Domenico Sigalini – presidente del COP
Così descriverei il senso del mio intervento. Non sono uno storico, ma un appassionato della figura di don Bosco. Il primo regalo che ricevetti nella mia vita fu, in prima liceo classico in seminario, un premio di buona riuscita scolastica, ahimè solo quella, quando mi diedero i due non piccoli volumi della vita di san Giovanni Bosco del Lemoyne e da allora mi appassionò sempre la sua vita. Sono arrivato a san Giovanni Bosco così. Solo in seguito, nei primi anni di sacerdozio, durante il mitico ‘68 fui incantato dal suo metodo, dal suo amore ai giovani, ed entrai nella redazione di Note di pastorale Giovanile, nel nobile obiettivo, condiviso con don Riccardo Tonelli, che qui voglio ricordare, e molti altri di riscrivere, in quei tempi promettenti e difficili, il suo metodo nella pastorale giovanile. Le periferie di quegli anni non erano solo le difficoltà delle periferie cittadine di Torino, come lo furono per san Giovanni Bosco, ma le periferie esistenziali di una gioventù, cavalcata come tigre durante il ’68, lasciata a se stessa, frustrata perché fu utilizzata per altri scopi che non erano certo quelli della “Lettera a una professoressa” di don Milani.
Il contesto storico entro cui collocare il rapporto tra san Giovanni Bosco e la Chiesa
Siamo nel periodo pieno della Restaurazione. La parola stessa dice che c’era stato un grande movimento di destabilizzazione (vedi la Rivoluzione francese), che non è solo l’idealizzazione che se ne è fatta in tutti i libri di storia, ma una vera ferita nel mondo della fede, checché ne dica la retorica francese ancora oggi, con tanti martiri, ancora non tutti riconosciuti e dall’altro canto un insieme di destabilizzazioni degli assetti politici per le guerre napoleoniche, per le vendette incrociate e i tentativi di democratizzazione, alcuni riusciti, altri meno. In questo vortice si trovò anche la Chiesa e la figura del beato Pio IX. Di fronte al disordine politico, sociale e religioso, l’uomo del XIX secolo era ansioso di ottenere nuove garanzie di sicurezza nell’ambito culturale e religioso. Sotto l’influsso della mentalità del tempo (cf. gli scritti di De Maistre e di Lamennais) si doveva far quadrato attorno al Papa, alla sua indiscussa autorità ecclesiale e morale, a un concetto forse un po’ troppo funzionale e politico della infallibilità. L’idea prevalente di Chiesa che ne emergeva era quella che abbiamo studiato nel catechismo di san Pio X, di società perfetta.
Le convinzioni di fondo di don Bosco
Scrive san Giovanni Bosco: «La Chiesa è la società dei credenti governata dai propri pastori, sotto la direzione del sommo Pontefice». Da qui la decisa collocazione di san Giovanni Bosco nella massima fedeltà al papa, che sempre insegnerà e sempre vivrà. Tanto che sono numerosissimi i colloqui suoi con Pio IX e i papi, e altrettanto cordiale e libero il ricorso dei pontefici all’opera di san Giovanni Bosco; non ultimo, l’affidamento del completamento della basilica del Sacro Cuore di Gesù, di via Marsala, che stentava a essere terminata per l’annessione di Roma al regno d’Italia. La posa della prima pietra l’aveva fatta il beato Pio IX nel 1870. Era un contesto che postulava una concezione della Chiesa cattolica come “unica arca di salvezza”, l’unico spazio in cui è possibile la virtù e la santità. È come l’arca di Noè: chi ne sta fuori è condannato a perire nel diluvio. Immaginate quanta fatica devono aver fatto il Rosmini, il Newmann, Manzoni, Montalembert, Scheeben… a farsi accettare con il loro pensiero teologico che poi nel concilio Vaticano II divenne di comune consapevolezza e fede. Se non fosse partito da questa assoluta fedeltà insegnata anche a tutti i suoi preti, la congregazione salesiana e tutta la sua opera pastorale non avrebbe potuto difendersi e restare immune di fronte a tutti gli errori e le animosità molto estese in quel tempo contro la verità rivelata, contro la vita di grazia che la Chiesa proponeva. Allo scopo di ribadire la fedeltà al Papa scrisse la vita dei papi e non solo.
L’apertura ai giovani, apertura della concezione di Chiesa
Se ci fermassimo qui però non saremmo veri e onesti nel descrivere il rapporto con la Chiesa in san Giovanni Bosco. Per lui la centralità di tutto, entro questa fedeltà incrollabile alla Chiesa e al papa, era data dalla grazia, da Cristo, da Maria, dai sacramenti. La Chiesa c’è proprio per questo. Ma quanti sono coloro che ne sono esclusi per la stessa inerzia della mentalità del momento? San Giovanni Bosco se ne accorge subito e si butta nel mondo dei ragazzi e dei giovani immaginando un futuro di accoglienza e di apertura della stessa Chiesa. È, insomma, l’attività pastorale che obbliga san Giovanni Bosco a inscrivere in questa mentalità tetragona, dal punto di vista del pensiero e della stabilità di una esistenza, entro un mondo sempre all’attacco della Chiesa, tutta l’attenzione ai ragazzi, ai giovani e tutta la costruzione della stessa congregazione salesiana. Questi ragazzi che sono di nessuno, queste periferie di Torino abbandonate, questo futuro dell’umanità, che sono i giovani, come possono venire a contatto con questi doni indispensabili della Chiesa? Lo dico alla mia maniera: che vuoi che interessi per la loro vita di grazia questa società perfetta dei cristiani, se non riescono a lambirne nemmeno una frangia del mantello? Questa struttura rigida delle componenti ecclesiastiche incarnata in una figura di prete fuori dal loro mondo, in una chiusura ancora funzionale a una società di privilegiati, se non di privilegi, come può aprirsi alle loro vite, ai loro spazi, alla loro sete di Dio, di bontà, di fede, non avvertita come tale, ma presente nel loro cuore? Non ditemi che non sono le stesse domande che ci stiamo facendo oggi, provocate continuamente e direttamente da papa Francesco, e faticosamente vissute nelle periferie esistenziali in cui vive ancora oggi il mondo giovanile, che nella maggioranza ritiene nessuna parrocchia abitabile per la propria vita. Questa passione spinge san Giovanni Bosco a portare i giovani alla Chiesa e prima ancora la Chiesa ai giovani. Da qui leggo le difficoltà che spesso aveva con qualche vescovo, anche santo. Tentava di prefigurare e mostrare la bellezza di una Chiesa popolo di Dio, come sarà descritta e definita nel concilio Ecumenico Vaticano II, aprendola al mondo giovanile e alle future generazioni. Nella concezione piramidale del tempo i laici cristiani non avevano un posto ben definito nella costituzione della Chiesa; san Giovanni Bosco però comincia a educare i giovani a un rapporto di famiglia; in essa c’è un papà, un padre e un tessuto di relazione da figli. Così penserà la stessa congregazione salesiana, così deve essere la Chiesa. Insomma, mi sento di dire che tutta l’opera di san Giovanni Bosco e il suo rapporto con la Chiesa veniva da una teologia che pensava la Chiesa del tempo in forma decisamente piramidale in tutti i sensi, ma la apriva nella concretezza a un mondo giovanile fortemente missionario, fortemente motivato e con la solidità di un attaccamento alla Chiesa che poteva essere sempre riformata dal di dentro. Chi ascolta i giovani non può starsene tranquillo nelle posizioni conquistate, ma si lascia sempre provocare, anche affrontando sofferenze e incomprensioni, al cambiamento, all’aggiornamento, come dirà san Giovanni XXXIII. San Giovanni Paolo II dovrà molte delle sue riforme nella Chiesa e delle sue scelte al rapporto con i giovani. Ricordiamo tutti ciò che ebbe a dire ai giovani nella GMG del 2000. “Chi sta con i giovani rimane sempre giovane” e se lo fa il papa, che nella struttura della Chiesa è l’uomo della comunione e ne presiede l’unità, a maggior ragione lo debbono seguire sia i cristiani che le riflessioni teologiche.
Uscire nelle periferie per accogliere i giovani e fare con loro una Chiesa vera e unita
Se tutta la Chiesa di oggi aderisse all’invito di papa Francesco di aprirsi al mondo giovanile, proprio come voleva don Bosco, abiteremmo già tutti, preti e laici, vescovi e professori, in tutte le infinite periferie in cui i giovani sono ancora abbandonati, segregati e lasciati soli, e seguiremmo di più l’appello del papa a uscire, ad avere l’odore delle pecore, a costruire anche per i giovani chiese ospedali da campo, ad annunciare loro l’infinita bontà e misericordia di Dio e la felicità che porta alla vita di tutti.