Giorgio Campanini – università di Parma
Le recenti elezioni politiche italiane hanno riproposto il problema, antico ma sempre ricorrente, del rapporto cattolici-politica. Vi è stata, all’indomani della caduta del regime fascista, una forte ripresa della presenza cattolica in politica, protagonista, a partire dai vari governi De Gasperi, dell’ardua e complessa opera di ricostruzione di un Paese ridotto allo stremo dalle sciagurate imprese belliche del governo fascista. Iniziava allora la lunga stagione in cui – con particolare riferimento al partito della Democrazia cristiana, per oltre un quarantennio egemone – forte è stato l’impegno politico dei cattolici italiani, diventati quasi un «bacino di riserva» di un Paese che lentamente e faticosamente usciva dalle ceneri di una assurda, e perduta, guerra mondiale.
Non può stupire che, per una stagione protrattasi per circa mezzo secolo, forte, e spesso determinante, sia stata la presenza dei cattolici in ambito politico. Successivamente, soprattutto dopo la «svolta» conciliare – ma anche in presenza di un contesto sociale caratterizzato da una consolidata presenza della democrazia – il rapporto politica-cattolici è andato progressivamente logorandosi, sino a determinare, in non pochi settori della società italiana, un vuoto nel presupposto (o, forse, nell’illusione) che la democrazia si fosse definitivamente consolidata e non avesse più bisogno, come negli anni della ricostruzione, dell’apporto dei cattolici.
Il forte invito, rivolto ai fedeli di tutto il mondo, a prendere sul serio la politica e ad impegnarsi seriamente in questo campo rappresenta uno dei punti di forza del magistero di papa Francesco, come attestano le sue encicliche, i suoi discorsi (talora anche estemporanei…), i suoi stessi gesti.
Significative, in questo senso, sono le riflessioni su un discorso del Santo Padre di alcuni anni fa in occasione di un convegno svoltosi a Firenze, nel corso del quale il pontefice ha pronunziato un breve ma assai denso discorso che muoveva dal ricordo di Giorgio La Pira, grande sindaco fiorentino, già dichiarato «venerabile» ed ora sulla via della beatificazione per la sua esemplare vita, di preghiera e di azione.[1]
Pur nella sua estrema sintesi, questo breve intervento del pontefice, indica con puntualità il cammino che i credenti sono chiamati a percorrere – illuminati dalla concreta e pragmatica esperienza di personalità come La Pira – per costruire una società autenticamente «a misura d’uomo».
Rileggere queste brevi, seppure assai interessanti, note all’indomani del voto del 29 settembre 2022 non può interessare la coscienza cattolica, soprattutto se si pongono a confronto tra loro da una parte le forti ed esplicite indicazioni della Gaudium et spes, dall’altra la realtà del voto cui si è fatto più sopra riferimento. È difficile pensare che l’alta percentuale di «non votanti» sia composta di soli «agnostici». Non vi è dubbio che consistente sia stato l’astensionismo dei cattolici, di uomini e donne probabilmente travolti dalle esigenze della vita quotidiana e assai poco impegnati nel servizio al «bene comune»; persone tutte che hanno ritenuto, di fatto, che la politica non fosse «affar loro», del tutto dimentiche del «dovere di cittadinanza», che è di tutti e dovrebbe essere per ogni credente una scelta di vita. E viene da domandarsi se siano stati soltanto gli atei o gli indifferenti a disertare le urne…
Si pone qui il serio ed ancora oggi irrisolto problema del rapporto fra Chiesa e politica, con le sue ricorrenti oscillazioni, ora nella via della «scelta religiosa», ora nella via della «politica pura», come tale del tutto fuori del campo delle personali scelte religiose.
Si impone, dunque, un globale ripensamento, da parte dell’episcopato quanto come dei fedeli laici, del rapporto fede-politica, rifiutando tanto la scelta dell’intimismo quanto l’opzione per una politica del tutto estranea al mondo dei valori propri del cattolicesimo.
Superata la stagione degli «orfani» del partito «cattolico», e rifiutando parallelamente il totale distacco dalla politica, occorrerà intraprendere il cammino indicato dal citato convegno di Firenze: l’invito, cioè, a essere «fermento di valori evangelici nella società, specialmente nell’ambito della cultura e della politica». Perché ciò avvenga appare tuttavia necessario che la comunità cristiana conduca una rinnovata e seria riflessione sul che fare? Dovrebbe essere finito, per i credenti, il tempo della «a-politica», così da aprire la strada alla «buona politica», e cioè a un forte impegno per la giustizia sociale in una società fraterna, pacifica, solidale. Occorrerà una seria riflessione a opera di coraggiosi e competenti laici cattolici: non una sorta di longa manus dell’episcopato ma un «luogo» di riflessione, di studio, di sperimentazione di nuove forme di presenza alla storia. Dovrebbe presto finire la stagione dello «stare a guardare» – per dare luogo a una nuova fase della presenza dei cattolici in Italia, individuandone le forme, i luoghi, i soggetti, presbiteri e laici, uomini e donne, ciascuno con i propri carismi.
Il cristiano post-conciliare – aperto al mondo e attento alla lezione della storia – non può assistere passivamente allo scorrere degli avvenimenti, ma è impegnato a costruire, in quanto possibile, una nuova società, riprendendo e riattualizzando la testimonianza di uomini come La Pira e di pontefici come papa Francesco.
[1]https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/november/documents/papa-francesco_20181123_fondazione-giorgiolapira.html
Tratto da Orientamenti Pastorali n. 10/2022. EDB, tutti i diritti riservati