Muoviamo passi verso quella riforma ecclesiale che colloca la missione della Chiesa nel tempo odierno, in questo cambiamento d’epoca. L’evidenza, la prassi, comincia a mostrarci un cammino che sta intaccando anche il linguaggio, perché sta entrando nel modo di pensare.
Non il sinodo come evento, ma come processo: si costruisce, cioè, passo dopo passo. La fase consultiva, quindi, entra a pieno titolo in tale processo: un passo avanti verso una Chiesa comunione.
La sinodalità è la “forma” stessa della Chiesa; un sinodo, pertanto, è espressione della sinodalità, della collegialità su una determinata questione. La questione che attualmente si sta trattando è quella della sinodalità come stile della Chiesa che rende trasparente, credibile l’annuncio del Vangelo. Un annuncio che passa attraverso il modo di essere – vivo e reale – della Chiesa. La novità: tutto il popolo di Dio è convocato in sinodo. Un sinodo sulla forma sinodale della Chiesa, e su cosa essa comporti, oggi. “Ri-forma”, quindi. Rinnovare la forma della Chiesa: rendere , cioè, più trasparente, salda, la forma comunionale della Chiesa. Affettiva ed effettiva.
In questo essere in sinodo ci sono un orizzonte, uno stile e metodo. Queste tre parole sono tenute insieme da una singola parola “sinodalità”. Ci è chiesto uno stile, che è sinodale: uscire dalla frammentazione, per camminare insieme; capacità di condivisione, di ascolto, di apertura. Il metodo, poi, è la via traverso la quale si matura uno stile. Il metodo proposto in questo cammino sinodale è quello della conversazione spirituale, metodo ignaziano, che riprende la tradizione antica. Ci poniamo in ascolto del vissuto riletto alla luce della parola di Dio. Si tratta di ascolto attivo – profondo – dell’esperienza, che è posta in primo piano.
La Chiesa è chiamata a vivere la comunionalità partendo dall’esperienza concreta che già facciamo. Esperienza nella quale il Signore agisce. L’esperienza è luogo teologico. Occorre riconoscere la presenza del Signore in ordine a ciò che viviamo. “Riconoscere” non è semplicemente un vedere: si dà all’interno di una relazione con il Signore. Lo stesso dicasi, per lo scegliere le priorità: quali passi – moti – lo Spirito ci invita a compiere? Riconoscere, interpretare e scegliere, dicono il ritmo della conversazione spirituale. Nella conversazione spirituale la comunicazione avviene nell’ascolto profondo fatto nello Spirito. La sintesi è condivisa, è un deliberare insieme quello che riteniamo importante, non perché ricorre più volte: l’essenziale, dal livello personale a quello comunitario, che non è dato da somme. La conversazione spirituale è un metodo che implica il silenzio, spazio interiore che si deve attivare per accogliere. Il tutto ha a che fare con la progettazione. Non si tratta, quindi di un’esercizio pio, da sagrestia.
Si osserva che nell’assunzione della quotidianità c’è già un’apertura escatologica. Si osserva, pure, che nelle cosiddette strutture di partecipazione la conversazione spirituale è applicabile. Il discernimento, su questioni circoscritte, avviando un confronto con cosa sta emergendo nel vissuto della comunità. Ascoltarsi reciprocamente, verso un consenso che è un “sentire” insieme. Anche la “leadership” si pone in termini di colui che anima nella carità. La forma comunionale non è appiattimento ma articolazione: le singole “vocazioni” diventano intrecci. Armonia nella diversità, fatta anche di tensioni – il poliedro di cui parla papa Francesco -.
Ciò allontana formalismo, intellettualismo e immobilismo, oppure – citando un’espressione di Coccopalmerio – una «Sinodalità a responsabilità limitata»; nonché il decadere in un “arricchimento” da biblioteca. Va aggiunto un’altro rischio: che tutto si riduca ad un invito ai buoni sentimenti.