Citando Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, ma è qualcosa che viviamo tutti i giorni … ». Non si tratta di una visione cupa della realtà ma di un monito a non lasciarsi anestetizzare dal negativo, non far finta che non c’è ed entrare nell’azione, elaborare cioè la contraddizione.

Ci sono città e città e quartieri e quartieri.

Nell’analisi non possono essere tralasciati due concetti:
– Eterotopia: coesistenza di parti che non c’entrano uno più niente con l’alta. Così, il vivere nella stessa città rischia di entrare in crisi.
– Astrazione: operazione cognitiva che ci consente di prendere le distanze dalla realtà, ed analizzarla sezionandola. Ne parlava già Guardini evidenziando astrazione e disgregazione della vita.
Siamo atomi messi nella condizione di essere separati da tutto il resto, sempre più disabituati a sopportare la “pesantezza” delle relazioni. L’individualismo è figlio di questa questione; le relazioni, tratto fondamentale dell’umano, cambiano forma fino a degenerare nel patologico. Le relazioni devono essere “generative” – promozioni dell’altro, non estrattive, maligne, cioè sterile.

Coma la Chiesa si colloca in questo contesto, in questo tempo così dissonante? Quale discernimento e azione pastorale che da sapore?
Bisogna mettere al centro la parola “concretezza”, ovvero riprendere l’idea che “tutto è connesso”, che le diverse dimensioni della vita non si possono spacchettare, da quella locale a quella universale; concretezza è capire come entrare in interazione con le persone rispettandone lo “status”.

Le due attenzioni da considerare come Chiesa. In una città bisogna presidiare la questione del “mistero”, base di ciò che fonda la religione; una “porta aperta” realizzata da parrocchie insieme, capace di parlare dell’oltre a tutti e che non tralascia la cura del rito. Altro luogo da presidiare è il luogo dell’esclusione, dello scarto.