Salvatore FERDINANDI

Il 13 maggio 2020, Papa Francesco ha pubblicato il testo del messaggio per la 106ª giornata mondiale del migrante e del rifugiato (27 settembre 2020), focalizzando l’attenzione sugli sfollati interni.

Effettivamente di chi si tratta

Gli Orientamenti Pastorali sugli sfollati interni, pubblicati dal Vaticano il 5 maggio scorso, riguardo a questa categoria di persone, adottano la definizione fornita dai «Principi guida sugli sfollati» del 1998, da parte delle Nazioni Unite. Si intendono «quelle persone o gruppi di persone che sono stati forzati o obbligati a fuggire o a lasciare le loro abitazioni o i luoghi abituali di residenza, in particolare come conseguenza di un conflitto armato o per evitare gli effetti di situazioni di violenza generalizzata, di violazione di diritti umani o di disastri naturali o provocati dall’uomo, e che non hanno valicato un confine di Stato internazionale riconosciuto».

Rilevanza del fenomeno

Questo fenomeno degli sfollati interni è in forte incremento, come confermato dagli ultimi dati prodotti dall’Internal Displacemente Monitoring Centre (IDMC). Infatti, durante il 2019 si sono registrati in tutto il mondo 33,4 milioni di nuovi sfollati interni, dei quali 8,5 milioni sono stati costretti a lasciare la propria casa a causa di conflitti di vario genere o di presenza di multinazionali che hanno invaso i loro territori; mentre 24,9 milioni lo hanno fatto a causa di disastri.

Si tratta di una vera migrazione forzata di ingente portata, caratterizzata dalla invisibilità e dalle molteplici precarietà che essa comporta, per di più esasperata dalla crisi mondiale della pandemia COVID-19. Per questo dramma, la Sezione migranti e rifugiati del Pontificio dicastero per il servizio e lo sviluppo umano integrale, ha pubblicato specifici Orientamenti pastorali il 5 maggio scorso.

Il messaggio di papa Francesco

Papa Francesco, fortemente preoccupato per questo fenomeno in crescita, nel messaggio per la 106ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, ha inteso riprendere i quattro verbi dell’azione pastorale migratoria da lui indicati nel Messaggio di questa stessa Giornata nel 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare, aggiungendo a essi sei coppie di verbi che indicano azioni molto concrete, legate tra loro in una relazione di causa-effetto. Si tratta di sfide e risposte che dovrebbero essere messe in atto e rafforzate da parte della Chiesa, per essere fedele al messaggio evangelico. Papa Francesco le evidenzia, legandole anche dell’esperienza che stiamo facendo con la pandemia.

Conoscere per comprendere. Come per i discepoli di Emmaus, la conoscenza è un passo necessario per la comprensione dell’altro. Per quanto riguarda i migranti e gli sfollati, spesso ci si ferma ai numeri. Diverso è invece conoscere le storie delle persone, per comprenderne la precarietà e le conseguenti sofferenze.

Farsi prossimo per servire. Non è scontato, come non lo è stato per il sacerdote e il levita che, dopo il servizio al tempio, sono passati con indifferenza accanto al samaritano. Le paure e i pregiudizi, i legalismi o le formalità, spesso ci fanno rimanere distanti da chi è in difficoltà e ci impediscono di «farci prossimi» a loro e di servirli con amore.

Per riconciliarsi, bisogna ascoltare. Ce lo insegna Dio stesso che dice a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo» (Es 3,7-8). Nel mondo di oggi si sta perdendo l’attitudine ad ascoltare, anche se si moltiplicano i messaggi. Il silenzio che in questo periodo ci ha imposto la quarantena, ci dovrebbe aiutare ad ascoltare il grido di chi è più vulnerabile. Solo ascoltando, abbiamo l’opportunità di riconciliarci con il prossimo e con Dio.

Per crescere è necessario condividere. Della prima comunità cristiana si dice che nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune (Cf. At 4,32). Le risorse del mondo sono di tutti e dobbiamo imparare a condividerle, per non lasciare fuori nessuno, perché siamo tutti sulla stessa barca e nessuno si salva da solo, come ci ha fatto ricordare la pandemia.

Coinvolgere per promuovere. Per promuovere le persone, è necessario coinvolgerle e renderle protagoniste del loro riscatto, come ha fatto Gesù con la samaritana alla quale parla, la guida alla verità, per poi renderla annunciatrice della buona novella: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (Gv 4,29). Ancora una volta, l’esperienza della pandemia ci ha fatto sperimentare che promuovendo la corresponsabilità e l’apporto di tutti, è possibile affrontare la crisi.

Collaborare per costruire. Contribuire a costruire il regno di Dio, è un impegno che riguarda tutti i cristiani, e questo comporta la capacità di collaborare, superando gelosie, discordie e divisioni. San Paolo raccomandava alle sue comunità di essere unanimi nel parlare, nel superare divisioni e avere un comune sentire (Cf. 1Cor 1,10). La salvaguardia della casa comune e la costruzione del bene comune, richiede collaborazione e assunzione di responsabilità da parte di ciascuno.

Papa Francesco termina il Messaggio con una preghiera a san Giuseppe, che ha sperimentato il disagio di essere profugo in Egitto con la sua famiglia, che ha provato la sofferenza a causa dell’odio dei potenti, e insieme chiede a san Giuseppe la tenerezza di un amore benevolo per chi accoglie coloro che sono nelle più diverse difficoltà.

In sostanza, tutto il Messaggio è un invito a superare l’indifferenza, mentre tutto il mondo sta soffrendo nell’affrontare la pandemia. Pertanto, è particolarmente necessario che nell’oggi in cui stiamo vivendo, ci educhiamo a non lasciare soli quei fratelli e sorelle più deboli che popolano le città e le periferie di ogni parte del mondo.

Salvatore Ferdinandi, vicario generale della diocesi di Terni Narni Amelia, già responsabile del Servizio promozione Caritas di Caritas italiana