Domenico Sigalini – presidente del COP
Una meta ha sempre l’attrattiva e i sentimenti di una conclusione, di una attesa, di un punto di non ritorno della nostra vita. Sono così le attese dei viaggi, ma sono così soprattutto le attese di eventi decisivi per l’esistenza: il matrimonio, una laurea, la conclusione della costruzione di una casa, di una chiesa, la nascita di un figlio, il ritorno a casa di un papà o di una mamma, di un parente rapito…
Per Gesù la meta è Gerusalemme, il luogo della sua definitiva scelta di amore verso il Padre e verso gli uomini. Qui l’aspetta la crocifissione e la morte: passaggi obbligati per cancellare il male del mondo dalle coscienze e dalle strutture di peccato che lo inquinano. Ai suoi discepoli lo ha sempre detto ottenendone una occultazione, sempre più decisa. Di questo non si deve parlare, è impossibile, la nostra amicizia e la nostra vita con te è troppo bella. Non ci rovinare la festa, non cancellare la nostra speranza. Ma Gesù, paziente insegna con parole e gesti.
La descrizione del suo arrivo a Gerusalemme, con dovizie di citazioni dell’Antico Testamento è l’intronizzazione di Gesù, come Messia, l’Atteso nella scena del mondo giudeo, per quei tempi e per l’oggi che viviamo. Le caratteristiche della festa di incoronazione ci sono tutte. I particolari dell’asinello legato che lo deve portare: viene il tuo re seduto su un’asina, il diritto di requisirlo, un animale su cui non si è ancora seduto nessuno, i richiami ai testi antichi; quasi a dire: l’attesa è finita, non avete aspettato invano, chi si è scoraggiato ha sbagliato, doveva tenere alto il suo desiderio, il suo sogno. Oggi si avvera.
Quante volte noi nelle nostre povere vite smettiamo di aspettare, siamo scoraggiati, non sappiamo attendere, cioè orientare tutta la nostra vita al bene che Dio ci dona. Le convivenze facili di oggi tra giovani che si preparano al matrimonio, sembrano facilitazioni, ma rischiano di abbassare il desiderio e cambiare l’attesa in possesso, il fascino di un desiderio nella chiusura di una conclusione, non nella conquista di una meta. Il rischio lo si vince mettendosi in discussione, dialogo, con il vangelo
Ebbene, Gesù con questa meticolosa preparazione e osservanza dei tempi messianici, aumenta la speranza dei suoi discepoli e li aiuta a capire e aiuta anche noi a capire la posta in gioco: la morte e risurrezione. I discepoli entrano un po’ alla volta nella consapevolezza del momento e collaborano, fanno salire Gesù sull’asinello, stendono i mantelli, tagliano i rami degli alberi, cantano quel famoso osanna che rimarrà per sempre nella liturgia della chiesa. Il vangelo di Luca usa le stesse parole del canto degli angeli sulla grotta di Betlemme.
Lo canteremo anche alla Domenica delle Palme e avrà ancora di più il suo significato. Signore che vieni sull’altare nell’Eucaristia, nel corpo e sangue del tuo figlio Gesù, noi ti adoriamo, ti scongiuriamo, salvaci. Ti stiamo attendendo ogni giorno e siamo felici che tu venga tra noi. Osanna nell’alto dei cieli. Come pellegrini andiamo verso di Lui e lui pellegrino con noi ci viene incontro e ci coinvolge nella sua ascesa verso la croce e la salvezza e ci fa compagnia e ci dà forza nel suo corpo e nel suo sangue, ogni giorno, perché ogni giorno è una lotta tra il bene e il male.
Il canto dei bambini viene difeso da Gesù come l’inizio di una nuova generazione di credenti. Per questo già il papa Paolo VI aveva caratterizzato la Domenica delle Palme come la festa dei giovani e da allora lo è sempre più. Queste nuove generazioni di giovani, che in molte diocesi ieri sera abbiamo aspettato e condotto in chiesa davanti a Gesù, ad affidare la loro vita, siamo andati a stanarli dai loro loculi, dalle birre di troppo che stanno a tracannare, dalle disperazioni nascoste e dalle avventure insane, dalle solitudini camuffate da allegrie artificiali. Alcuni sono venuti e hanno detto il loro osanna, il loro aiutaci, il loro stacci vicino, in questa vita che è sempre in salita.
Avremo tempo in questa settimana di metterci in sintonia con questi passi di Gesù. Ogni cristiano è chiamato a vivere una Settimana Santa di com-passione, di compagnia a Gesù. Riviviamo al Venerdì Santo la dignità di una solidarietà con Gesù. I nostri giovani non sanno che cosa è, perché noi adulti abbiamo cancellato pure il venerdi santo e molti di loro ci fanno la movida, come ogni venerdì. Non sappiamo fare silenzio, non sappiamo più distinguere i tempi della gioia e i tempi della compassione. Quando tutto è uguale, tutto perde significato e restiamo soli nella vita con niente in mano.