Ugo UGHI
Ci mancava spesso il tempo, soprattutto per la cura della propria spiritualità: ogni cosa andava fatta di corsa sotto la spinta di una frenesia incontrollata e incontrollabile, finché è arrivato un virus maligno e invisibile che ha bloccato tutto e ci ha obbligati a una prolungata e stancante clausura, prima sconosciuta e senza una sicura conclusione. Siamo stati messi in ginocchio, con rischio di depressione e di disperazione o, forse, in preghiera, non sconfitti, ma aperti alla speranza. E abbiamo cominciato a gridare verso il Signore: «Non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,38). Se siamo stati perseveranti nella preghiera, abbiamo potuto scoprire o riscoprire il nome di Dio: «Colui che è»! In realtà, non è un nome, è piuttosto un verbo: «Colui che c’è», che c’è sempre, «che era, che è e che viene» (Ap 1,4), assolutamente fedele al suo amore per noi. Il biblista don Bruno Maggioni ha tradotto con «Eccomi qua», perché è il «Dio con noi», sempre pronto a venirci incontro. Noi possiamo dimenticarcene, ma lui è qui, accanto a noi, dentro di noi: è il Padre (l’Abbà = il Padre tenerissimo) che non può abbandonarci. È lui la roccia, la ragione solida della nostra speranza. Abbiamo pregato e continuiamo a pregare: da soli, in famiglia, insieme con altri attraverso i social. Alcuni hanno scoperto i Salmi come alimento della fede e della preghiera. Così abbiamo toccato con mano la presenza misericordiosa e rigenerante di Gesù, perché «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Gesù è interessato alle nostre fatiche e sofferenze, e al nostro grido risponde come ai discepoli sul lago in tempesta: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40). Perché il contrario della fede è l’idolatria e … la paura! È molto umano aver paura, ma Gesù ci rassicura: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mc 6,50). Con lui possiamo attraversare anche il mare in tempesta e, insieme, riscoprire le nostre doti e capacità, perché il Signore non si sostituisce a noi, ma provoca la nostra responsabilità e ci dona fiducia, energia, coraggio.
Ha fatto molta impressione e ha toccato il cuore di tanti la preghiera solitaria di papa Francesco in una piazza San Pietro vuota. Vuota?! A pensarci bene, se fossimo potuti andare fisicamente a Roma, quella piazza non avrebbe potuto contenere, quella sera, tante presenze di credenti, di non credenti, di fedeli delle varie religioni. Abbiamo ricevuto l’abbraccio caloroso del papa, della Chiesa, del Padre
E quanta gente ha partecipato alle tante celebrazioni e alle svariate forme di preghiera, con in primo piano la celebrazione dell’Eucaristia e il rosario, «preghiera evangelica» (san Paolo VI), trasmesse con i mezzi moderni della comunicazione! Un patrimonio di preghiera da coltivare e da custodire, cominciando dalla preghiera in famiglia, Chiesa domestica, dove il Vangelo dovrebbe occupare un posto centrale.
Pregando, impariamo a guardare, magari inconsapevolmente, le persone, la storia umana, il creato con l’occhio e con il cuore stesso di Dio. E abbiamo potuto vedere ciò che abitualmente non si nota o che comunque non attira particolarmente l’attenzione: solidarietà, dedizione, servizio, attenzione ai poveri e a chi fa più fatica. Queste sono le cose da non dimenticare, ma di cui far tesoro, per entrare nella schiera di chi si spende per gli altri senza riserve.
«La fede (ma possiamo dire la preghiera) non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che questo amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità» (papa Francesco, LF n. 53).
La preghiera consente di riprendere in mano la nostra vita, di riappropriarcene, cercando ciò che veramente conta, puntando sull’essenziale, su ciò che è duraturo. La preghiera dilata il cuore e ci permette di scorgere tante cose buone, che altrimenti ci sfuggirebbero, e di attraversare difficoltà e sofferenze senza rimanerne schiacciati, ma per uscirne vincitori e rafforzati.
Possiamo recuperare anche una invocazione, attualissima, delle litanie dei santi (versione precedente): «Dalla peste, dalla fame e dalla guerra, liberaci, Signore». Perché non si può dimenticare che non c’è solo il covid-19 che fa ammalare e morire: sono tanti i morti per fame (3.700.000 solo nei primi quattro mesi di quest’anno!!!) e a motivo della guerra.
Con la preghiera, mentre ringraziamo e lodiamo il Signore per i doni di cui arricchisce la nostra vita e lo supplichiamo per le tante sofferenze e difficoltà, dobbiamo chiedergli che non solo ci liberi dalla peste del covid-19, ma soprattutto da altri virus che sono molto più dannosi: egoismi, grettezze, superficialità, violenze, anche se soltanto verbali, pregiudizi, «indifferenza che uccide» (papa Francesco).
L’ascolto della parola di Dio e la preghiera costituiscono una straordinaria forza trainante, che rendono più bella, più significativa e più costruttiva la nostra vita e ci spinge a collaborare per costruire un mondo più degno dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo.
Ugo Ughi, delegato per la formazione permanente del clero diocesi di Fano – Fossombrone – Cagli – Pergola