Maggio comincia da sempre per noi con la Festa del lavoro, e l’evento che lo caratterizza in Italia, soprattutto per i giovani, è il grande concertone che quest’anno non potrà contare sulla kermesse di piazza san Giovanni in Laterano. La Chiesa ha sempre aiutato i cristiani a vivere questa festa civile facendo memoria dell’esperienza semplice, quotidiana, faticosa di un lavoro con cui Gesù si è misurato, necessario per vivere una sua incarnazione vera nella vita dell’umanità. Era il lavoro di san Giuseppe, dal quale aveva imparato a guadagnarsi da vivere – se i vangeli lo ricordano come il figlio del carpentiere –, ad affrontare il rischioso mestiere di vivere che tocca a ogni uomo e donna: la fatica, la quotidianità, la ripetitività, le relazioni, le scoperte, le incomprensioni.
Era subentrato nel lavoro del padre: aggiustava gli attrezzi, gli utensili da lavoro, costruiva pezzi che potevano rimettere a posto mobili disfatti, impalcature; viveva lavorando per altri. Tutto questo dà un grande significato positivo, profondo al lavoro quotidiano. Il lavoro è il cantiere allora del regno di Dio; è in esso che la persona si allena, si forma al senso della vita, della collaborazione, della solidarietà, della concretezza, dell’approfondimento della sua umanità, della sua dignità. Quanto siamo ingiusti se lasciamo la gente senza lavoro; le viene a mancare, oltre che la possibilità di vivere, la stessa dignità umana. Oggi che l’epidemia forse sta mollando la presa, ci lascia un grande impegno per i singoli e per le istituzioni: ridare e offrire un lavoro dignitoso per tutti. È un compito da assumere tutti, da persone e da cristiani.
+ Domenico Sigalini, presidente del COP