgivo per l’annuncio. Come spesso fa il magistero, la proposta non limita al testo adottato ma inizia una riflessione che facilmente si può ampliare. Il tema della speranza è capace di diventare un primo annuncio e una rilettura esistenziale molto preziosa.

Un discernimento sinodale: quale segno di speranza poniamo noi?

Le comunità possono poi essere sollecitate dalla lettura comune e approfondita dei numeri 7-15 di Spes non confudit. Sarebbe importante far tesoro del maturare odierno della sensibilità al metodo sinodale di conduzione della pastorale. Il metodo della conversazione spirituale adottato durante il sinodo dei vescovi del 2023 si offre come molto adeguato. Dopo aver letto personalmente o insieme il testo e precisato molto bene la questione offerta al discernimento, va formulata con molta chiarezza una domanda (che può essere ad esempio: «Quale segno di speranza lo Spirito chiede di scegliere a noi nel nostro territorio come comunità cristiana?»).

Celebrare il cambiamento

Proprio del giubileo è l’aiuto alla pratica della virtù di penitenza. Nelle comunità ci si interrogherà sul modo in cui è proposto e vissuto il sacramento della penitenza. In merito, celebrazioni penitenziali comunitarie, pur non secondo la III forma prevista dal rituale con l’assoluzione ma non ritenuta opportuna in contesto italiano, possono realmente aiutare in modo sinergico la riscoperta del rito secondo la I forma, quella individuale. La disponibilità all’ascolto è davvero un atto di misericordia e servizio costoso e delicato da parte dei ministri ordinati: lo facciamo abbastanza e in luoghi e momenti in cui è utile alla comunità?

Roma

A differenza del giubileo straordinario del 2015/2016 non sono previsti, per questa edizione, luoghi di pellegrinaggio giubilare nelle chiese locali: il ruolo della città di Roma torna nella sua unicità simbolica. Le tante occasioni di pellegrinaggio a Roma vanno certamente valutate, preparate e poi vissute con attenzione. Il pellegrinaggio tocca una delle dimensioni proprie della fede ebraico-cristiana, nella sua identità di cammino, valorizzando la fatica del corpo che cammina. Come espressamente indicato in SNC in Roma sono previsti percorsi di spostamento a piedi, di ingressi nei luoghi nevralgici della memoria e del culto, le porte giubilari e i riti ad esse connessi.

Conclusione

L’occasione e il tema del giubileo si prestano con grande profondità al lavoro pastorale delle nostre comunità, per rinnovare il senso della loro presenza, forse più sobria e finalmente umile, nel territorio.

Marco Gallo – docente di sacramentaria e liturgia a Fossano (ISSR), Torino (Università salesiana) e Parigi (Institut Catholique); direttore della Rivista di Pastorale liturgica (Queriniana)

Estratto dell’articolo in Orientamenti Pastorali n. 11/2024 (di prossima pubblicazione), EDB. Tutti i diritti riservati.