Pier Giuseppe Accornero
Preferisco «Ce la faremo» anziché «Va tutto bene»: con migliaia di morti e decine di migliaia di infettati, come si fa a dire: «Andrà tutto bene»? o «Va tutto bene»? Ce la faremo, con l’aiuto di Dio. Mentre scrivo (fine marzo 2020), è impossibile sapere, dire o prevedere se e come andrà a finire. Ma di due cose sono abbastanza certo: niente sarà più come prima del «coronavirus»; ci vorrà almeno un decennio per superare questa crisi perché, a mio parere, di peggio c’è solo la guerra.
Il coronavirus – ricorda papa Francesco – «costituisce un cambiamento d’epoca, per molti versi spiazzante». Più che soffiare sulla paura e sul panico, sui «distinguo» e sulle critiche al governo – qualunque decisione prenda, sbaglia – sulle limitazioni e sui divieti, è il caso di considerare l’attuale «un tempo di enorme responsabilità», per cui esorta gli italiani a «fare quello che dice il governo». E provo tanta pena e rabbia per i partiti e gli squallidi personaggi della destra che speculano sui morti per ragioni di bassa cucina elettorale.
Il «Covid-19» ha un forte impatto sulla convivenza tra gli uomini e pone il problema del rapporto tra uomo e uomo, tra uomo e natura, tra uomo e società: senza il governo dell’uomo, la natura produce anche disastri. L’esaltazione di una (inesistente) natura pura e incontaminata ruzzola a livello di grande sciocchezza. La natura non va distrutta ma governata. La Rivelazione dice che Dio affida il creato – «casa comune» nel linguaggio bergogliano – all’uomo.
La pandemia mette in mortale pericolo l’economia e la produzione, le imprese e le famiglie, il lavoro e l’occupazione, le partite Iva e il commercio. Il blocco produce fallimenti, disoccupazione, povertà, disagi, conflitti sociali. L’economia, la produzione e il lavoro, ora e di più in futuro, sono devastati da rivolgimenti che esigono scelte drastiche da lacrime e sangue. La globalizzazione – tanto decantata dal duo Reagan-Thatcher – conosce una rovina a valanga a livello planetario.
I rapporti dell’Italia, come di ogni Paese, con l’Unione europea conoscono conflitti e scontri in settant’anni di storia, ma nulla in confronto all’attuale «madre di tutte le battaglie». L’Europa latita, succube dell’onnipotente Germania e dei Paesi del nord. Ancora una volta l’Unione è frantumata dalle dispute egoistiche, Italia e Spagna sono isolate e lasciate sole. La Commissione si è mossa tardi, la presidente della Commissione anche peggio; la Banca centrale è intervenuta male: l’intervento della sua presidente ha provocato lo scivolone più catastrofico della storia della Borsa mondiale. Neppure il coronavirus riesce a far collaborare gli Stati: si notano tutte le crepe, le chiusure, le incapacità a collaborare.
La lotta al contagio richiede un generale ricompattamento morale. La salute, insieme alla vita, è davvero un bene primario da promuovere assolutamente. Per questo serve un profondo ripensamento a tutti i livelli sul sistema sanitario e sull’utilizzo delle risorse, visto che nell’ultimo decennio ci sono stati drastici tagli dei finanziamenti e una drammatica riduzione di posti-letto, reparti, ospedali. Ci illudevamo che i progressi della medicina, dell’igiene, della tecnologia ci avessero resi immuni. Invece tocchiamo con mano la nostra fragilità.
«Salus» significa «salute» in senso sanitario, ma anche «salvezza» in senso religioso. La Chiesa dà il suo contributo alla lotta anti-pandemia nelle varie forme di assistenza, sanità e solidarietà, come ha sempre fatto. È il caso di mantenere alta l’attenzione alla dimensione religiosa. Per questo Francesco prega lo Spirito Santo di dare «ai pastori la capacità e il discernimento affinché provvedano misure che non lascino da solo il popolo di Dio: si senta accompagnato dai pastori e dalla parola di Dio, dai sacramenti e dalla preghiera». Ci richiama a non pensare solo a noi, alla nostra salute e alle nostre difficoltà, ma a chi sta peggio di noi, a chi affronta l’emergenza senza una casa, un lavoro, una famiglia; a chi la pandemia ha mandato al tappeto.
Mi hanno molto colpito la foto dell’arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, in talare nera e zucchetto violaceo che prega sul tetto del duomo la Madonnina dorata a 70 metri d’altezza sullo sfondo del cielo azzurro in una giornata primaverile: «O mia bela Madunina che te dominet Milan». E quella di papa Francesco che imparte la benedizione con il santissimo Sacramento in una piazza San Pietro deserta e innaffiata dalla pioggia.
Nelle famiglie e nelle chiese si prega la «Salus infirmorum, Madonna della salute». Francesco prega la «Salus populi romani» di Santa Maria Maggiore e il crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso. Invoca la fine della pandemia; implora la guarigione dei malati; ricorda le tante vittime; chiede che familiari e amici trovino «consolazione e conforto»; invoca le benedizioni divine su medici, infermieri e quanti lavorano per i malati. Gesti pieni di significato, per nulla sporcati da alcuni giornali che vaneggiano di «passeggiata, divieti violati, sfida alla ragione». E un lercio giornalista, ex ciellino, già autore di un immondo libro su Francesco accusa il papa di non inginocchiarsi, dimenticando (volutamente) che Bergoglio-Francesco ha più di 83 anni ed è afflitto da acciacchi e malanni; e farnetica che ha terrore del coronavirus e ha paura che le pecore «lo contagino» e quindi «si rintana nella sua stanza». Per questo giornalista e per gli infami della sua risma, che propalano simili scempiaggini, non resta che la preghiera: «Signore, tocca i loro cuori, apri i loro occhi, aiutali a non scrivere più tante idiozie».
Sta emergendo il volto bello dell’Italia che non si arrende, grazie a medici e infermieri, a volontari e lavoratori, preti e cappellani di ospedale e di carcere. Ci inchiniamo a quelli che si battono in prima linea: la parola «eroi» non è eccessiva né sprecata. Il pontefice dice che i preti «non fanno come don Abbondio». Le Caritas diocesane garantiscono i servizi in condizioni sempre più difficili; individuano gli interventi più urgenti; privilegiano famiglie e persone disagiate; incrementano l’ascolto degli anziani; mantengono i servizi minimi per le persone in povertà estrema.
Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, rivolge «un doveroso pensiero particolare a voi, sacerdoti, per la bella testimonianza che offrite. Esprimete il volto bello della Chiesa amica. Date un esempio di solidarietà con tutti, sempre pronti e disponibili. So bene quanto è doloroso celebrare l’eucaristia senza il popolo, ma voi ogni giorno mettete sull’altare le sofferenze e le speranze di tutti. Fate come Mosè che parlava con Dio come con un amico». Un pensiero particolare ai cappellani delle carceri e degli ospedali: «Siete l’immagine viva del buon Samaritano e contribuite a rendere credibile la Chiesa. I vostri vescovi vi apprezzano e si sentono edificati».
Una pugnalata le immagini degli autocarri militari carichi di bare che percorrono di notte le strade deserte di Bergamo per andare nei forni crematori di altre città e consegnare alle fiamme e alla memoria quei poveri corpi. La città con più alto numero di vittime piange i suoi morti al suono ininterrotto delle campane.
La mia Bergamo stremata e tramortita. Ho vissuto per trent’anni in una splendida città, lavorando al glorioso quotidiano cattolico «L’Eco di Bergamo» di cui gli ultimi dieci come caporedattore. L’unico quotidiano cattolico o di area sopravvissuto, con «Avvenire», di una trentina di testate nate in Italia nell’Otto-Novecento.
La terra di papa Giovanni e di tanti bergamaschi illustri non abbandona chi vive in povertà; sostiene il personale sanitario; inventa situazioni e mezzi di solidarietà. La Chiesa, guidata dal vescovo Francesco Beschi, si preoccupa per l’eccezionale tensione nervosa cui è sottoposto il personale sanitario e mette a disposizione 50 camere singole con bagno del seminario «Giovanni XXIII», per assicurare il riposo almeno per qualche ora fra un turno e l’altro nell’ospedale «Giovanni XXIII».
La carezza di Francesco a Bergamo è un’eco della carezza di papa Giovanni. La sera dell’apertura del concilio Vaticano II l’11 ottobre 1962, apparve alla finestra del suo studio in Vaticano e improvvisò il «discorso della Luna» o «della carezza del papa»: «Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo. Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del papa”».
Coraggio, Bergamo. Risorgerai. Coraggio, Italia. Rinascerai.
Pier Giuseppe Accornero, sacerdote, giornalista e scrittore
(tratto da Orientamenti Pastorali, 4/2020 – Edizioni Dehoniane Bologna. Tutti i diritti riservati)