Reinhard Demetz – direttore Ufficio pastorale diocesi di Bolzano Bressanone
Nella speranza di dare un contributo alle riflessioni in atto nelle Chiese italiane in cammino sinodale, proverò a disegnare un quadro delle esperienze maturate nella diocesi di Bolzano-Bressanone negli ultimi anni e delle questioni pastorali a esse connesse, per arrivare a proporre una lettura teologica della tensione tra gratuità e remunerazione del ministero ecclesiale.
Il vescovo Ivo Muser ha recentemente descritto il crollo della presenza di fedeli nelle attività e nelle celebrazioni parrocchiali, accompagnato da un altrettanto marcato calo del numero di preti. Come tutte le chiese europee, anche la chiesa di Bolzano-Bressanone è segnata da una galoppante secolarizzazione, che mette in crisi i modelli tradizionali della cura pastorale. Il volontariato ecclesiale in questa situazione è posto sotto una duplice pressione: mentre cala il numero di persone disposte a impegnarsi in parrocchia, aumentano le mansioni e le responsabilità, che per mancanza di ministri ordinati vengono affidate a fedeli laici. Questa pressione si manifesta soprattutto nella questione della guida delle parrocchie.
Questo dato mette in crisi il modello di guida della parrocchia previsto dal codice di diritto canonico, basato sul «pastore proprio» che abita in mezzo alle case della sua gente. La parrocchia è dotata, tradizionalmente, da almeno una persona, che, a tempo pieno, può dedicarsi alla cura pastorale: l’amministrazione dei sacramenti, l’annuncio del vangelo, le opere di carità, l’amministrazione dei beni, la guida della comunità, l’accompagnamento delle persone nelle diverse situazioni della vita. Con sistemi di sostentamento del clero, diversificati nel tempo e nello spazio, la Chiesa assicura alla comunità una persona che possa mettersi a disposizione pienamente per l’edificazione della comunità. Venendo meno la figura del parroco residente, viene meno la presenza personale che forma la spina dorsale dell’attività pastorale.
Una delle piste per supplire a questo problema può essere quella degli assistenti pastorali sul modello delle chiese germanofone. L’assunzione cioè di persone teologicamente formate, che affiancano i parroci nella guida delle comunità e nel servizio pastorale. La presenza degli assistenti pastorali, infatti, garantisce il presidio del territorio, la reperibilità di un interlocutore o un’interlocutrice stabile per le comunità, la continuità della programmazione e dell’attività pastorale e un sostegno efficace al volontariato ecclesiale.
Mentre dalla parte tedesca e ladina della diocesi, tradizionalmente orientata ai modelli pastorali d’oltralpe, emergeva la richiesta di un investimento maggiore da parte della diocesi e della Chiesa italiana sugli assistenti pastorali, dalla parte italiana veniva sollevata una questione forte sull’opportunità di un tale ministero laicale stipendiato.
Le argomentazioni si lasciano riassumere nelle seguenti linee:
- A favore: una Chiesa sinodale non può basare tutta l’azione pastorale sul volontariato. Una comunità che vuole camminare assieme alle persone e accompagnarle nelle diverse situazioni della vita ha bisogno della presenza stabile di persone ben formate, come lo era e lo è ancora in parte il parroco.
- Anche le argomentazioni contro l’impegno di ministeri stipendiati partono da una visione sinodale della Chiesa. L’assunzione di personale stipendiato, si teme, potrebbe portare a una mentalità di delega, di deresponsabilizzazione della comunità, affidando a poche persone stipendiate ciò che deve essere l’impegno di tutti.
Cercando una sintesi tra le diverse posizioni e legando insieme diversi altri fili di discussione, il Sinodo diocesano ha formulato la proposta che le singole parrocchie saranno guidate con il modello dei «team pastorali”», che prevede la formazione di un gruppo da tre a cinque persone, che vengono incaricate dal vescovo (dove si applica can. 517§2 CIC) o dal parroco a partecipare alla cura pastorale della parrocchia, coordinando determinati ambiti pastorali e amministrativi della parrocchia. Si tratta esclusivamente di volontari, scelti dal consiglio pastorale parrocchiale, che hanno il compito di farsi promotori di diversi ambiti dell’attività parrocchiale: la liturgia, l’annuncio, la carità, l’amministrazione, il coordinamento. A essi possono essere affiancati, a livello di unità pastorale, assistenti pastorali, che sostengano i volontari delle singole parrocchie e le attività a livello di unità pastorale. Il compito degli assistenti pastorali, in questo contesto, consiste soprattutto nell’accompagnamento e nel sostegno al volontariato in chiave sussidiaria, promuovendo quindi la corresponsabilità e la sinodalità nelle parrocchie.
Una riflessione sulla dimensione trinitaria e carismatica della Chiesa ci aiuterebbero a meglio inquadrare la questione della ministerialità retribuita. Essa è un’importante strada per dare forza al rinnovamento della Chiesa, ma va intrapresa con diverse cautele. La ministerialità retribuita non deve nascere «dall’alto» come modo per mantenere uno status quo, per supplire a un vuoto che nasce dalla mancanza di presbiteri. Non può supplire a una mancanza e non può risolvere problemi che vanno risolti altrove: alla mancanza di ministri ordinati si risponde con la pastorale vocazionale e con una riflessione approfondita sulle condizioni di accesso e sul ruolo ecclesiale del ministero ordinato. La ministerialità retribuita oggi può e deve rispondere al rinnovamento della Chiesa in chiave sinodale. Deve partire, quindi, dalla ricchezza dei doni affidata alla Chiesa, per dare stabilità e forza ai carismi che rispondono in modo particolare alla necessità del nostro momento storico. Non deve essere un tentativo di conservare il passato, ma può essere il modo in cui la Chiesa si apre allo slancio missionario che lo Spirito Santo pone nel cuore delle persone. Riportate all’attuale situazione delle Chiese in Italia, vista dalla prospettiva di una diocesi di confine, le esperienze e le riflessioni suggeriscono l’urgenza di riformare l’attuale sistema di sostentamento del clero verso una più ampia visione di un sostentamento dei ministeri nella vita della Chiesa. Una volta eliminati i preconcetti che bloccano una buona prassi, e visti i benefici di una ministerialità anche stipendiata, ne vanno cercate le condizioni di possibilità economiche.
Tratto da Orientamenti Pastorali n. 10/2022. EDB, tutti i diritti riservati