Tre le paure che segnano le comunità: tradizionalismo, ecclesiocentrismo, clericalismo.
Tradizionalismo: la paura di affrontare con fiducia il presente, paura del futuro, ma che non è un ignoto avvenire ma la realtà del Regno di Dio che ci viene incontro e richiamando una conversione pastorale. Chi è prigioniero elimina la dimensione escatologica.
Ecclesiocentrismo: la paura di dialogare con il mondo, Chiesa cittadella difensiva, paurosa.
Clericalismo: la paura del laicato ovvero di perdere il potere; a risposta di questa paura va ricordato che l’unica autorità è il servizio, e l’unico potere è la croce.
Il Concilio aveva provato a sognare un volto ministeriale e comunionale. Proviamo a rileggere “la carenza del clero” all’interno di questa prospettiva. Occorre superare la prospettiva della vedova di Zarepta – mangeremo l’ultima focaccia, poi moriremo -, ma rovesciare l’approccio: «uscire», già di Paolo VI, ed oggi della Evangelii Gaudium di Francesco (cfr. 49). Una Chiesa con dimensione missionaria… che non è in contrasto con quella comunionale, ma s’intreccia per un equilibrio.
La domanda: “Come far sì che le comunità dove manca la presenza costante del sacerdote (feriale o festiva) siano ancora evangelizzatrici”? Più che ridefinire spazi e ruoli, occorre riavvolgere il nastro e ripartire dal n. 32 della LG, che apriva prospettive nuove. Ecco l’invito di Francesco: “Laici, da collaboratori dei preti a corresponsabili dell’essere e dell’agire e della Chiesa; un laicato maturo”. La corresponsabilità “è qualità propria di tutti i battezzati”, ma occorre ricordare l’asimmetria tra i sacramenti dell’iniziazione cristiana e il sacramento dell’ordine. Si osserva che la sinodalità del corpo ecclesiale concerne la Chiesa soggetto, la corresponsabilità, invece una Chiesa di soggetti.
La differenza tra corresponsabilità e collaborazione è necessario recepirla. Dal mandato della gerarchia nasce la collaborazione “alla maniera degli uomini e donne che aiutavano l’Apostolo Paolo”, oppure per espletare alcune funzione ecclesiastiche.
Alcune provocazioni:
La parrocchia deve passare dall’essere luogo in cui si celebra la fede (sacramenti) al luogo in cui si annuncia la fede;
Chiediamoci se le nostre comunità hanno la coscienza di “essere soggetto”, ovvero comunità che accoglie il prete affinché la presiede nel nome dello stesso Cristo?
La preoccupazione non è quella di mantenere in ogni parrocchia, soprattutto in quelle piccole, tutti i servizi, ma far prendere coscienza che al cuore dell’agire della comunità c’è l’annuncio della fede. Presenza missionaria in seno alla società.
Le tre parole fondamentali sono Parola, Eucaristia, Carità: tre dimensioni intrecciate, per cui occorre dar voce a ministerialità (da stabilire) che si affianchino a quella del presbitero “itinerante”:
- ministero del governo, spetta al sacerdote, ma è possibile pensare ad un incarico a rotazione temporaneo che può essere affidato a un responsabile della coesione della comunità, che abbia attenzione anche per la pecorella lontana.
- ministero della Parola: catechisti, animatori della liturgia, persone già presenti in tanti comunità… perché non riconoscere pubblicamente con un mandato?
- ministero di Ospitalità: che va oltre l’area classica della carità e della diaconia, ma che si preoccupi che la comunità diventi accogliente.
Prendiamo consapevolezza del momento storico che stiamo vivendo (diminuzione del clero ed anche dei fedeli, seppur variegata su aree geografiche, ma crescente). Non pretendiamo risposte dirette, ovvero di mettere un cerotto per una medicazione rapida.