Il nostro percorso di aggiornamento, il 66esimo, si colloca volutamente e doverosamente nell’anno giubilare della misericordia e nell’accoglienza decisa del lavoro del convegno di Firenze, che, a partire dalle parole di papa Francesco, deve essere assunto come prospettiva pastorale per la chiesa italiana. Abbiamo percepito come la sinodalità così ben vissuta nei due sinodi sulla famiglia e saggiamente portata a compimento nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia sta diventando una esperienza decisiva per un nuovo volto della chiesa ai tempi di papa Francesco. La tematica della riconciliazione e della misericordia declinata nella vita, nelle strutture, nelle relazioni interne ed esterne della comunità cristiana, nei suoi rapporti con il mondo, nella sua forza evangelizzatrice ci pare la cifra del nostro aggiornamento e ci ha portato a sognare una chiesa i cui tratti essenziali qui vogliamo offrire, descrivere e aiutare a diventare prassi concreta.
Dalla riconciliazione alla conversione, all’evangelizzazione, alla riforma
- La riconciliazione è un dono grande e un’opera di Dio in Gesù Cristo, che diventa conversione della persona che nell’intimo della sua coscienza accoglie in se e nel proprio operare l’energia sanante di questo grande dono.
- Ai discepoli di Gesù, ad ogni battezzato è affidato il ministero della riconciliazione, e cioè un servizio concreto a tutti gli uomini perchè possano godere di questo grande dono di Dio, che, se è vissuto in se stessi come processo continuo di cambiamento di mentalità, non può non diventare luce e forza di evangelizzazione.
- Questo confrontarsi con Gesù, cambiare vita secondo il vangelo ci obbliga a ripensare gli schemi mentali, i linguaggi, l’impostazione delle relazioni con le istituzioni civili, il modo di presentarci in pubblico, immaginando davanti a noi il mondo dei non credenti e non una ipotetica societas cristiana.
- La prospettiva è quella della Gaudium et spes 76 secondo cui gli strumenti utili al vangelo “differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre” e la chiesa“non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza … è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, … E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni”.
Da questa conversione, che riguarda il cammino di santità della persona e dal necessario cambiamento di mentalità, che riguarda la visione di mondo e di missione della chiesa in esso, emerge la assoluta necessità della riforma che riguarda procedure, ordinamenti e prassi delle istituzioni ecclesiastiche. “Se ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore, nessuno può negare la necessità della loro riforma, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione nel mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie” (EG 27). Da qui non si può non vedere che accanto agli approfondimenti teologici, deve esserci anche un aggiornamento del codice di diritto canonico, che è rimasto molto indietro rispetto alle definizioni e decisioni conciliari. Il codice non regola affatto i rapporti ad extra della chiesa. C’è un lessico pure da cambiare: non si può parlare di palazzi “apostolici”, di “sudditi” riguardo alla fede, di “delitto”, se un battezzato abbandona la fede.
Le strutture di partecipazione della chiesa sono luoghi di riconciliazione
Già il convegno di Firenze ci ha indicato come la partecipazione agli organismi di comunione deve essere rinnovata e vivificata attraverso: preparazione, fatta di riflessione e di preghiera; l’ascolto con regole, tempi e contesti che lo facilitano; la progettazione stile “papa Francesco”, cioè nella concretezza dei gesti e delle verifiche puntuali di essa.
La categoria di riconciliazione è utile anche perché ci permette di parlare di conflitto, non c’è perdono o riconciliazione se non c’è una pace da fare, e non c’è pace da fare se non c’è da superare un conflitto. Dobbiamo accettare i nostri conflitti, le tensioni, i punti di vista diversi e talvolta opposti anche nella Chiesa. Fare finta che non ci siano, magari anche camuffando questi tentativi di rimozione con un’aurea di spiritualità, non è un buon servizio al Vangelo perché non manifesta un sano rapporto con la realtà; un conflitto ben gestito può diventare una occasione di crescita, di ripartenza, di riconciliazione (cfr EG 227).
Le riconciliazioni più urgenti seguono ai conflitti più frequenti che riguardano:
Riconciliazione con la tradizione sinodale della chiesa
L’uguaglianza di tutti i membri della comunità è sempre stato un principio fondamentale della fede cristiana e della tradizione. Non si mettono in discussione la costituzione gerarchica della Chiesa, le differenze di ministeri e compiti all’interno della comunità e l’autorità dei pastori, ma si richiede che questa autorità sia esercitata in accordo con la comunità, in maniera sinodale, con la partecipazione di tutti ai processi decisionali.
Riconciliazione con la modernità
Due principi hanno guidato la formazione delle strutture della chiesa primitiva e possono essere ancora oggi da guida per lo sviluppo:
Il principio ecclesiale che significa che le strutture ecclesiali sono subordinate alla missione della chiesa, come da tempo ci dice papa Francesco (cfr EG 27)
Il principio contestuale, cioè l’attenzione ad alcuni elementi della società in cui la Chiesa vive che possono essere inclusi nelle sue strutture e aiutarle a svilupparsi.
Oggi il nostro contesto offre modelli di partecipazione attiva e dal basso e modelli organizzativi che interrogano le nostre strutture ecclesiali, perché sembra che il processo di integrazione dei modelli organizzativi del contesto, in cui la Chiesa vive, si sia fermato con la modernità.
Riconciliazione tra le membra del Corpo che è la Chiesa
Sappiamo tutti quanto è ancora diffusa la distinzione dei due generi di cristiani: i laici e il clero, anche se superata dal Concilio Ecumenico Vat. II. Luoghi per attuare questa riconciliazione e verificarla possono essere le strutture di partecipazione ecclesiale, perché è attraverso un coinvolgimento sempre più responsabile dei laici nei processi decisionali che si dà espressione alla fondamentale uguaglianza di tutti i membri della Chiesa. La comunità ecclesiale è il luogo dove tutti possono affrontare i problemi, discuterne e tentare di risolverli, sempre “con il concorso di tutti” (AA 10). Lo stile di guida della parrocchia deve assumere una forma aperta alla partecipazione di tutti, favorendo la libertà di esprimere il proprio pensiero e alimentando la convinzione di essere ascoltati.
Una scala di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica: è data da: informazione, consultazione, dialogo, decisione comune, autonomia di tutti nell’assumere responsabilità e prendere decisioni in proprio. Noi con la consultività pura e semplice, che c’è in ogni consiglio pastorale, siamo solo al terzo scalino: il dialogo. C’è ancora un po’ di cammino da fare, senza sconvolgere la responsabilità del presbitero, ma maturando come chiesa che evangelizza e aumenta la sua credibilità di testimonianza.
La riconciliazione della chiesa con il mondo
- Una prima riconciliazione di base è assolutamente l’andare oltre il dualismo sacro-profano.
Siamo ancora fermi a definire: luoghi, parole, persone, riti e tempi che rappresentano la presenza di Dio (sacro) e a credere irrilevante religiosamente tutto il resto (profano). L’unica profanità è il peccato. Se c’è qualcosa di assolutamente profano, nel senso superato del termine, che ha il massimo di presenza di Dio è proprio l’annunciazione dell’angelo a Maria: non avviene a Gerusalemme o nel Tempio, Maria non è della casta sacerdotale; Gesù è assolutamente laico, i primi adoratori sono la feccia del popolo…Siamo ancora fermi a riprodurre questo dualismo nella pastorale; i laici che lavorano nella parrocchia sono laici impegnati, gli altri che testimoniano nel mondo, nel lavoro, nella famiglia non sono tra gli impegnati.
- Affermare concretamente il primato delle domande sulle risposte, quindi dell’ascolto. Certo che c’è la verità, ma è sempre da cercare.
- C’è un secondo annuncio da fare, un annuncio che si offre a un mondo post-cristiano che parte dall’esperienza concreta di persone che hanno già incontrato il vangelo, ma non sono in grado di riconoscerlo nella propria vita, è un annuncio che guarda alle pratiche che già ci sono, nella convinzione che la vita delle persone è un codice cifrato per leggere il vangelo, che già vi abita.
- Occorre ascoltare il grido che esprime la vita come appello rivolto all’altro, il grido che cerca nella solitudine, che aspira a Dio senza conoscerlo né nominarlo, ma di cui sente la mancanza e il vuoto.
- E’ proposta di felicità, di bellezza, di leggerezza, di armonia. E’ stima della ricerca faticosa che l’umanità fa, senza voler battezzare tutto come cristiano, ma incamminarsi con tutti, come compagni di viaggio che vanno verso una sola meta.
- Un annuncio che “non è ossessionato dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere, un annuncio che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, che si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa.(EG36).
- Fa parte di una riconciliazione col mondo di oggi diventato plurireligioso e obbligato a rapportarsi con le religioni monoteiste. La misericordia di Dio si specchia nella misericordia del Corano, dove si può contemplare l’assoluta misericordia impersonificata in Allah.
Sognare una chiesa che…
A conclusione ci siamo dedicati a sognare, sapendo che c’è una storia dietro a noi di sogni fatti, descritti, tramontati, quasi a dirci che non val la pena di sognare. Ma, se sognare è creare uno spazio antropologico che mi permette di comunicare e far convergere i miei valori più profondi, la fatiche della profezia, le pulsioni del cuore, val la pena di non stancarci mai di sognare.
Oggetto del nostro sogno è la chiesa, ma proprio per la nostra tradizione del COP, non possiamo non partire o transitare per la chiesa in un territorio, cioè la parrocchia. Allora ci domandiamo: la civiltà parrocchiale è finita? questa presenza capillare, sinergica e simbiotica con la gente è alla fine? Stiamo proprio scambiando il legame assolutamente necessario con la vita reale con una serie di sportelli e di servizi? I nostri preti sono ancora impegnati e capaci di custodire i legami da cui è fatta ogni bella esperienza di chiesa nel territorio?
Il futuro della parrocchia: avviare processi
Abbiamo una storia che ci precede, fatta di progetti, di revisioni, di tentativi alcuni riusciti, altri fermati già all’inizio; abbiamo lavorato con semplicità e con tenacia a rendere praticabile e popolare il Concilio. Ci resta ancora molto da fare.
Il futuro della parrocchia sta nella qualità del legame che si stabilisce tra le persone e il prete, tra le persone che abitano il territorio, tra le persone e gli abitanti occasionali. Si può assolutamente riprendere la cura animarum come vigilanza su di se, sull’altro,sul regno di Dio nel mondo.
Non c’è nessuno oggi disposto a dare definizioni o strade perfette di reinvenzione della forma canonica di una comunità cristiana, ma si possono avviare processi come spesso ci insegna papa Francesco:
- sognare metafore che allargano l’orizzonte; non muri, ma ponti che collegano e tolgono dall’isolamento, che è sempre tentazione pericolosa per ciascuno
- abitare alcuni spazi antropologici che ci si parano necessari e evidenti davanti agli occhi: i poveri, le metropoli, le periferie, i luoghi di pensiero, di provocazione, di coinvolgimento non settario.. contro finanze, pensiero unico, cultura consumistica, adattamento al ribasso che provoca assenza di rappresentazioni, che non permettono più ai molti di individuare la stessa comunità cristiana
- presenza di testimoni, operatori di misericordia, doni di riconciliazione, solidarietà a tutto campo, accoglienza naturale di famiglie aperte e disponibili a giocarsi modi diversi di vivere assieme fuori dai loculi dei condomini
- creare rappresentazioni nuove reinterpretando le vecchie che sono patrimonio di generazioni ancora attive. Si tratta di rappresentazioni di luoghi, di chiese, di oratori, di spazi di comunione, di esperienze caratteristiche come: luoghi popolati da ragazzi seguiti con passione da giovani (grest, campiscuola), esperienze aggregative aperte (associazioni, movimenti, nuove comunità evangelizzatrici), apertura alle missioni ad gentes, solidarietà di famiglie con gli immigrati…
Che prete serve per tutto questo? Un prete che:
Crea continui legami con la gente; vive la fede come fondamento integrante del suo essere; culturalmente maturo, abile nel rammendo, nella paziente ricostruzione delle realtà; capace di spiegare le ragioni della sua fede in ogni contesto; povero per virtù; legato nella sua vita alla vita delle famiglie.