Nel dopo Concilio, la categoria di “comunione” (una lettura a posteriori del Concilio) ha messo in ombra la categoria di “popolo di Dio”.
Nel Concilio si volle anticipare il concetto di “popolo di Dio”, su quello di gerarchia. Con Francesco ritorna il “popolo di Dio missionario”. Nell’Evangelii Gaudium il termine popolo è menzionato 164 volte. Già subito dopo l’elezione, nella sua presentazione alla diocesi di Roma e al mondo, ci ha dato una ecclesiologia in gesti. Anzitutto, la Chiesa, popolo di Dio in cammino nella storia: un cammino per l’evangelizzazione. Si ritrova il camminare insieme – vescovo e popolo -; una premessa tutta nella direzione sinodale.
Francesco, ricorda che la specifica “di Dio”, evidenzia che è Dio che chiama, convoca, invita a far parte di un popolo: tutti siamo uno in Cristo Gesù. Vi si diventa parte attraverso il battesimo; un popolo fondato sulla legge dell’amore; un popolo inviato a portare la speranza, la salvezza in Cristo al mondo; il suo fine: il Regno di Dio. È il Santo popolo fedele di Dio (LG 12). Dio ci attrae attraverso le dinamiche di relazione che si formano tra le persone. Il “sentire cum ecclesia”, è sentirsi parte di questo popolo. Lo stesso pontefice guarda il popolo, non dal vertice, ma dall’interno, dalla periferie. Fedeli laici e pastori sono accumunati nel battesimo. L’insieme dei -fedeli è “infallibile” nel credere, quando lo fa nell’autentica fede, assistito dallo Spirito Santo. Non si tratta di populismo.
In Evangelii Gaudium, al n. 119, Francesco scrive: «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione». È la questione del «tutti siamo discepoli missionari». Ovvero «tutto il popolo di Dio annuncia il Vangelo» (Evangelii Gaudium, 111). Riprendendo la Evangelii Nutiandi di Paolo VI.
È l’invito ad una conversione pastorale, il passaggio da una pastorale di conservazione ad una di missione: ne è protagonista è il popolo di Dio. Occorre ricordare che: Questo Popolo di Dio si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura. La nozione di cultura è uno strumento prezioso per comprendere le diverse espressioni della vita cristiana presenti nel Popolo di Dio. Si tratta dello stile di vita di una determinata società, del modo peculiare che hanno i suoi membri di relazionarsi tra loro, con le altre creature e con Dio. Intesa così, la cultura comprende la totalità della vita di un popolo. Ogni popolo, nel suo divenire storico, sviluppa la propria cultura con legittima autonomia. Ciò si deve al fatto che la persona umana, «di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita sociale» ed è sempre riferita alla società, dove vive un modo concreto di rapportarsi alla realtà. L’essere umano è sempre culturalmente situato: «natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse». La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (EG 115). Non va dimenticata la “forza evangelizzatrice della pietà popolare”. In Evangelii Gaudium, al n. 122, leggiamo: «Allo stesso modo, possiamo pensare che i diversi popoli nei quali è stato inculturato il Vangelo sono soggetti collettivi attivi, operatori dell’evangelizzazione. Questo si verifica perché ogni popolo è il creatore della propria cultura ed il protagonista della propria storia. La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea costantemente, ed ogni generazione trasmette alla seguente un complesso di atteggiamenti relativi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve rielaborare di fronte alle proprie sfide. L’essere umano «è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso». Quando in un popolo si è inculturato il Vangelo, nel suo processo di trasmissione culturale trasmette anche la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. Ciascuna porzione del Popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti. Si può dire che «il popolo evangelizza continuamente sé stesso». Qui riveste importanza la pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista». È il rimando alla spiritualità popolare, alla mistica popolare (di cui si parla in EG 124, 125): un luogo teologico, da guardare con lo sguardo del buon Pastore.